Di Marzio Galeotti 06.03.2009
L'accordo Italia-Francia per un ritorno del nostro paese al nucleare è un colpo a effetto fondato su un'illusione. Quella che vede nell'elettronucleare la soluzione ai problemi della sicurezza energetica, del clima e dei costi dell'energia. Ma anche a regime il contributo del nucleare sarà ridotto. E su tutte le questioni quello che accadrà nel 2030 dipende dalle altre scelte in materia energetica che nel frattempo il nostro governo avrà o non avrà fatto. Senza dimenticare le difficoltà su localizzazione degli impianti, rispetto dei tempi di costruzione e finanziamenti.
Da qualunque lato lo si guardi l’annuncio dei presidenti Silvio Berlusconi e Nicolas Sarkozy in materia di energia nucleare appare più un colpo a effetto che una decisione dai contorni nitidi e realistici. E il nostro presidente del Consiglio sembra esercitare ancora una volta il suo talento nell'intercettare e opportunamente sfruttare un sentimento oggi (assai più) diffuso nel nostro paese di favore verso il ritorno all’energia elettronucleare. Si tratta di un orientamento, probabilmente maggioritario, più favorevole al principio che non alla sua concreta articolazione, alimentato da tre rilevanti fattori: una nuova preoccupazione per i cambiamenti del clima provocati da emissioni di gas-serra in continua crescita, una ricorrente preoccupazione circa la garanzie di forniture di gas di provenienza russa nel periodo invernale e soprattutto una crescente allergia al costo della bolletta elettrica delle famiglie, doppia di quella francese.
L'ILLUSIONE
Con la strategia di rientro nel nucleare inaugurata dall’attuale governo all’indomani del suo insediamento e con le decisioni franco-italiane di pochi giorni fa tra governi e tra monopoli o ex (o quasi) monopoli di stato, si crea l’illusione nella pubblica opinione e in tutti coloro che, non esperti, ricoprono posizioni di responsabilità che l’energia nucleare sia “la” soluzione al contempo del problema della sicurezza energetica, del problema climatico e del problema dei costi dell’energia.
In realtà non è affatto così. Non intendiamo, sia chiaro, entrare nel merito della vexata quaestio “nucleare: a favore o contro”; ci terremo di conseguenza lontano dalla questione del costo del nucleare rispetto a quello di altre fonti energetiche (gas, rinnovabili, carbone), così come non entreremo nel merito del problema delle scorie radioattive e del loro stoccaggio. (1) Vale però la pena considerare il ruolo del nucleare rispetto ai tre problemi menzionati.
LA TECNOLOGIA
La prima riguarda il tipo di tecnologia. Si tratta dei reattori Epr (European Pressurized Reactor), tecnologia messa a punto dai francesi e rappresentativa del nucleare cosiddetto di terza generazione avanzata: a oggi non esiste alcun esemplare in attività, ma solo due in costruzione a Olkiluoto (Finlandia) e a Flamanville (Francia). Non si tratta dunque di tecnologie da tempo (breve o lungo) in regolare attività, ma di nuove tecnologie. In particolare si rileva che il reattore in costruzione nell’efficiente Finlandia è già in ritardo di tre anni sui tempi di conclusione previsti con costi nel frattempo lievitati di quasi il 50 per cento. Rispetto alla generazione precedente, gli Epr offrono il vantaggio di una maggiore sicurezza rispetto al rischio di incidenti gravi e quello di una maggiore economicità in quanto la taglia è spinta fino a una potenza di 1660 MW. D’altra parte, a differenza della quarta generazione, questa tecnologia produce la stessa quantità di scorie di prima, ma ancor più pericolose, e pare abbisognare di una quantità d’acqua assai maggiore. Questo fatto, insieme ad altri, condiziona e restringe significativamente le possibilità di individuazione dei siti idonei. Tra i vecchi siti nazionali pare che solo quello di Montalto di Castro, lontano da insediamenti abitativi e vicino al mare, risponda alle esigenze. Le altre eventuali localizzazioni andranno individuate successivamente e comunque sarà necessario intervenire in modo significativo sulla rete per trasportare l’elettricità lì prodotta.
