di Emiliano Fittipaldi
Famiglie colpite dalla recessione. Che non riescono a pagare l'affitto. E costrette a lasciare l'abitazione. Un fenomeno drammatico. Specie al Centro-Nord
Caterina Galdiero, nella tragedia che va in scena ad ogni sfratto, interpreta la parte della cattiva. Accento meridionale, carattere tosto, fa uno dei mestieri più odiati dall'immaginario collettivo nazionale: l'ufficiale giudiziario. La longa manus operativa dei giudici, che entra in azione quando i provvedimenti non vengono eseguiti "spontaneamente" da debitori di ogni specie. Negli ultimi mesi Caterina sta diventano buona. Sembra un'assistente sociale. «A Reggio Emilia la situazione è precipitata. Riceviamo ogni santo giorno sei o sette citazioni per sfratti coatti. Quasi tutti per morosità. La gente travolta dalla crisi non riesce più a pagare l'affitto. Non sono delinquenti che fregano i proprietari, come spesso avveniva in passato, ma povere famiglie che perdono il lavoro». A Reggio da marzo a giugno sono arrivati 936 istanze nuove di zecca. I dati sono ufficiali, vengono dal tribunale: l'aumento medio rispetto al 2008 è del 557 per cento. Caterina e la sua squadra sta assistendo a un fenomeno sociale mai visto prima in una delle province più ricche d'Europa: «Ci dobbiamo corazzare umanamente e psicologicamente. Ci troviamo di fronte a disperati, a situazioni di povertà pura. Immigrati, operai in cassa integrazione, precari, impiegati, coppie con figli. Siamo noi in genere a chiamare i servizi sociali, ma devo dire la verità: ne riusciamo a risistemare pochini». Già: la stragrande maggioranza va in strada e si arrangia come puo.
Anche in Lombardia la situazione è fuori controllo. I giudici applicano la legge e firmano notifiche a quintali. Pio De Chiara, che fa il lavoro del "cattivo" da 26 anni ed è segretario regionale del sindacato degli ufficiali giudiziari, dice che non lavora così tanto dal 1991. Altro periodo difficile per l'economia. «Stavolta è peggio. Io ho il mandamento su Trezzano dell'Adda, Gorgonzola e altri otto comuni. L'aumento dei morosi è pazzesco, del 40-50 per cento. Io non posso farci nulla, se ci vanno di mezzo bambini e anziani cerco di spostare l'arrivo della polizia di una, due settimane. Ma dopo il secondo accesso dobbiamo cambiare la serratura. Qualcuno dice che noi acceleriamo per guadagnare più soldi, ma è una menzogna. Per uno sfratto becco la miseria di 17,20 euro, un fabbro circa 150. Lo scriva, noi con questo boom non ci guadagniamo niente».
Decine di migliaia di persone, di sicuro, stanno perdendo tutto. Le tabelle provvisorie del ministero degli Interni (pubblicate su Internet e subito ritirate) arrivano fino al dicembre 2008. Raccontano come la recessione si stia accanendo sui più deboli e, paradossalmente, sulle regioni più produttive. Quelle della Padania, dove chiudono le fabbriche e non si rinnovano i contratti a termine di precari e interinali. Gli sfratti emessi sono cresciuti in Italia del 17 per cento, ma a Torino si arriva al 50, a Venezia al 260, a Treviso al 74, Como e Mantova sfiorano un aumento del 40. Anche a Brindisi, Isernia e Napoli si registra un raddoppio secco, ma in dati assoluti tre sfratti su quattro sono localizzati al Centro-nord. Una dinamica che sta assumendo proporzioni ancor più gravi nei primi sei mesi del 2009, di pari passo con il boom della disoccupazione.
La catastrofe travolge pure le regioni "rosse", dove il welfare comunale non riesce più a ricucire gli strappi che si aprono ogni giorno nel tessuto sociale. A Firenze il mix tra poca disponibilità abitativa, flussi turistici e arrivi degli studenti ha fatto schizzare i canoni di affitto a prezzi esorbitanti. In media una casa costa, secondo uno studio della Uil, 1.082 euro ed erode quasi la metà del reddito mensile. Claudia Verri, che ha appena compiuto 48 anni, fino a gennaio mandava avanti un negozio di abbigliamento nel centro storico. Il negozio è fallito alla velocità della luce e si è ritrovata all'improvviso con un affitto da 1.200 euro, più un figlio da mantenere all'università. Cacciata di casa, ora lavora part-time come cassiera a 800 euro al mese, ha piazzato il ragazzo in giro da amici e preso una stanza dentro un appartamento che divide con cinque persone.
