sabato 7 novembre 2009

Sud di qua Sud di là troppa grazia Sant’Antonio


di Lino Patruno

Troppa grazia, troppa grazia, sant’Antonio.
Mai si era parlato tanto di Sud come ora, difficile addirittura stare dietro a tutto. Sarà che fra due anni scoccherà il secolo e mezzo dall’Unità d’Italia.
Ma le cronache dicono che il verme per il Sud si è diffuso quando al Sud hanno cominciato a parlare di Partito del Sud. Anzi non uno.
Perché appena è scesa in pista la Poli Bortone, hanno annunciato un Partito del Sud anche in Sicilia. E poi in Campania, versante Bassolino. E intanto veniva allo scoperto la ribollente attesa sommersa di uno, cento, mille movimenti federalisti, autonomisti, neoborbonici, secessionisti, rivendicazionisti. I quali hanno sullo stomaco l’Unità non meno che i leghisti di Bossi, quelli che considerano Garibaldi un delinquente reo di aver portato in Italia l’odiato Sud. Esarà che andiamo verso l’anniversario, ma spuntano fatti scomodi, anzi scomodissimi su quell’Unità col coltello alla gola. Andava presa al volo, non stiamo a far storie. Ma si scopre che il Sud non era affatto indietro al Nord, anche se gli inviati sabaudi raccontavano di un inferno popolato da beduini. E siccome i meridionali nel Parlamento di Torino erano complici dei conquistatori, nessuno che obiettasse: primo clamoroso esempio nazionale di disinformazione, coi vinti messi a tacere dai vincitori, come nei film western americani gli indiani erano sempre i selvaggi e i cattivi. Li sterminarono, e oggi scopriamo che fu un genocidio per prenderne terre e ricchezze.
Occorreva una narrazione onesta del Sud che non c’è mai stata. E nacque allora quel pregiudizio del Nord verso il Sud che non è mai tramontato. E che si riattizza, guarda un po’, sempre quando c’è qualche torta da dividere: zitti voi, che siete buoni solo a sprecare soldi. Così nel 1861 e dintorni si presero il tesoro del Banco di Napoli. Così spezzarono le reni all’industria meridionale per favorire quella settentrionale. Così tutta la politica economica di 150 anni è stata ispirata dagli interessi dei più forti, cresciamo noi e ci sarà qualcosa anche per voi. I meridionali, diciamolo, ci hanno sempre aggiunto di proprio coi loro difetti e le loro inadempienze. Ma se non si dice tutto, restano solo i difetti e le inadempienze.
Anche ora, che siamo alluvionati da libri sul Sud, sulla Disunità d’Italia, sull’Italia a pezzi, sull’Italia de noantri, su un nuovo Garibaldi che ci servirebbe al Sud con mille uomini di ferro, sui separati in casa, è tutta roba nordica o seminordica. Non ci fossero i nostri Cassano e Viesti, avremmo solo e sempre le trombe dei vincitori. Insomma il Sud anche questa volta rischia di fruttare soprattutto al Nord, basta che ci sia il business in mezzo (editoriale, per l’occasione) quelli si prendono sempre la parte migliore. Il problema è che non dovrebbe suonare anche ora la loro campana e basta.
Ma avviene anche altro, allegria. Preoccupato da un Partito del Sud che potrebbe togliergli voti, il Popolo della Libertà fa il giro d’Italia col suo programma per il Sud. E lo stesso Tremonti, il ministro più leghista dei non leghisti, arriva a dire che l’unificazione con le baionette dell’esercito sabaudo non fu un’operazione totalmente positiva come si legge sui libri di storia (a cominciare dagli sventurati testi scolastici, aggiunga). E che sul Sud pesano ancora i segni della conquista: «Pensate alla trasformazione di Napoli, in un giorno solo, da grande capitale europea a prefettura sabauda». Ben detto, ministro, farà felice anche quei piccoli clandestini storici locali finora considerati un po’ fuori di testa, rompiscatole mezzi fascisti mezzi nostalgici coi loro libretti da quattro soldi.
Siccome però Tremonti è Tremonti, il cui fin è la meraviglia, eccolo aggiungere che la famosa Questione Meridionale è una questione nazionale, altro che se la vedano loro e le loro camorre. E che deve essere lo Stato a risolverla. E dopo aver avviato la Banca del Sud (che però non si sa bene se sia meglio o peggio per il Sud), eccolo promettere incentivi per il Sud, e fondi per il Sud, sempre ad opera dello Stato. Chissà quanto facendo girare le scatole ai suoi amici leghisti e al loro federalismo, come, si rimette a parlare di Stato proprio ora? Ma Bossi, che rinuncerebbe all’accento varesotto pur di far passare il federalismo, da vecchio filone per ora sta zitto.
Vedremo se è solo fumo o roba seria. Al momento, fatti tutti i conti e non ignorando i perplessi, il Partito del Sud fa bene a non mollare. Forse rischia di contribuire a spaccare l’Italia in due, e infatti alla Lega non dispiace affatto. E di sicuro il Sud è questione nazionale o non è. Ma nell’attesa che si decidano, e che non finisca tutto a chiacchiera, a tenere sveglia la sala resta proprio e solo il Partito del Sud. Altrimenti il Sud di cui si riparla rischia solo di far vendere libri e salire gli indici di ascolto. I loro, ovvio.