L’accordo con la Francia prevede che l’Italia acquisisca o condivida il know-how tecnologico circa i reattori di terza generazione. Dal punto di vista degli interessi francesi la convenienza appare chiara: i cugini d’oltralpe hanno bisogno di alimentare una loro importante industria nazionale alla continua ricerca di commesse, in un contesto in cui, secondo le previsioni al 2030 o 2050 della Agenzia internazionale dell’energia, il nucleare non dovrebbe conoscere a livello mondiale una grande espansione sia nello scenario business as usual che in scenari di stabilizzazione delle emissioni di gas-serra (si vedano le figure 2, 3 e 4). Meno chiara è la convenienza italiana, in quanto si limita alla partecipazione di Enel alla costruzione di cinque nuovi reattori su territorio francese con tempi non indicati e quindi alquanto aleatori. Inoltre, sotto il profilo della ricerca e sperimentazione, se il futuro prossimo del nucleare è già delineato nei reattori di quarta generazione, non è chiaro perché per meglio sviluppare tale nuova tecnologia sia necessario adottarne una precedente. Dopotutto Enel è già presente nel nucleare attraverso gli impianti che possiede nei paesi dell’Est Europa. E l’Italia partecipa già al progetto Iter sul “vero” nucleare pulito, basato sulla fusione.
I TEMPI
Una seconda considerazione riguarda i tempi. Usando le parole dello stesso ministro Claudio Scajola la prima pietra del primo reattore dovrebbe essere posata nel 2013 e la prima energia elettronucleare dovrebbe fluire in rete non prima del 2020. A distanza di un anno l'uno dall'altro seguirebbero poi gli altri, cosicché nel 2023 avremmo una potenza complessiva di 6.640 MW elettronucleari. Secondo il ministro, a regime il nucleare dovrebbe fornire il 25 per cento dei consumi nazionali di elettricità, il resto sarebbe costituito da rinnovabili per un altro 25 per cento e da gas per il restante 50 per cento. Ma quel 25 per cento di nucleare corrisponde a circa 12.500 MW installati, il che implica che sarebbero necessari altri quattro reattori, che di fatto non potrebbero entrare in funzione prima del 2025-2030.
Queste previsioni naturalmente presuppongono che l’iter legislativo del cosiddetto Ddl manovra giunga finalmente al voto del Senato, dove è fermo e soggetto a emendamenti del governo, della maggioranza e dell’opposizione, così da produrre il necessario quadro normativo per il ritorno del nucleare in Italia in tempo utile. E le previsioni naturalmente suppongono che non vi siano ritardi mentre per queste opere sono sempre possibili se non probabili, soprattutto in un paese come il nostro. E poi che sia risolto il prevedibilmente controverso problema della scelta dei siti, in un'Italia dove la sindrome Nimby è ancora imperante e dove l’accettazione del nucleare da parte della popolazione non ha certo la tradizione dei cugini d’oltralpe. Ed è allora interessante notare l’approccio affatto differente scelto dal Regno Unito per le proprie future centrali nucleari: si sono scelti i siti attraverso la Nuclear Decommissioning Authority e poi si è bandita una gara internazionale tra aziende e tecnologie.
