Di Angelo Forgione
I napoletani di oggi dovrebbero avventurarsi nella conoscenza della storia della città, del suo passato di capitale che potrebbe insegnare molto a chi oggi pensa di vivere in una città senza futuro. Il modo con cui i nostri amministratori curano la sovrintendenza del luogo e il vandalismo perpetrato al patrimonio artistico e architettonico da parte dei cittadini sono sicuramente figli di un vuoto di conoscenza del periodo borbonico della Napoli duosicula. Si può affermare che la città, in nome della sua appartenenza repubblicana, neghi a sé stessa la conoscenza della sua era storica più fulgida che va dal 1734 al 1860, periodo in cui i Borbone di Spagna fecero di Napoli un'ambita capitale europea al pari di Londra e Parigi.
Il vuoto di conoscenza è sua volta figlio di una cancellazione “chirurgica” da parte della monarchia sabauda delle tracce borboniche, sotterrate per far posto alla dinastia subentrante.
Una grande campagna d’odio dei Savoia verso i Borbone si è consumata con imponenti azioni di cancellazione di ogni memoria, attraverso la distruzione dei monumenti, delle lapidi e della toponomastica che li ricordava. Statue, monumenti e nomi borbonici sono spariti da tutte le città dell’antico Regno.
Se fino al 1860 la città capitale del Regno delle Due Sicilie era espressione della monarchia borbonica regnante, a seguito della risalita garibaldina della penisola, la monarchia subentrante impose una campagna di denigrazione della precedente e dei vecchi sovrani che si è trascinata fino ai giorni nostri, offuscandone il blasone e i meriti indiscutibili. Napoli passò traumaticamente dal suo ruolo di capitale di uno stato tra i primi in Europa a quello di capoluogo di una regione meridionale destinata ad essere abbandonata dal nuovo stato d’impronta piemontese.
I grandi primati non solo italiani del Regno delle Due Sicilie furono umiliati dall’arretratezza in cui fu gettato tutto il meridione e confusi in un’opera di mistificazione tale che, ancora oggi, il termine “borbonico” è sui vocabolari come sinonimo di inefficienza e arretratezza, in cui erano in realtà immerse proprio le popolazioni del nord.
Tutto, nella Napoli di oggi parla "sottovoce" di monarchia sabauda. La cancellazione delle tracce borboniche si evince da uno strumento demografico di indagine conoscitiva, la toponomastica senza memoria di una città nelle cui strade e piazze non appare un riferimento borbonico se non in qualche caso isolato. Forse i napoletani non se ne rendono conto ma vi sono vie, statue, scuole, edifici di ogni ordine e grado dedicate ai Savoia. Una toponomastica imposta che comunica una falsità storica: Napoli città savoiarda.
Eccezion fatta per la Piazza Carlo III, laddove sorge il “Real Albergo dei poveri, non c’è più traccia della memoria storica duosicula, sostituita dai nomi di coloro che imposero la “liberazione” della città e del meridione espropriandoli delle proprie ricchezze.
Il caso più interessante, in quest’ottica di sovrapposizione di monarchia, riguarda la strada più lunga della città: il “Corso Vittorio Emanuele”; con i suoi quattro chilometri e più di curve panoramiche, costeggia le pendici del Vomero per sfociare a Piedigrotta. Il nome attuale nasconde proprio la paternità e le finalità originali dell’arteria: solo ai conoscitori della storia della città è dato saperlo ma i cittadini non possono neanche intuire che la strada fu un’opera dei Borbone i quali, tra le tante opere urbane, realizzarono la prima vera tangenziale d'Europa, una strada che congiungeva gli estremi del nucleo cittadino dell’epoca. Originariamente si chiamò “Corso Maria Teresa”, in onore di Maria Teresa d'Asburgo Lorena, seconda moglie del Re che fece realizzare la strada, Ferdinando II. Con l'unità d'Italia, i Savoia ne cambiarono la denominazione in quella attuale, dedicata al Re d’Italia.
Allo stesso Vittorio Emanuele sono dedicati anche dei gradini sull’omonimo corso e un’altra strada periferica, mentre al successore Vittorio Emanuele III sono dedicate ben quattro strade senza che abbia fatto nulla per meritarle; una di queste, centralissima e prospiciente l’ingresso del Maschio Angioino.
Altro luogo in cui sono visibili le tracce della Napoli capitale cancellate della dinastia Sabauda è la “Piazza Dante” che prima del 1871 era il “Foro Carolino”, uno slargo voluto da Carlo III di Borbone e a se stesso dedicato, in cui la statua di Dante, sul cui basamento è inciso “All’unità d’Italia raffigurata in Dante Alighieri”, fu situata per cancellare il toponimo originale e il senso stesso dello slargo.
Anche in Piazza Trieste e Trento, fino al 1919 Piazza San Ferdinando, era presente una statua di un Re borbonico. Si tratta di Ferdinando II, il cui busto marmoreo fu rimosso per essere trasferito e dimenticato a Pietrarsa.
Oggi è tutta la città a parlare di monarchia sabauda. Una tra le vie più lunghe di Napoli, anche detta "rettifilo", è dedicata a Re Umberto I; l'arteria fu realizzata verso la fine del '900 ad Unità d'Italia già affermata, così come la “Galleria Umberto I”, dedicata al secondo Re d'Italia, e la “Galleria Principe di Napoli” in zona Museo. Proseguendo a Nord della città, è presente il “Corso Amedeo di Savoia” duca d'Aosta.
