di Lino Patruno
Non vogliono sfasciare l’Italia ora, hanno già cominciato 150 anni fa. Ed è ovvio che non vogliano celebrare l’anniversario dell’Unità, perché l’unità non l’hanno mai digerita. Dai Sabaudi in poi, il Nord vincitore ha fatto del Sud vinto ciò che ha voluto. Lo dicessero storici marxisti, quelli sempre premurosi col popolo sottomesso, si potrebbe replicare: fanno ideologia. Ma se lo dice l’inglese Denis Mack Smith, tanto per citarne il più noto, c’è poco da arricciare il naso. Fu una conquista militare bell’e buona, altro che entusiastico plebiscito raccontato dagli ineffabili libri scolastici. Cui peraltro partecipò solo il due per cento degli abitanti delle Due Sicilie. Proprietari terrieri in testa, baroni feudali preoccupati solo di non perdere le loro ricchezze e di allearsi con la borghesia industriale del Nord per «cambiare qualcosa affinché non cambiasse nulla».
Per cinque anni a Napoli ci fu un esercito di occupazione. E se il generale Cialdini mise tutto a ferro e fuoco non fu solo per combattere i briganti che sarebbe ora di considerare meno briganti di quanto si volle far credere. Il Sud continua a intestargli strade come un benemerito.
Ma bisognerebbe leggere i rapporti degli inviati dei Savoia per capire che consideravano i sudisti poco più che selvaggi. Si presero il tesoro dei Borbone, che non avevano debiti, per pagare i loro debiti. Imposero uno Stato centralizzato alla francese quali loro erano. E ignorarono i suggerimenti a considerare una forma federale che venivano dagli stessi meridionalisti, ma allora, quando sarebbe servito a evitare scippi e spoliazioni non ora a rapina compiuta con quel dritto di Bossi. Disegnarono il territorio del Sud non tenendo conto della geografia ma della necessità dei loro prefetti di dividerlo per dominarlo meglio. E disegnarono i collegi elettorali per dare al Sud una rappresentanza minore in Parlamento rispetto al Nord. L’Italia unita era già in partenza un’Italia del Nord. Ovvio che pensassero anzitutto ai loro interessi, con la complicità degli «utili idioti» del Sud. Ogni decisione economica presa da allora a oggi ha favorito il Nord danneggiando il Sud. Così i meridionali, se non erano più briganti, diventarono emigranti. E fino ai nostri giorni, quando sono partiti contadini e arrivati terroni. E ogni volta che il Sud si arrabbiava, si faceva una legge speciale: 1892, 1904, 1908, 1920, 1950. Che non risolveva nulla, se le leggi non speciali poi andavano in altra direzione. Ma l’Unità si doveva fare, sarebbe folle pensare il contrario: perché solo così siamo diventati un grande, libero, democratico Paese, nonostante incidenti di percorso. E nonostante il divario fra Nord e Sud che l’unità ha creato e mai risolto. Si dice: ma il Sud ha sprecato immense risorse. La Cassa per il Mezzogiorno, ad esempio. I cui fondi in trent’anni sono stati solo lo 0,67 della ricchezza nazionale (pesa più un odierno Superenalotto). Che comunque hanno trasformato il Sud molto più di quanto l’Unità avesse fatto. E che venivano spesi dallo Stato non dal Sud. Con un patto scellerato con le imprese del Nord che scendevano per divorarsene il grosso. Tutti contenti, tranne poi sparare sul solito Sud parassita «che vive con i nostri soldi». Eppure la cattiva coscienza nazionale continuava a pensare che per il Sud occorresse intervenire. Essendo assurdo appunto che il grande, libero, democratico Paese non riuscisse a risolvere un problema risolto altrove nel mondo ovunque ci fosse. Ma poi, improvvisamente, il Sud è uscito non solo dall’agenda dei governi, ma anche dalla cattiva coscienza collettiva, dalla memoria, dai convegni, dai giornali. Mentre al posto della «questione meridionale» si imponeva la «questione settentrionale». Diventata «egemone», cioè dominante e accettata a prescindere. È stato quando, con Tangentopoli, sono scomparsi i grandi partiti nazionali. È stato quando, col mondo senza più frontiere, le piccole patrie si sono chiuse in se stesse per difendere la loro roba: chi se ne frega della nazione, contano i territori. È stato quando la Lega Nord, non vedendo opposizione, ha fatto diventare politica i più triti luoghi comuni dei suoi bassifondi, il rancore contro i meridionali, contro Roma e le tasse, contro l’Unità (proprio loro).
Ecco perché questi 150 anni capitano nel momento più disgraziato e l’eroico presidente Napolitano parla controvento. Nel momento in cui non solo non si sono fatti gli italiani, ma rischia di non essere fatta più neanche l’Italia. Il Sud deve piangere sui suoi peccati, essersi governato in modo spesso infame. Dipende solo da se stesso. Ma anche il Nord deve capire che da solo diventa una Svizzera ricca ma ininfluente. Ci vorrebbe uno di quei guizzi che fanno la storia. Nel frattempo Bossi rilancia i dialetti perché gli sta sulle scatole questa lingua italiana che unifica, maledizione, il Paese.