I FINANZIAMENTI
Collegato al discorso dei tempi è quello dei finanziamenti. A parte il problema contingente della crisi che ha fermato il credito, è un punto di debolezza del nucleare poiché è difficile concedere finanziamenti quando è difficile prevedere il prezzo dell’elettricità a dieci anni e più da oggi. Vero è che tale prezzo dipenderà crucialmente da cosa sarà avvenuto nel frattempo, sia sul fronte del costo delle fonti fossili, che su quello delle politiche di contrasto delle emissioni di gas-serra e del conseguente prezzo del carbonio. In una parola, il 2030 dipende dal 2020. Vero è pure che la costituzione di un consorzio sul modello finlandese, in cui i futuri acquirenti si impegnano a ritirare tutta l’elettricità nucleare di nuova produzione attenua il problema del finanziamento, al netto della crisi. Da questo punto di vista ci dichiariamo totalmente scettici in ordine al rischio che lo Stato non finisca per farsi carico di una parte, forse cospicua, degli oneri connessi alla realizzazione o completamento del progetto. Un ulteriore elemento riguarda l’attore italiano. Per digerire il boccone Endesa, la nostra Enel si è pesantemente indebitata. Al punto che progetta una cospicua ricapitalizzazione, il che mette in imbarazzo lo Stato italiano: se non vuole rinunciare al cospicuo dividendo distribuito dal leader di un mercato che non conosce la crisi e la cassa integrazione, deve partecipare alla ricapitalizzazione; se non lo fa la sua quota viene diluita. In questo contesto non è chiaro se la strada del rientro nel nucleare sia in discesa per l'Enel. Veniamo così all’aspettativa di un dimezzamento della bolletta elettrica. Pare quasi un miraggio, se non uno specchietto per le allodole: i francesi soddisfano il 78 per cento del proprio fabbisogno di elettricità con centrali nucleari i cui costi di costruzione sono stati da tempo sostenuti dallo Stato. In Italia non sarebbe così nemmeno nel 2030: un ruolo rilevante continuerebbe ad averlo il prezzo del gas. E ancora una volta ciò che accadrà dipende dalle scelte in materia di rinnovabili che nel frattempo il nostro governo avrà o non avrà fatto.
LA SICUREZZA ENERGETICA
E veniamo alla questione della sicurezza energetica. L’opzione nucleare consente di ridurre la nostra dipendenza energetica dall’estero. Verosimilmente diminuirebbe il nostro uso di gas nella produzione di elettricità, facendoci sentire relativamente più tranquilli negli inverni successivi a quello del 2020. In realtà, il contributo del nucleare a questo problema è tutto da definire: dipenderà infatti da quanto nel frattempo si sarà fatto per ridurre le emissioni espandendo il ricorso alle rinnovabili e migliorando l’efficienza energetica. A ciò si potrebbe aggiungere che ulteriori decisioni in materia di stoccaggio del gas e di rigassificatori potrebbero ridimensionare più o meno significativamente il potere di monopolio russo. Quanto poi al petrolio, importato soprattutto dai paesi arabi, è chiaro che la scelta nucleare è irrilevante: questa fonte fa funzionare i trasporti (su strada, per mare e per aria) e dovrà continuare a essere importata, in assenza di interventi sulla mobilità e di opzioni tecnologiche significative, come auto elettriche, ibride, a idrogeno. Sempre su questo punto confessiamo di non comprendere l’argomentazione spesso avanzata secondo cui il nucleare ci consentirebbe finalmente di produrre quella quota di fabbisogno elettrico che siamo costretti a comprare all’estero, in genere rappresentata da nucleare francese, svizzero, sloveno. Non capiamo perché mai, in un contesto di mercato unico europeo dell’elettricità (anche se ancora completamente interconnesso non è), in un momento in cui monta la discussione sulle supergrids, un paese come l’Italia dovrebbe puntare all’autosufficienza energetica. Perché in fondo dovremmo farci in casa il nucleare quando lo possiamo “comodamente” andare a comprare, a buon prezzo, dai partner d’oltralpe?