Una discesa sociale choccante: «Con loro non mi trovo. Sono pendolari, altri impoveriti a causa della separazione con la moglie. Come mi sento? Umiliata, stanca». Simone Porzio, del Sunia, ha seguito il caso. Il suo ufficio è sommerso di atti e carte. Fa un caldo boia, e la fila davanti allo sportello informazioni inizia fuori il palazzo. «A Firenze solo a luglio abbiamo contato 50 sfratti con la forza pubblica. Quarantasei erano morosi, quasi tutte famiglie italiane, giovani con uno o due figli. Il cursus è sempre lo stesso: uno dei due perde il lavoro, cerca inutilmente un nuovo impiego, i risparmi si riducono al lumicino, si taglia l'affitto prima e le bollette di luce e gas dopo». Gli extracomunitari non sono ancora finiti nel vortice: senza casa perdono il permesso di soggiorno, così fanno salti mortali per dividere le spese e tenersi strette stamberghe che i locatari si fanno pagare a peso d'oro. «Vivono in dieci in 45 metri quadri, ma l'affitto lo pagano puntuali. Non a caso sono gli inquilini preferiti da chi affitta case diroccate nel centro storico. Speculatori. Gli studenti sono fuggiti in periferia».
Per capire dove il fenomeno-sfratti incide di più, l'Unione inquilini ha messo in rapporto i morosi con il numero totale delle famiglie residenti. Ne esce una classifica sorprendente: la provincia più colpita è quella di Modena, seguita da Rimini, Firenze, Pistoia, Roma e Genova. Le dieci province meno coinvolte sono tutte nel Sud, insieme a Milano (penultima, ma i dati sono incompleti) e Bolzano. Il governo conosce bene i numeri del disagio, ma sembra guardarli impassibile: il decreto firmato pochi giorni fa non protegge quasi nessuno degli inquilini in difficoltà. I diritti dei proprietari restano sacri: la proroga a fine anno è destinata solo a chi ha in mano un contratto scaduto e un reddito inferiore a 27 mila euro l'anno. Nei parametri ci rientrano in pochi, meno del 20 per cento del totale.
«Bisogna cambiare la legge. È impensabile che chi perde il lavoro sia trattato come un delinquente», spiega Massimo Pasquini che ha stilato il rapporto per "L'espresso": «Per accedere a una casa popolare servono i punti, che accumuli solo se ti hanno cacciato per finita locazione, non per morosità. In quel caso in una settimana ti danno l'alloggio. Gli altri rischiano di diventare degli homeless». Un fenomeno all'americana che si trasforma in guerra tra poveri, tra divorziati che non reggono il costo di due tetti, vecchi con pensioni da fame e giovani che vedono finire la casa all'asta perché non riescono a pagare la rata del mutuo.
Già. Pure i pignoramenti immobiliari stanno andando a rotta di collo. Gianni Garreffa lavora in Emilia come ufficiale giudiziario, spiega che dall'inizio dell'anno i numeri sono triplicati. «Prima si facevano avanti solo i piccoli creditori, ora sono le banche a spingere perché l'immobile sia venduto. Solo nella zona di Reggio dobbiamo vendere 270 appartamenti, molti acquistati con un mutuo da operai del distretto della ceramica in cassa integrazione». La sofferenza del ceto medio è sintetizzata anche dalle richieste dell'Enia, la municipalizzata locale, che rivuole indietro i soldi delle bollette non pagate. Garretta è quasi in imbarazzo. «Ogni mese bussiamo a 200 campanelli per chiedere somme dai 200 ai 300 euro. Prima pagavano subito, e noi soprassedevamo. Ora ammettono che i soldi gli servono per fare la spesa, e ci fanno pignorare. Noi prendiamo un'auto, se c'è, o un televisore, se è a cristalli liquidi o al plasma. Preferiamo oggetti piccoli, che non comportino troppe spese di trasporto». Stesse scene a Modena, dove negli ultimi dieci anni gli affitti sono cresciuti del 130 per cento mentre il potere d'acquisto delle famiglie di dipendenti e tute blu, statistiche Bankitalia alla mano, è calato di qualche punto. Un testacoda che diventa letale in tempi difficili come i nostri. «A