Fonte:LaGazzettadelMezzogiorno
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Non vogliono sfasciare l’Italia ora, hanno già cominciato 150 anni fa. Ed è ovvio che non vogliano celebrare l’anniversario dell’Unità, perché l’unità non l’hanno mai digerita. Dai Sabaudi in poi, il Nord vincitore ha fatto del Sud vinto ciò che ha voluto. Lo dicessero storici marxisti, quelli sempre premurosi col popolo sottomesso, si potrebbe replicare: fanno ideologia. Ma se lo dice l’inglese Denis Mack Smith, tanto per citarne il più noto, c’è poco da arricciare il naso. Fu una conquista militare bell’e buona, altro che entusiastico plebiscito raccontato dagli ineffabili libri scolastici. Cui peraltro partecipò solo il due per cento degli abitanti delle Due Sicilie. Proprietari terrieri in testa, baroni feudali preoccupati solo di non perdere le loro ricchezze e di allearsi con la borghesia industriale del Nord per «cambiare qualcosa affinché non cambiasse nulla».
Per cinque anni a Napoli ci fu un esercito di occupazione. E se il generale Cialdini mise tutto a ferro e fuoco non fu solo per combattere i briganti che sarebbe ora di considerare meno briganti di quanto si volle far credere. Il Sud continua a intestargli strade come un benemerito.
Ma bisognerebbe leggere i rapporti degli inviati dei Savoia per capire che consideravano i sudisti poco più che selvaggi. Si presero il tesoro dei Borbone, che non avevano debiti, per pagare i loro debiti. Imposero uno Stato centralizzato alla francese quali loro erano. E ignorarono i suggerimenti a considerare una forma federale che venivano dagli stessi meridionalisti, ma allora, quando sarebbe servito a evitare scippi e spoliazioni non ora a rapina compiuta con quel dritto di Bossi. Disegnarono il territorio del Sud non tenendo conto della geografia ma della necessità dei loro prefetti di dividerlo per dominarlo meglio. E disegnarono i collegi elettorali per dare al Sud una rappresentanza minore in Parlamento rispetto al Nord. L’Italia unita era già in partenza un’Italia del Nord. Ovvio che pensassero anzitutto ai loro interessi, con la complicità degli «utili idioti» del Sud. Ogni decisione economica presa da allora a oggi ha favorito il Nord danneggiando il Sud. Così i meridionali, se non erano più briganti, diventarono emigranti. E fino ai nostri giorni, quando sono partiti contadini e arrivati terroni. E ogni volta che il Sud si arrabbiava, si faceva una legge speciale: 1892, 1904, 1908, 1920, 1950. Che non risolveva nulla, se le leggi non speciali poi andavano in altra direzione. Ma l’Unità si doveva fare, sarebbe folle pensare il contrario: perché solo così siamo diventati un grande, libero, democratico Paese, nonostante incidenti di percorso. E nonostante il divario fra Nord e Sud che l’unità ha creato e mai risolto. Si dice: ma il Sud ha sprecato immense risorse. La Cassa per il Mezzogiorno, ad esempio. I cui fondi in trent’anni sono stati solo lo 0,67 della ricchezza nazionale (pesa più un odierno Superenalotto). Che comunque hanno trasformato il Sud molto più di quanto l’Unità avesse fatto. E che venivano spesi dallo Stato non dal Sud. Con un patto scellerato con le imprese del Nord che scendevano per divorarsene il grosso. Tutti contenti, tranne poi sparare sul solito Sud parassita «che vive con i nostri soldi». Eppure la cattiva coscienza nazionale continuava a pensare che per il Sud occorresse intervenire. Essendo assurdo appunto che il grande, libero, democratico Paese non riuscisse a risolvere un problema risolto altrove nel mondo ovunque ci fosse. Ma poi, improvvisamente, il Sud è uscito non solo dall’agenda dei governi, ma anche dalla cattiva coscienza collettiva, dalla memoria, dai convegni, dai giornali. Mentre al posto della «questione meridionale» si imponeva la «questione settentrionale». Diventata «egemone», cioè dominante e accettata a prescindere. È stato quando, con Tangentopoli, sono scomparsi i grandi partiti nazionali. È stato quando, col mondo senza più frontiere, le piccole patrie si sono chiuse in se stesse per difendere la loro roba: chi se ne frega della nazione, contano i territori. È stato quando la Lega Nord, non vedendo opposizione, ha fatto diventare politica i più triti luoghi comuni dei suoi bassifondi, il rancore contro i meridionali, contro Roma e le tasse, contro l’Unità (proprio loro).
Ecco perché questi 150 anni capitano nel momento più disgraziato e l’eroico presidente Napolitano parla controvento. Nel momento in cui non solo non si sono fatti gli italiani, ma rischia di non essere fatta più neanche l’Italia. Il Sud deve piangere sui suoi peccati, essersi governato in modo spesso infame. Dipende solo da se stesso. Ma anche il Nord deve capire che da solo diventa una Svizzera ricca ma ininfluente. Ci vorrebbe uno di quei guizzi che fanno la storia. Nel frattempo Bossi rilancia i dialetti perché gli sta sulle scatole questa lingua italiana che unifica, maledizione, il Paese.
Fonte:LaGazzettadelMezzogiorno
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