Fonte:
La Gazzetta del Mezzogiorno del 06/11/2009
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di Lino Patruno

Troppa grazia, troppa grazia, sant’Antonio.
Mai si era parlato tanto di Sud come ora, difficile addirittura stare dietro a tutto. Sarà che fra due anni scoccherà il secolo e mezzo dall’Unità d’Italia.
Ma le cronache dicono che il verme per il Sud si è diffuso quando al Sud hanno cominciato a parlare di Partito del Sud. Anzi non uno.
Perché appena è scesa in pista la Poli Bortone, hanno annunciato un Partito del Sud anche in Sicilia. E poi in Campania, versante Bassolino. E intanto veniva allo scoperto la ribollente attesa sommersa di uno, cento, mille movimenti federalisti, autonomisti, neoborbonici, secessionisti, rivendicazionisti. I quali hanno sullo stomaco l’Unità non meno che i leghisti di Bossi, quelli che considerano Garibaldi un delinquente reo di aver portato in Italia l’odiato Sud. Esarà che andiamo verso l’anniversario, ma spuntano fatti scomodi, anzi scomodissimi su quell’Unità col coltello alla gola. Andava presa al volo, non stiamo a far storie. Ma si scopre che il Sud non era affatto indietro al Nord, anche se gli inviati sabaudi raccontavano di un inferno popolato da beduini. E siccome i meridionali nel Parlamento di Torino erano complici dei conquistatori, nessuno che obiettasse: primo clamoroso esempio nazionale di disinformazione, coi vinti messi a tacere dai vincitori, come nei film western americani gli indiani erano sempre i selvaggi e i cattivi. Li sterminarono, e oggi scopriamo che fu un genocidio per prenderne terre e ricchezze.
Occorreva una narrazione onesta del Sud che non c’è mai stata. E nacque allora quel pregiudizio del Nord verso il Sud che non è mai tramontato. E che si riattizza, guarda un po’, sempre quando c’è qualche torta da dividere: zitti voi, che siete buoni solo a sprecare soldi. Così nel 1861 e dintorni si presero il tesoro del Banco di Napoli. Così spezzarono le reni all’industria meridionale per favorire quella settentrionale. Così tutta la politica economica di 150 anni è stata ispirata dagli interessi dei più forti, cresciamo noi e ci sarà qualcosa anche per voi. I meridionali, diciamolo, ci hanno sempre aggiunto di proprio coi loro difetti e le loro inadempienze. Ma se non si dice tutto, restano solo i difetti e le inadempienze.
Anche ora, che siamo alluvionati da libri sul Sud, sulla Disunità d’Italia, sull’Italia a pezzi, sull’Italia de noantri, su un nuovo Garibaldi che ci servirebbe al Sud con mille uomini di ferro, sui separati in casa, è tutta roba nordica o seminordica. Non ci fossero i nostri Cassano e Viesti, avremmo solo e sempre le trombe dei vincitori. Insomma il Sud anche questa volta rischia di fruttare soprattutto al Nord, basta che ci sia il business in mezzo (editoriale, per l’occasione) quelli si prendono sempre la parte migliore. Il problema è che non dovrebbe suonare anche ora la loro campana e basta.
Ma avviene anche altro, allegria. Preoccupato da un Partito del Sud che potrebbe togliergli voti, il Popolo della Libertà fa il giro d’Italia col suo programma per il Sud. E lo stesso Tremonti, il ministro più leghista dei non leghisti, arriva a dire che l’unificazione con le baionette dell’esercito sabaudo non fu un’operazione totalmente positiva come si legge sui libri di storia (a cominciare dagli sventurati testi scolastici, aggiunga). E che sul Sud pesano ancora i segni della conquista: «Pensate alla trasformazione di Napoli, in un giorno solo, da grande capitale europea a prefettura sabauda». Ben detto, ministro, farà felice anche quei piccoli clandestini storici locali finora considerati un po’ fuori di testa, rompiscatole mezzi fascisti mezzi nostalgici coi loro libretti da quattro soldi.
Siccome però Tremonti è Tremonti, il cui fin è la meraviglia, eccolo aggiungere che la famosa Questione Meridionale è una questione nazionale, altro che se la vedano loro e le loro camorre. E che deve essere lo Stato a risolverla. E dopo aver avviato la Banca del Sud (che però non si sa bene se sia meglio o peggio per il Sud), eccolo promettere incentivi per il Sud, e fondi per il Sud, sempre ad opera dello Stato. Chissà quanto facendo girare le scatole ai suoi amici leghisti e al loro federalismo, come, si rimette a parlare di Stato proprio ora? Ma Bossi, che rinuncerebbe all’accento varesotto pur di far passare il federalismo, da vecchio filone per ora sta zitto.
Vedremo se è solo fumo o roba seria. Al momento, fatti tutti i conti e non ignorando i perplessi, il Partito del Sud fa bene a non mollare. Forse rischia di contribuire a spaccare l’Italia in due, e infatti alla Lega non dispiace affatto. E di sicuro il Sud è questione nazionale o non è. Ma nell’attesa che si decidano, e che non finisca tutto a chiacchiera, a tenere sveglia la sala resta proprio e solo il Partito del Sud. Altrimenti il Sud di cui si riparla rischia solo di far vendere libri e salire gli indici di ascolto. I loro, ovvio.

Fonte:
La Gazzetta del Mezzogiorno del 06/11/2009

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