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“Piccola città bastardo posto”: il silenzio degli untori sulla Popolare di Lodi
Di Giulio Cavalli
Chiudete gli occhi e ascoltate.
“Indagini frenate dal silenzio”, “non c’è nessuno che abbia voglia di parlare con la procura, altrimenti tutte le indagini aperte sull’urbanistica nel capoluogo sarebbero già arrivate a conclusione”, “ci sono forti gruppi di pressione”, “sui fatti di quegli anni è scesa una cortina di silenzio”.
Non immaginate scenari criminali pelosi o apocalittici e nemmeno terre di omertà da letteratura: siamo a Lodi, chi parla è il procuratore capo Giovanni Pescarzoli che lancia un allarme che profuma nei modi e nei toni di una “mancanza di collaborazione” che dovrebbe accendere gli animi, smuovere la società civile e spingere la politica “buona” a prenderne le difese. E invece rimane una pagina di (buon) giornalismo sulle pagine del quotidiano “Il Cittadino” , e il giorno dopo è già finito nel cassetto.
Eppure Pescarzoli non parla di processi di criminalità a Lodi in trasferta ma del filone più lodigiano dei processi a carico del mai troppo poco ex amministratore dell’impopolare Banca Popolare di Lodi (poi Banca Popolare Italiana): quello sui presunti rapporti tra l’ex rampante banchiere e il dirigente del settore pianificazione e gestione del territorio del Comune di Lodi Luigi Trabattoni. L’inchiesta è figlia delle dichiarazioni del Fiorani nell’interrogatorio del 5 ottobre del 2006 (nel pieno dello scandalo dei “furbetti del quartierino”) in cui Fiorani parlava della società CORES srl con la quale era stato acquistato un terreno in prossimità della filiale BPL in Lodi in via San Bassiano. Nei verbali si legge come dietro alla CORES ci fosse l’UNIONE FIDUCIARIA (collegabile secondo le dichiarazioni a Silvano Spinelli) e la ZONIVEST srl (riferibile alla famiglia Zoncada) nonché come soci occulti (questo sempre secondo le dichiarazioni di Fiorani, successivamente ritrattate perché “nate sotto la pressione del carcere”) egli stesso, Giovanni Benevento e appunto il Trabattoni che si sarebbe impegnato ad aumentare la volumetria ottenendo in cambio il ruolo di progettista e direttrice dei lavori per la moglie. Da qui l’inchiesta della Procura di Lodi e il blitz della Guardia di Finanza presso gli uffici del Comune per accertare le responsabilità (che lo stesso Trabattoni rifiuta con sdegno come si può leggere nell’articolo del Corriere della Sera del 1 giugno 2006). Al di là degli esiti giudiziari dell’inchiesta (che, Pescarzoli tiene a precisare, non è “nè chiusa nè archiviata“) rimbalza stonato il silenzio della politica e della città nei confronti di un’omertà latente (per di più svelata da un procuratore) che da molti non è ritenuta propria di queste terre. E’ la prevedibile dinamica dei paesi dei signorotti dove il buon nome viene sfoggiato davanti ad uno spumantino in un adulterio di amicizie interessanti e interessate che attraversano indifferenti strati sociali, economici e politici: il silenzio come grumo per difendere l’orticello e il vicino. Una posizione ostinata di “disinteresse” assolutamente interessata per non dovere essere costretti a prendere una posizione. Una miopia su sé stessi degna del sospetto di premeditazione. Un delegare la narrazione dei fatti ai processi e solo nei processi come in un feudo mai sconsacrabile. Una liturgia del silenzio officiata come dovere per il buon nome.
Qualche professionista della moderazione dal lato dell’ottundimento vi dirà che è una cosa vecchia, archiviata almeno nella sensazione e nella memoria, e che comunque l’allarmismo sul passato è un’inquietudine inutile per il futuro: la risposta sta nella frase del procuratore “Lodi non è più omertosa del resto d’Italia, purtroppo, ma probabilmente su alcune vicende ci sono nel territorio forti gruppi di pressione che si stanno ricompattando.” Si stanno ricompattando: futuro. Prossimo.
Forse sarebbe il caso che il pullman della prossima missione legalitaria-turistica a sfamarsi d’antimafia si fissi al pomeriggio; e al mattino si appoggino i nostri, di procuratori.