LA RIDUZIONE DELLE EMISSIONI
Infine il problema della riduzione delle emissioni e la lotta ai cambiamenti climatici. Il nucleare non produce emissioni di gas-serra. (2) Ma, come già osservato prima a proposito della bolletta elettrica, il suo contributo a regime sarà alquanto contenuto e così pure le minori emissioni che consentirà. Questo si può per esempio vedere nelle proiezioni al 2020 e 2040 dell’Enea nell’ipotesi di scenario di riduzione accelerata delle emissioni dove il nucleare contribuisce, rispetto al tendenziale, per il 10 per cento, a fronte di un contributo delle misure di risparmio energetico per il 17 per cento, dell’efficienza energetica per il 25 per cento e delle energie rinnovabili per il 25 per cento. In sostanza, per l’obiettivo di riduzione delle emissioni molto dipenderà dalle politiche. E qui il discorso si rivolge fatalmente all’orizzonte più vicino, quello del 2020, cui corrispondono precisi impegni di riduzione delle emissioni e di incremento delle rinnovabili per il nostro paese. Qualche tempo fa Chicco Testa sostenendo il ritorno al nucleare italiano osservava, non senza efficacia dialettica, che il mondo non finisce nel 2020. Ciò è sicuramente vero, ma una caratteristica di molte cose del mondo, dalle infrastrutture energetiche alle scelte politiche fino alla psicologia umana è la path dependence: le condizioni in cui la scelta di oggi giungerà a maturazione dipenderanno in modo cruciale, come abbiamo cercato di osservare in questo articolo, dalle misure di contrasto della crescita delle emissioni che saranno state prese nel frattempo. Sotto questo profilo il governo parla per il futuro, ma tace per il presente.
(1) Solo a titolo informativo alleghiamo, senza commentare, un grafico che rappresenta i costi della generazione elettrica per fonti e regioni contenuto nell’ultimo World Energy Outlook 2008 della Agenzia internazionale dell’energia (figura 1). Sul fronte delle scorte osserviamo, anche sulla base dei commenti dei lettori de lavoce.info, che questo sembra essere l’elemento di maggiore preoccupazione e critica al nucleare oggi.
(2) Naturalmente a questo proposito i critici del nucleare osservano che se consideriamo l’intero ciclo di produzione, inclusa l’estrazione dell’uranio, cospicua è l’energia tradizionale consumata e di conseguenza le emissioni generate, che non sono quindi nulle.
L'accordo Italia-Francia per un ritorno del nostro paese al nucleare è un colpo a effetto fondato su un'illusione. Quella che vede nell'elettronucleare la soluzione ai problemi della sicurezza energetica, del clima e dei costi dell'energia. Ma anche a regime il contributo del nucleare sarà ridotto. E su tutte le questioni quello che accadrà nel 2030 dipende dalle altre scelte in materia energetica che nel frattempo il nostro governo avrà o non avrà fatto. Senza dimenticare le difficoltà su localizzazione degli impianti, rispetto dei tempi di costruzione e finanziamenti.
Da qualunque lato lo si guardi l’annuncio dei presidenti Silvio Berlusconi e Nicolas Sarkozy in materia di energia nucleare appare più un colpo a effetto che una decisione dai contorni nitidi e realistici. E il nostro presidente del Consiglio sembra esercitare ancora una volta il suo talento nell'intercettare e opportunamente sfruttare un sentimento oggi (assai più) diffuso nel nostro paese di favore verso il ritorno all’energia elettronucleare. Si tratta di un orientamento, probabilmente maggioritario, più favorevole al principio che non alla sua concreta articolazione, alimentato da tre rilevanti fattori: una nuova preoccupazione per i cambiamenti del clima provocati da emissioni di gas-serra in continua crescita, una ricorrente preoccupazione circa la garanzie di forniture di gas di provenienza russa nel periodo invernale e soprattutto una crescente allergia al costo della bolletta elettrica delle famiglie, doppia di quella francese.
L'ILLUSIONE
Con la strategia di rientro nel nucleare inaugurata dall’attuale governo all’indomani del suo insediamento e con le decisioni franco-italiane di pochi giorni fa tra governi e tra monopoli o ex (o quasi) monopoli di stato, si crea l’illusione nella pubblica opinione e in tutti coloro che, non esperti, ricoprono posizioni di responsabilità che l’energia nucleare sia “la” soluzione al contempo del problema della sicurezza energetica, del problema climatico e del problema dei costi dell’energia.