essere travolti sono soprattutto i meridionali, gli emigranti arrivati a fine anni '90», chiosa Antonietta Mencarelli del Sunia. Cristina e Pasquale Cennamo, originari di Somma Vesuviana, raccontano la loro storia. Lui fa il camionista, lei lavorava alla cooperativa Cir Food. Preparava pasti per gli ospedali. «Il nostro affitto è buono, 580 euro al mese, ma il condominio supera i 220», dice Cristina: «A febbraio è nato il mio secondo figlio, sono caduta in depressione post-partum, mi sono dimenticata di dare il preavviso e mi hanno licenziato per giusta causa. Non paghiamo l'affitto da marzo. Quando sono guarita ho cercato un nuovo lavoro. Ma non ho trovato nulla: ristoranti, ditte di pulizie, manco al nero mi vogliono». L'ente religioso proprietario si è mosso in fretta, il 7 settembre è previsto il primo accesso. «Vogliono 5mila euro in tutto. Un finanziamento l'abbiamo chiesto: ce l'hanno bocciato per mancanza di garanzie». Il passo verso gli usurai, dicono le associazioni dei consumatori, è breve: non a caso gli esponenti dei Casalesi arrestati in città la settimana scorsa facevano affari con le bische e anche con i prestiti a tassi criminali.
Lo Stato sembra impotente. L'abolizione dell'Ici e il piano casa con allargamenti annessi voluto da Berlusconi e Tremonti favoriscono chi una casa già ce l'ha, mentre l'edilizia popolare resta al palo. Le tasse sugli affitti rimangono altissime, scoraggiando i proprietari di immobili sfitti a metterli sul mercato: si tratta di centinaia di migliaia di appartamenti che, aumentando l'offerta e la concorrenza, potrebbero calmierare i canoni. Così a Milano gli sfratti pendenti oggi sono 6 mila, ammettono dall'assessorato alla Casa. Nel 2008 le forze dell'ordine hanno sgombrato 2 mila famiglie. Qualcuna tenta la fortuna all'Aler, ma è come vincere la lotteria: nell'ultimo lustro su 25 mila domande solo in 1.500 hanno avuto la chiave di un appartamento. Non è tutto. Il fondo sociale per il sostegno all'affitto era di 58 milioni nel 2000, oggi viaggia sui 30. «Le risorse destinate dalla politica sono risibili», chiude Stefano Chiappelli della Cgil.
Pure a Roma gli sfratti esecutivi stanno diventando un fenomeno di massa. Gli affitti d'oro della capitale sono leggendari e la schiera dei morosi si sta allargando a macchia d'olio. Si tenta di resistere a oltranza, alcuni decidono di occupare palazzi vuoti. Giovanna Cavallo, attivista del movimento di sinistra Action specializzato in espropri, spiega che «il martedì dobbiamo mettere i numeretti». Ci sono gli extracomunitari con il permesso di soggiorno (secondo il Sunia sono il 22 per cento del totale), gli italiani che si vedono aumentare l'affitto da 700 a 1.200 euro alla fine del contratto, colonie di famiglie vittime di speculazioni immobiliari. «A Via Caio Rutilio una cinquantina di persone, soprattutto anziani, verranno messe sul marciapiede dai proprietari del palazzo, gli eredi della marchesa di Alverà, che chiedono canoni pazzeschi». In fila ci sono pure i "cartolarizzati", gli inquilini dei palazzi venduti dallo Stato per fare cassa e quelli vessati dalle assicurazioni con l'hobby dell'immobile. Una massa multicolore, gente diversissima unita dal destino comune di doversi trovare una nuova casa.
Giuseppe aspetta paziente il suo turno. «Ho perso il lavoro ad aprile dell'anno scorso. Ero dipendente di una ditta di mozzarelle, che ha subito un calo delle ordinazioni. Mi hanno licenziato, non ho potuto fare causa perché l'azienda è sotto i 15 dipendenti. Così non sono più riuscito a pagare l'affitto». Moglie e figlia di due anni a carico, l'ufficiale giudiziario gli ha fatto visita il 3 luglio. La prossima volta arriverà con ambulanza e polizia. «Ma non li aspetterò. Ci stiamo organizzando per occupare insieme ad altri sfigati come me. Commetterò il primo reato della mia vita, ma che devo fare? Action è l'ultima spiaggia».
