giovedì 24 settembre 2009

Brutta storia il razzismo. La racconta Ascanio Celestini




di Mariagrazia Gerina

C’è la storia di quel sindaco... «Come si chiama? - si interrompe Ascanio Celestini - Gentilini, sì, il sindaco di Treviso. Ecco, lui ce l’ha con tutti, omosessuali, immigrati, a un certo punto si è messo a dare battaglia anche sui cani: dobbiamo difendere i cani italiani, quelli che andavano a fare le passeggiate in campagna con i nostri anziani, basta con queste razze straniere». E poi c’è la storia di quel presidente del Consiglio - Berlusconi, sì - che «una volta, dieci anni fa, era contro i respingimenti, si commuoveva, piangeva per gli immigrati, e adesso ha cambiato idea: meno lacrime, più capelli». E c’è la storia di quelli che vanno scrivendo sui muri: «Solo lame». Personaggi noti, e meno noti, del belpaese che un brutto giorno si scopre razzista. A cui Ascanio Celestini presta la voce per condurci racconto dopo racconto - qualcuno inedito, qualcuno ripreso dal suo repertorio - dentro quella brutta, bruttissima, storia che si chiama razzismo. I protagonisti? «Non bisogna andare a cercarli per forza a Pontida, basta affacciarsi al bar sotto casa...».

Il razzismo è una brutta storia. Si intitola così lo spettacolo che l’autore di “Scemo di guerra” e di “Pecora nera” porterà in giro per l’Italia. Debutto a Viterbo, il 24 settembre, al Cine-teatro “Il Genio”. E poi il 20 ottobre al Circolo Arci di Grassina (Firenze), il 21 all’Auditorium Paganini di Parma, il 22 al Cenacolo francescano di Lecco, il 19 novembre alla Camera del Lavoro di Piacenza, etc.. Ultima data a Bagno di Romagna, Teatro Garibaldi, il 29 novembre. Una tournée pensata come una campagna contro il razzismo. Promossa dall’Arci, con la collaborazione della Casa Editrice Feltrinelli.

Un viaggio nel linguaggio razzista, usato con incoscienza o con compiacimento. Nei tic, negli automatismi, nelle paure («che poi sono le stesse nostre») del razzista medio. Quello che proprio perché è consapevole di vivere un conflitto inizia dicendo «Io non sono razzista...». Imparare a fare l’orecchio alle sue parole - spiega Celestini - è lo scopo dello spettacolo: «Perché è come in guerra, una partigiana mi ha raccontato che quando le hanno sparato la prima volta non capiva perché non riconosceva il rumore delle pallottole». Ecco allo stesso modo - dice Celestini - noi dobbiamo imparare a riconoscere il «rumore del razzismo». Entrare in certi automatismi e scardinarli. Impadronirsi della narrazione che sta dietro a certi comportamenti. Perché il razzismo, appunto, è anche e soprattutto una «gran brutta storia». Un modo mistificatorio di raccontare l’altro. «Goebbels diceva: “Ripeti una bugia molte volte, alla fine la trasformi in una verità”».

Vedi alla voce sicurezza. «Per me è quella quotidiana, fatta di lavoro, scuola per i miei figli, cure mediche se ne ho bisogno», spiega Ascanio. «Il razzismo crescente nella società e quello che trasuda dalle decisioni istituzionali si stanno alimentando a vicenda», avvertono Filippo Miraglia e Paolo Beni dell’Arci, che il 17 ottobre contro il razzismo chiamerà in piazza l’altra Italia.
Un viaggio nel linguaggio razzista, usato con incoscienza o con piacere. Nei tic, negli automatismi del razzista medio. Quello che proprio perché è consapevole di vivere un conflitto inizia dicendo «Io non sono razzista...».
«È per questo - spiega Filippo Miraglia, responsabile Immigrazione dell’Arci - che abbiamo chiesto al mondo della cultura di aiutarci: perché è inaccettabile che una buona maggioranza del paese consideri normale che in Italia ci possa essere una apartheid fatta di meno diritti per gli immigrati e classi separate per i loro figli».

«Il razzismo crescente nella società e quello che trasuda dalle decisioni istituzionali si stanno alimentando a vicenda», avverte Paolo Beni, che si prepara a lanciare per il 17 ottobre una manifestazione nazionale contro il razzismo. Prima a teatro, quindi, poi in piazza.