In realtà non è affatto così. Non intendiamo, sia chiaro, entrare nel merito della vexata quaestio “nucleare: a favore o contro”; ci terremo di conseguenza lontano dalla questione del costo del nucleare rispetto a quello di altre fonti energetiche (gas, rinnovabili, carbone), così come non entreremo nel merito del problema delle scorie radioattive e del loro stoccaggio. (1) Vale però la pena considerare il ruolo del nucleare rispetto ai tre problemi menzionati.
LA TECNOLOGIA
La prima riguarda il tipo di tecnologia. Si tratta dei reattori Epr (European Pressurized Reactor), tecnologia messa a punto dai francesi e rappresentativa del nucleare cosiddetto di terza generazione avanzata: a oggi non esiste alcun esemplare in attività, ma solo due in costruzione a Olkiluoto (Finlandia) e a Flamanville (Francia). Non si tratta dunque di tecnologie da tempo (breve o lungo) in regolare attività, ma di nuove tecnologie. In particolare si rileva che il reattore in costruzione nell’efficiente Finlandia è già in ritardo di tre anni sui tempi di conclusione previsti con costi nel frattempo lievitati di quasi il 50 per cento. Rispetto alla generazione precedente, gli Epr offrono il vantaggio di una maggiore sicurezza rispetto al rischio di incidenti gravi e quello di una maggiore economicità in quanto la taglia è spinta fino a una potenza di 1660 MW. D’altra parte, a differenza della quarta generazione, questa tecnologia produce la stessa quantità di scorie di prima, ma ancor più pericolose, e pare abbisognare di una quantità d’acqua assai maggiore. Questo fatto, insieme ad altri, condiziona e restringe significativamente le possibilità di individuazione dei siti idonei. Tra i vecchi siti nazionali pare che solo quello di Montalto di Castro, lontano da insediamenti abitativi e vicino al mare, risponda alle esigenze. Le altre eventuali localizzazioni andranno individuate successivamente e comunque sarà necessario intervenire in modo significativo sulla rete per trasportare l’elettricità lì prodotta.
L’accordo con la Francia prevede che l’Italia acquisisca o condivida il know-how tecnologico circa i reattori di terza generazione. Dal punto di vista degli interessi francesi la convenienza appare chiara: i cugini d’oltralpe hanno bisogno di alimentare una loro importante industria nazionale alla continua ricerca di commesse, in un contesto in cui, secondo le previsioni al 2030 o 2050 della Agenzia internazionale dell’energia, il nucleare non dovrebbe conoscere a livello mondiale una grande espansione sia nello scenario business as usual che in scenari di stabilizzazione delle emissioni di gas-serra (si vedano le figure 2, 3 e 4). Meno chiara è la convenienza italiana, in quanto si limita alla partecipazione di Enel alla costruzione di cinque nuovi reattori su territorio francese con tempi non indicati e quindi alquanto aleatori. Inoltre, sotto il profilo della ricerca e sperimentazione, se il futuro prossimo del nucleare è già delineato nei reattori di quarta generazione, non è chiaro perché per meglio sviluppare tale nuova tecnologia sia necessario adottarne una precedente. Dopotutto Enel è già presente nel nucleare attraverso gli impianti che possiede nei paesi dell’Est Europa. E l’Italia partecipa già al progetto Iter sul “vero” nucleare pulito, basato sulla fusione.
I TEMPI
Una seconda considerazione riguarda i tempi. Usando le parole dello stesso ministro Claudio Scajola la prima pietra del primo reattore dovrebbe essere posata nel 2013 e la prima energia elettronucleare dovrebbe fluire in rete non prima del 2020. A distanza di un anno l'uno dall'altro seguirebbero poi gli altri, cosicché nel 2023 avremmo una potenza complessiva di 6.640 MW elettronucleari. Secondo il ministro, a regime il nucleare dovrebbe fornire il 25 per cento dei consumi nazionali di elettricità, il resto sarebbe costituito da rinnovabili per un altro 25 per cento e da gas per il restante 50 per cento. Ma quel 25 per cento di nucleare corrisponde a circa 12.500 MW installati, il che implica che sarebbero necessari altri quattro reattori, che di fatto non potrebbero entrare in funzione prima del 2025-2030.