Famiglie colpite dalla recessione. Che non riescono a pagare l'affitto. E costrette a lasciare l'abitazione. Un fenomeno drammatico. Specie al Centro-Nord
Caterina Galdiero, nella tragedia che va in scena ad ogni sfratto, interpreta la parte della cattiva. Accento meridionale, carattere tosto, fa uno dei mestieri più odiati dall'immaginario collettivo nazionale: l'ufficiale giudiziario. La longa manus operativa dei giudici, che entra in azione quando i provvedimenti non vengono eseguiti "spontaneamente" da debitori di ogni specie. Negli ultimi mesi Caterina sta diventano buona. Sembra un'assistente sociale. «A Reggio Emilia la situazione è precipitata. Riceviamo ogni santo giorno sei o sette citazioni per sfratti coatti. Quasi tutti per morosità. La gente travolta dalla crisi non riesce più a pagare l'affitto. Non sono delinquenti che fregano i proprietari, come spesso avveniva in passato, ma povere famiglie che perdono il lavoro». A Reggio da marzo a giugno sono arrivati 936 istanze nuove di zecca. I dati sono ufficiali, vengono dal tribunale: l'aumento medio rispetto al 2008 è del 557 per cento. Caterina e la sua squadra sta assistendo a un fenomeno sociale mai visto prima in una delle province più ricche d'Europa: «Ci dobbiamo corazzare umanamente e psicologicamente. Ci troviamo di fronte a disperati, a situazioni di povertà pura. Immigrati, operai in cassa integrazione, precari, impiegati, coppie con figli. Siamo noi in genere a chiamare i servizi sociali, ma devo dire la verità: ne riusciamo a risistemare pochini». Già: la stragrande maggioranza va in strada e si arrangia come puo.
Anche in Lombardia la situazione è fuori controllo. I giudici applicano la legge e firmano notifiche a quintali. Pio De Chiara, che fa il lavoro del "cattivo" da 26 anni ed è segretario regionale del sindacato degli ufficiali giudiziari, dice che non lavora così tanto dal 1991. Altro periodo difficile per l'economia. «Stavolta è peggio. Io ho il mandamento su Trezzano dell'Adda, Gorgonzola e altri otto comuni. L'aumento dei morosi è pazzesco, del 40-50 per cento. Io non posso farci nulla, se ci vanno di mezzo bambini e anziani cerco di spostare l'arrivo della polizia di una, due settimane. Ma dopo il secondo accesso dobbiamo cambiare la serratura. Qualcuno dice che noi acceleriamo per guadagnare più soldi, ma è una menzogna. Per uno sfratto becco la miseria di 17,20 euro, un fabbro circa 150. Lo scriva, noi con questo boom non ci guadagniamo niente».
Decine di migliaia di persone, di sicuro, stanno perdendo tutto. Le tabelle provvisorie del ministero degli Interni (pubblicate su Internet e subito ritirate) arrivano fino al dicembre 2008. Raccontano come la recessione si stia accanendo sui più deboli e, paradossalmente, sulle regioni più produttive. Quelle della Padania, dove chiudono le fabbriche e non si rinnovano i contratti a termine di precari e interinali. Gli sfratti emessi sono cresciuti in Italia del 17 per cento, ma a Torino si arriva al 50, a Venezia al 260, a Treviso al 74, Como e Mantova sfiorano un aumento del 40. Anche a Brindisi, Isernia e Napoli si registra un raddoppio secco, ma in dati assoluti tre sfratti su quattro sono localizzati al Centro-nord. Una dinamica che sta assumendo proporzioni ancor più gravi nei primi sei mesi del 2009, di pari passo con il boom della disoccupazione.
La catastrofe travolge pure le regioni "rosse", dove il welfare comunale non riesce più a ricucire gli strappi che si aprono ogni giorno nel tessuto sociale. A Firenze il mix tra poca disponibilità abitativa, flussi turistici e arrivi degli studenti ha fatto schizzare i canoni di affitto a prezzi esorbitanti. In media una casa costa, secondo uno studio della Uil, 1.082 euro ed erode quasi la metà del reddito mensile. Claudia Verri, che ha appena compiuto 48 anni, fino a gennaio mandava avanti un negozio di abbigliamento nel centro storico. Il negozio è fallito alla velocità della luce e si è ritrovata all'improvviso con un affitto da 1.200 euro, più un figlio da mantenere all'università. Cacciata di casa, ora lavora part-time come cassiera a 800 euro al mese, ha piazzato il ragazzo in giro da amici e preso una stanza dentro un appartamento che divide con cinque persone.