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Di Giulio Cavalli
Chiudete gli occhi e ascoltate.
“Indagini frenate dal silenzio”, “non c’è nessuno che abbia voglia di parlare con la procura, altrimenti tutte le indagini aperte sull’urbanistica nel capoluogo sarebbero già arrivate a conclusione”, “ci sono forti gruppi di pressione”, “sui fatti di quegli anni è scesa una cortina di silenzio”.
Non immaginate scenari criminali pelosi o apocalittici e nemmeno terre di omertà da letteratura: siamo a Lodi, chi parla è il procuratore capo Giovanni Pescarzoli che lancia un allarme che profuma nei modi e nei toni di una “mancanza di collaborazione” che dovrebbe accendere gli animi, smuovere la società civile e spingere la politica “buona” a prenderne le difese. E invece rimane una pagina di (buon) giornalismo sulle pagine del quotidiano “Il Cittadino” , e il giorno dopo è già finito nel cassetto.
Eppure Pescarzoli non parla di processi di criminalità a Lodi in trasferta ma del filone più lodigiano dei processi a carico del mai troppo poco ex amministratore dell’impopolare Banca Popolare di Lodi (poi Banca Popolare Italiana): quello sui presunti rapporti tra l’ex rampante banchiere e il dirigente del settore pianificazione e gestione del territorio del Comune di Lodi Luigi Trabattoni. L’inchiesta è figlia delle dichiarazioni del Fiorani nell’interrogatorio del 5 ottobre del 2006 (nel pieno dello scandalo dei “furbetti del quartierino”) in cui Fiorani parlava della società CORES srl con la quale era stato acquistato un terreno in prossimità della filiale BPL in Lodi in via San Bassiano. Nei verbali si legge come dietro alla CORES ci fosse l’UNIONE FIDUCIARIA (collegabile secondo le dichiarazioni a Silvano Spinelli) e la ZONIVEST srl (riferibile alla famiglia Zoncada) nonché come soci occulti (questo sempre secondo le dichiarazioni di Fiorani, successivamente ritrattate perché “nate sotto la pressione del carcere”) egli stesso, Giovanni Benevento e appunto il Trabattoni che si sarebbe impegnato ad aumentare la volumetria ottenendo in cambio il ruolo di progettista e direttrice dei lavori per la moglie. Da qui l’inchiesta della Procura di Lodi e il blitz della Guardia di Finanza presso gli uffici del Comune per accertare le responsabilità (che lo stesso Trabattoni rifiuta con sdegno come si può leggere nell’articolo del Corriere della Sera del 1 giugno 2006). Al di là degli esiti giudiziari dell’inchiesta (che, Pescarzoli tiene a precisare, non è “nè chiusa nè archiviata“) rimbalza stonato il silenzio della politica e della città nei confronti di un’omertà latente (per di più svelata da un procuratore) che da molti non è ritenuta propria di queste terre. E’ la prevedibile dinamica dei paesi dei signorotti dove il buon nome viene sfoggiato davanti ad uno spumantino in un adulterio di amicizie interessanti e interessate che attraversano indifferenti strati sociali, economici e politici: il silenzio come grumo per difendere l’orticello e il vicino. Una posizione ostinata di “disinteresse” assolutamente interessata per non dovere essere costretti a prendere una posizione. Una miopia su sé stessi degna del sospetto di premeditazione. Un delegare la narrazione dei fatti ai processi e solo nei processi come in un feudo mai sconsacrabile. Una liturgia del silenzio officiata come dovere per il buon nome.
Qualche professionista della moderazione dal lato dell’ottundimento vi dirà che è una cosa vecchia, archiviata almeno nella sensazione e nella memoria, e che comunque l’allarmismo sul passato è un’inquietudine inutile per il futuro: la risposta sta nella frase del procuratore “Lodi non è più omertosa del resto d’Italia, purtroppo, ma probabilmente su alcune vicende ci sono nel territorio forti gruppi di pressione che si stanno ricompattando.” Si stanno ricompattando: futuro. Prossimo.
Forse sarebbe il caso che il pullman della prossima missione legalitaria-turistica a sfamarsi d’antimafia si fissi al pomeriggio; e al mattino si appoggino i nostri, di procuratori.
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