Queste previsioni naturalmente presuppongono che l’iter legislativo del cosiddetto Ddl manovra giunga finalmente al voto del Senato, dove è fermo e soggetto a emendamenti del governo, della maggioranza e dell’opposizione, così da produrre il necessario quadro normativo per il ritorno del nucleare in Italia in tempo utile. E le previsioni naturalmente suppongono che non vi siano ritardi mentre per queste opere sono sempre possibili se non probabili, soprattutto in un paese come il nostro. E poi che sia risolto il prevedibilmente controverso problema della scelta dei siti, in un'Italia dove la sindrome Nimby è ancora imperante e dove l’accettazione del nucleare da parte della popolazione non ha certo la tradizione dei cugini d’oltralpe. Ed è allora interessante notare l’approccio affatto differente scelto dal Regno Unito per le proprie future centrali nucleari: si sono scelti i siti attraverso la Nuclear Decommissioning Authority e poi si è bandita una gara internazionale tra aziende e tecnologie.
I FINANZIAMENTI
Collegato al discorso dei tempi è quello dei finanziamenti. A parte il problema contingente della crisi che ha fermato il credito, è un punto di debolezza del nucleare poiché è difficile concedere finanziamenti quando è difficile prevedere il prezzo dell’elettricità a dieci anni e più da oggi. Vero è che tale prezzo dipenderà crucialmente da cosa sarà avvenuto nel frattempo, sia sul fronte del costo delle fonti fossili, che su quello delle politiche di contrasto delle emissioni di gas-serra e del conseguente prezzo del carbonio. In una parola, il 2030 dipende dal 2020. Vero è pure che la costituzione di un consorzio sul modello finlandese, in cui i futuri acquirenti si impegnano a ritirare tutta l’elettricità nucleare di nuova produzione attenua il problema del finanziamento, al netto della crisi. Da questo punto di vista ci dichiariamo totalmente scettici in ordine al rischio che lo Stato non finisca per farsi carico di una parte, forse cospicua, degli oneri connessi alla realizzazione o completamento del progetto. Un ulteriore elemento riguarda l’attore italiano. Per digerire il boccone Endesa, la nostra Enel si è pesantemente indebitata. Al punto che progetta una cospicua ricapitalizzazione, il che mette in imbarazzo lo Stato italiano: se non vuole rinunciare al cospicuo dividendo distribuito dal leader di un mercato che non conosce la crisi e la cassa integrazione, deve partecipare alla ricapitalizzazione; se non lo fa la sua quota viene diluita. In questo contesto non è chiaro se la strada del rientro nel nucleare sia in discesa per l'Enel. Veniamo così all’aspettativa di un dimezzamento della bolletta elettrica. Pare quasi un miraggio, se non uno specchietto per le allodole: i francesi soddisfano il 78 per cento del proprio fabbisogno di elettricità con centrali nucleari i cui costi di costruzione sono stati da tempo sostenuti dallo Stato. In Italia non sarebbe così nemmeno nel 2030: un ruolo rilevante continuerebbe ad averlo il prezzo del gas. E ancora una volta ciò che accadrà dipende dalle scelte in materia di rinnovabili che nel frattempo il nostro governo avrà o non avrà fatto.