Una discesa sociale choccante: «Con loro non mi trovo. Sono pendolari, altri impoveriti a causa della separazione con la moglie. Come mi sento? Umiliata, stanca». Simone Porzio, del Sunia, ha seguito il caso. Il suo ufficio è sommerso di atti e carte. Fa un caldo boia, e la fila davanti allo sportello informazioni inizia fuori il palazzo. «A Firenze solo a luglio abbiamo contato 50 sfratti con la forza pubblica. Quarantasei erano morosi, quasi tutte famiglie italiane, giovani con uno o due figli. Il cursus è sempre lo stesso: uno dei due perde il lavoro, cerca inutilmente un nuovo impiego, i risparmi si riducono al lumicino, si taglia l'affitto prima e le bollette di luce e gas dopo». Gli extracomunitari non sono ancora finiti nel vortice: senza casa perdono il permesso di soggiorno, così fanno salti mortali per dividere le spese e tenersi strette stamberghe che i locatari si fanno pagare a peso d'oro. «Vivono in dieci in 45 metri quadri, ma l'affitto lo pagano puntuali. Non a caso sono gli inquilini preferiti da chi affitta case diroccate nel centro storico. Speculatori. Gli studenti sono fuggiti in periferia».
Per capire dove il fenomeno-sfratti incide di più, l'Unione inquilini ha messo in rapporto i morosi con il numero totale delle famiglie residenti. Ne esce una classifica sorprendente: la provincia più colpita è quella di Modena, seguita da Rimini, Firenze, Pistoia, Roma e Genova. Le dieci province meno coinvolte sono tutte nel Sud, insieme a Milano (penultima, ma i dati sono incompleti) e Bolzano. Il governo conosce bene i numeri del disagio, ma sembra guardarli impassibile: il decreto firmato pochi giorni fa non protegge quasi nessuno degli inquilini in difficoltà. I diritti dei proprietari restano sacri: la proroga a fine anno è destinata solo a chi ha in mano un contratto scaduto e un reddito inferiore a 27 mila euro l'anno. Nei parametri ci rientrano in pochi, meno del 20 per cento del totale.
«Bisogna cambiare la legge. È impensabile che chi perde il lavoro sia trattato come un delinquente», spiega Massimo Pasquini che ha stilato il rapporto per "L'espresso": «Per accedere a una casa popolare servono i punti, che accumuli solo se ti hanno cacciato per finita locazione, non per morosità. In quel caso in una settimana ti danno l'alloggio. Gli altri rischiano di diventare degli homeless». Un fenomeno all'americana che si trasforma in guerra tra poveri, tra divorziati che non reggono il costo di due tetti, vecchi con pensioni da fame e giovani che vedono finire la casa all'asta perché non riescono a pagare la rata del mutuo.
Già. Pure i pignoramenti immobiliari stanno andando a rotta di collo. Gianni Garreffa lavora in Emilia come ufficiale giudiziario, spiega che dall'inizio dell'anno i numeri sono triplicati. «Prima si facevano avanti solo i piccoli creditori, ora sono le banche a spingere perché l'immobile sia venduto. Solo nella zona di Reggio dobbiamo vendere 270 appartamenti, molti acquistati con un mutuo da operai del distretto della ceramica in cassa integrazione». La sofferenza del ceto medio è sintetizzata anche dalle richieste dell'Enia, la municipalizzata locale, che rivuole indietro i soldi delle bollette non pagate. Garretta è quasi in imbarazzo. «Ogni mese bussiamo a 200 campanelli per chiedere somme dai 200 ai 300 euro. Prima pagavano subito, e noi soprassedevamo. Ora ammettono che i soldi gli servono per fare la spesa, e ci fanno pignorare. Noi prendiamo un'auto, se c'è, o un televisore, se è a cristalli liquidi o al plasma. Preferiamo oggetti piccoli, che non comportino troppe spese di trasporto». Stesse scene a Modena, dove negli ultimi dieci anni gli affitti sono cresciuti del 130 per cento mentre il potere d'acquisto delle famiglie di dipendenti e tute blu, statistiche Bankitalia alla mano, è calato di qualche punto. Un testacoda che diventa letale in tempi difficili come i nostri. «A essere travolti sono soprattutto i meridionali, gli emigranti arrivati a fine anni '90», chiosa Antonietta Mencarelli del Sunia. Cristina e Pasquale Cennamo, originari di Somma Vesuviana, raccontano la loro storia. Lui fa il camionista, lei lavorava alla cooperativa Cir Food. Preparava pasti per gli ospedali. «Il nostro affitto è buono, 580 euro al mese, ma il condominio supera i 220», dice Cristina: «A febbraio è nato il mio secondo figlio, sono caduta in depressione post-partum, mi sono dimenticata di dare il preavviso e mi hanno licenziato per giusta causa. Non paghiamo l'affitto da marzo. Quando sono guarita ho cercato un nuovo lavoro. Ma non ho trovato nulla: ristoranti, ditte di pulizie, manco al nero mi vogliono». L'ente religioso proprietario si è mosso in fretta, il 7 settembre è previsto il primo accesso. «Vogliono 5mila euro in tutto. Un finanziamento l'abbiamo chiesto: ce l'hanno bocciato per mancanza di garanzie». Il passo verso gli usurai, dicono le associazioni dei consumatori, è breve: non a caso gli esponenti dei Casalesi arrestati in città la settimana scorsa facevano affari con le bische e anche con i prestiti a tassi criminali.