Fonte:
L'Unità
.
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di Mariagrazia Gerina

C’è la storia di quel sindaco... «Come si chiama? - si interrompe Ascanio Celestini - Gentilini, sì, il sindaco di Treviso. Ecco, lui ce l’ha con tutti, omosessuali, immigrati, a un certo punto si è messo a dare battaglia anche sui cani: dobbiamo difendere i cani italiani, quelli che andavano a fare le passeggiate in campagna con i nostri anziani, basta con queste razze straniere». E poi c’è la storia di quel presidente del Consiglio - Berlusconi, sì - che «una volta, dieci anni fa, era contro i respingimenti, si commuoveva, piangeva per gli immigrati, e adesso ha cambiato idea: meno lacrime, più capelli». E c’è la storia di quelli che vanno scrivendo sui muri: «Solo lame». Personaggi noti, e meno noti, del belpaese che un brutto giorno si scopre razzista. A cui Ascanio Celestini presta la voce per condurci racconto dopo racconto - qualcuno inedito, qualcuno ripreso dal suo repertorio - dentro quella brutta, bruttissima, storia che si chiama razzismo. I protagonisti? «Non bisogna andare a cercarli per forza a Pontida, basta affacciarsi al bar sotto casa...».

Il razzismo è una brutta storia. Si intitola così lo spettacolo che l’autore di “Scemo di guerra” e di “Pecora nera” porterà in giro per l’Italia. Debutto a Viterbo, il 24 settembre, al Cine-teatro “Il Genio”. E poi il 20 ottobre al Circolo Arci di Grassina (Firenze), il 21 all’Auditorium Paganini di Parma, il 22 al Cenacolo francescano di Lecco, il 19 novembre alla Camera del Lavoro di Piacenza, etc.. Ultima data a Bagno di Romagna, Teatro Garibaldi, il 29 novembre. Una tournée pensata come una campagna contro il razzismo. Promossa dall’Arci, con la collaborazione della Casa Editrice Feltrinelli.

Un viaggio nel linguaggio razzista, usato con incoscienza o con compiacimento. Nei tic, negli automatismi, nelle paure («che poi sono le stesse nostre») del razzista medio. Quello che proprio perché è consapevole di vivere un conflitto inizia dicendo «Io non sono razzista...». Imparare a fare l’orecchio alle sue parole - spiega Celestini - è lo scopo dello spettacolo: «Perché è come in guerra, una partigiana mi ha raccontato che quando le hanno sparato la prima volta non capiva perché non riconosceva il rumore delle pallottole». Ecco allo stesso modo - dice Celestini - noi dobbiamo imparare a riconoscere il «rumore del razzismo». Entrare in certi automatismi e scardinarli. Impadronirsi della narrazione che sta dietro a certi comportamenti. Perché il razzismo, appunto, è anche e soprattutto una «gran brutta storia». Un modo mistificatorio di raccontare l’altro. «Goebbels diceva: “Ripeti una bugia molte volte, alla fine la trasformi in una verità”».

Vedi alla voce sicurezza. «Per me è quella quotidiana, fatta di lavoro, scuola per i miei figli, cure mediche se ne ho bisogno», spiega Ascanio. «Il razzismo crescente nella società e quello che trasuda dalle decisioni istituzionali si stanno alimentando a vicenda», avvertono Filippo Miraglia e Paolo Beni dell’Arci, che il 17 ottobre contro il razzismo chiamerà in piazza l’altra Italia.
Un viaggio nel linguaggio razzista, usato con incoscienza o con piacere. Nei tic, negli automatismi del razzista medio. Quello che proprio perché è consapevole di vivere un conflitto inizia dicendo «Io non sono razzista...».
«È per questo - spiega Filippo Miraglia, responsabile Immigrazione dell’Arci - che abbiamo chiesto al mondo della cultura di aiutarci: perché è inaccettabile che una buona maggioranza del paese consideri normale che in Italia ci possa essere una apartheid fatta di meno diritti per gli immigrati e classi separate per i loro figli».

«Il razzismo crescente nella società e quello che trasuda dalle decisioni istituzionali si stanno alimentando a vicenda», avverte Paolo Beni, che si prepara a lanciare per il 17 ottobre una manifestazione nazionale contro il razzismo. Prima a teatro, quindi, poi in piazza.

Fonte:
L'Unità
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