LA SICUREZZA ENERGETICA
E veniamo alla questione della sicurezza energetica. L’opzione nucleare consente di ridurre la nostra dipendenza energetica dall’estero. Verosimilmente diminuirebbe il nostro uso di gas nella produzione di elettricità, facendoci sentire relativamente più tranquilli negli inverni successivi a quello del 2020. In realtà, il contributo del nucleare a questo problema è tutto da definire: dipenderà infatti da quanto nel frattempo si sarà fatto per ridurre le emissioni espandendo il ricorso alle rinnovabili e migliorando l’efficienza energetica. A ciò si potrebbe aggiungere che ulteriori decisioni in materia di stoccaggio del gas e di rigassificatori potrebbero ridimensionare più o meno significativamente il potere di monopolio russo. Quanto poi al petrolio, importato soprattutto dai paesi arabi, è chiaro che la scelta nucleare è irrilevante: questa fonte fa funzionare i trasporti (su strada, per mare e per aria) e dovrà continuare a essere importata, in assenza di interventi sulla mobilità e di opzioni tecnologiche significative, come auto elettriche, ibride, a idrogeno. Sempre su questo punto confessiamo di non comprendere l’argomentazione spesso avanzata secondo cui il nucleare ci consentirebbe finalmente di produrre quella quota di fabbisogno elettrico che siamo costretti a comprare all’estero, in genere rappresentata da nucleare francese, svizzero, sloveno. Non capiamo perché mai, in un contesto di mercato unico europeo dell’elettricità (anche se ancora completamente interconnesso non è), in un momento in cui monta la discussione sulle supergrids, un paese come l’Italia dovrebbe puntare all’autosufficienza energetica. Perché in fondo dovremmo farci in casa il nucleare quando lo possiamo “comodamente” andare a comprare, a buon prezzo, dai partner d’oltralpe?
LA RIDUZIONE DELLE EMISSIONI
Infine il problema della riduzione delle emissioni e la lotta ai cambiamenti climatici. Il nucleare non produce emissioni di gas-serra. (2) Ma, come già osservato prima a proposito della bolletta elettrica, il suo contributo a regime sarà alquanto contenuto e così pure le minori emissioni che consentirà. Questo si può per esempio vedere nelle proiezioni al 2020 e 2040 dell’Enea nell’ipotesi di scenario di riduzione accelerata delle emissioni dove il nucleare contribuisce, rispetto al tendenziale, per il 10 per cento, a fronte di un contributo delle misure di risparmio energetico per il 17 per cento, dell’efficienza energetica per il 25 per cento e delle energie rinnovabili per il 25 per cento. In sostanza, per l’obiettivo di riduzione delle emissioni molto dipenderà dalle politiche. E qui il discorso si rivolge fatalmente all’orizzonte più vicino, quello del 2020, cui corrispondono precisi impegni di riduzione delle emissioni e di incremento delle rinnovabili per il nostro paese. Qualche tempo fa Chicco Testa sostenendo il ritorno al nucleare italiano osservava, non senza efficacia dialettica, che il mondo non finisce nel 2020. Ciò è sicuramente vero, ma una caratteristica di molte cose del mondo, dalle infrastrutture energetiche alle scelte politiche fino alla psicologia umana è la path dependence: le condizioni in cui la scelta di oggi giungerà a maturazione dipenderanno in modo cruciale, come abbiamo cercato di osservare in questo articolo, dalle misure di contrasto della crescita delle emissioni che saranno state prese nel frattempo. Sotto questo profilo il governo parla per il futuro, ma tace per il presente.
(1) Solo a titolo informativo alleghiamo, senza commentare, un grafico che rappresenta i costi della generazione elettrica per fonti e regioni contenuto nell’ultimo World Energy Outlook 2008 della Agenzia internazionale dell’energia (figura 1). Sul fronte delle scorte osserviamo, anche sulla base dei commenti dei lettori de lavoce.info, che questo sembra essere l’elemento di maggiore preoccupazione e critica al nucleare oggi.
(2) Naturalmente a questo proposito i critici del nucleare osservano che se consideriamo l’intero ciclo di produzione, inclusa l’estrazione dell’uranio, cospicua è l’energia tradizionale consumata e di conseguenza le emissioni generate, che non sono quindi nulle.
Fonte:LaVoce.info
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