Lo Stato sembra impotente. L'abolizione dell'Ici e il piano casa con allargamenti annessi voluto da Berlusconi e Tremonti favoriscono chi una casa già ce l'ha, mentre l'edilizia popolare resta al palo. Le tasse sugli affitti rimangono altissime, scoraggiando i proprietari di immobili sfitti a metterli sul mercato: si tratta di centinaia di migliaia di appartamenti che, aumentando l'offerta e la concorrenza, potrebbero calmierare i canoni. Così a Milano gli sfratti pendenti oggi sono 6 mila, ammettono dall'assessorato alla Casa. Nel 2008 le forze dell'ordine hanno sgombrato 2 mila famiglie. Qualcuna tenta la fortuna all'Aler, ma è come vincere la lotteria: nell'ultimo lustro su 25 mila domande solo in 1.500 hanno avuto la chiave di un appartamento. Non è tutto. Il fondo sociale per il sostegno all'affitto era di 58 milioni nel 2000, oggi viaggia sui 30. «Le risorse destinate dalla politica sono risibili», chiude Stefano Chiappelli della Cgil.
Pure a Roma gli sfratti esecutivi stanno diventando un fenomeno di massa. Gli affitti d'oro della capitale sono leggendari e la schiera dei morosi si sta allargando a macchia d'olio. Si tenta di resistere a oltranza, alcuni decidono di occupare palazzi vuoti. Giovanna Cavallo, attivista del movimento di sinistra Action specializzato in espropri, spiega che «il martedì dobbiamo mettere i numeretti». Ci sono gli extracomunitari con il permesso di soggiorno (secondo il Sunia sono il 22 per cento del totale), gli italiani che si vedono aumentare l'affitto da 700 a 1.200 euro alla fine del contratto, colonie di famiglie vittime di speculazioni immobiliari. «A Via Caio Rutilio una cinquantina di persone, soprattutto anziani, verranno messe sul marciapiede dai proprietari del palazzo, gli eredi della marchesa di Alverà, che chiedono canoni pazzeschi». In fila ci sono pure i "cartolarizzati", gli inquilini dei palazzi venduti dallo Stato per fare cassa e quelli vessati dalle assicurazioni con l'hobby dell'immobile. Una massa multicolore, gente diversissima unita dal destino comune di doversi trovare una nuova casa.
Giuseppe aspetta paziente il suo turno. «Ho perso il lavoro ad aprile dell'anno scorso. Ero dipendente di una ditta di mozzarelle, che ha subito un calo delle ordinazioni. Mi hanno licenziato, non ho potuto fare causa perché l'azienda è sotto i 15 dipendenti. Così non sono più riuscito a pagare l'affitto». Moglie e figlia di due anni a carico, l'ufficiale giudiziario gli ha fatto visita il 3 luglio. La prossima volta arriverà con ambulanza e polizia. «Ma non li aspetterò. Ci stiamo organizzando per occupare insieme ad altri sfigati come me. Commetterò il primo reato della mia vita, ma che devo fare? Action è l'ultima spiaggia».
Fonte:L'Espresso
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