Il “Viale Antonio Gramsci” è per il popolo napoletano anche noto come “Viale Elena”, toponimo precedente in onore della Regina Elena. La statua equestre di Piazza Municipio raffigura Vittorio Emanuele II, mentre sul lungomare di Via Nazario Sauro troneggia la statua di Umberto I. La stessa “Piazza del Plebiscito”, luogo borbonico per antonomasia, prende il nome dal falso plebiscito popolare del 1860 con cui Napoli e l'intera Italia meridionale ratificarono la propria annessione al Regno dei Savoia. Nella Basilica dell'Incoronata a Capodimonte sono sepolte Anna ed Elena d'Aosta. Nella chiesa di Santa Chiara v'è la tomba della Regina Maria Cristina di Savoia alla quale è dedicata anche una tortuosa strada che congiunge il Vomero a Mergellina. Congiunge lo stesso Vomero al quartiere liberty di Chiaia la sinuosa “Via del Parco Margherita”, dove la Margherita in questione è la Regina di Savoia.
Dunque, come detto, Napoli appare per imposizione mai cancellata come città filopiemontese. Nomi dal suono savoiardo e stemma sabaudo visibile un po’ dovunque a cui nessuno fa più molto caso ma che coprono “a tavolino” una storia mai scritta sulla storiografia ufficiale. La dinastia più meritevole, invece, si accontenta oggi di una sola piazza, peraltro priva di degna attenzione e decoro e di chi ha ancora curiosità per scavare nell’era più prospera per il meridione e la sua capitale.
Il vuoto di conoscenza è sua volta figlio di una cancellazione “chirurgica” da parte della monarchia sabauda delle tracce borboniche, sotterrate per far posto alla dinastia subentrante.
Una grande campagna d’odio dei Savoia verso i Borbone si è consumata con imponenti azioni di cancellazione di ogni memoria, attraverso la distruzione dei monumenti, delle lapidi e della toponomastica che li ricordava. Statue, monumenti e nomi borbonici sono spariti da tutte le città dell’antico Regno.
Se fino al 1860 la città capitale del Regno delle Due Sicilie era espressione della monarchia borbonica regnante, a seguito della risalita garibaldina della penisola, la monarchia subentrante impose una campagna di denigrazione della precedente e dei vecchi sovrani che si è trascinata fino ai giorni nostri, offuscandone il blasone e i meriti indiscutibili. Napoli passò traumaticamente dal suo ruolo di capitale di uno stato tra i primi in Europa a quello di capoluogo di una regione meridionale destinata ad essere abbandonata dal nuovo stato d’impronta piemontese.
I grandi primati non solo italiani del Regno delle Due Sicilie furono umiliati dall’arretratezza in cui fu gettato tutto il meridione e confusi in un’opera di mistificazione tale che, ancora oggi, il termine “borbonico” è sui vocabolari come sinonimo di inefficienza e arretratezza, in cui erano in realtà immerse proprio le popolazioni del nord.
Tutto, nella Napoli di oggi parla "sottovoce" di monarchia sabauda. La cancellazione delle tracce borboniche si evince da uno strumento demografico di indagine conoscitiva, la toponomastica senza memoria di una città nelle cui strade e piazze non appare un riferimento borbonico se non in qualche caso isolato. Forse i napoletani non se ne rendono conto ma vi sono vie, statue, scuole, edifici di ogni ordine e grado dedicate ai Savoia. Una toponomastica imposta che comunica una falsità storica: Napoli città savoiarda.
Eccezion fatta per la Piazza Carlo III, laddove sorge il “Real Albergo dei poveri, non c’è più traccia della memoria storica duosicula, sostituita dai nomi di coloro che imposero la “liberazione” della città e del meridione espropriandoli delle proprie ricchezze.
Il caso più interessante, in quest’ottica di sovrapposizione di monarchia, riguarda la strada più lunga della città: il “Corso Vittorio Emanuele”; con i suoi quattro chilometri e più di curve panoramiche, costeggia le pendici del Vomero per sfociare a Piedigrotta. Il nome attuale nasconde proprio la paternità e le finalità originali dell’arteria: solo ai conoscitori della storia della città è dato saperlo ma i cittadini non possono neanche intuire che la strada fu un’opera dei Borbone i quali, tra le tante opere urbane, realizzarono la prima vera tangenziale d'Europa, una strada che congiungeva gli estremi del nucleo cittadino dell’epoca. Originariamente si chiamò “Corso Maria Teresa”, in onore di Maria Teresa d'Asburgo Lorena, seconda moglie del Re che fece realizzare la strada, Ferdinando II. Con l'unità d'Italia, i Savoia ne cambiarono la denominazione in quella attuale, dedicata al Re d’Italia.
Allo stesso Vittorio Emanuele sono dedicati anche dei gradini sull’omonimo corso e un’altra strada periferica, mentre al successore Vittorio Emanuele III sono dedicate ben quattro strade senza che abbia fatto nulla per meritarle; una di queste, centralissima e prospiciente l’ingresso del Maschio Angioino.
Altro luogo in cui sono visibili le tracce della Napoli capitale cancellate della dinastia Sabauda è la “Piazza Dante” che prima del 1871 era il “Foro Carolino”, uno slargo voluto da Carlo III di Borbone e a se stesso dedicato, in cui la statua di Dante, sul cui basamento è inciso “All’unità d’Italia raffigurata in Dante Alighieri”, fu situata per cancellare il toponimo originale e il senso stesso dello slargo.
Anche in Piazza Trieste e Trento, fino al 1919 Piazza San Ferdinando, era presente una statua di un Re borbonico. Si tratta di Ferdinando II, il cui busto marmoreo fu rimosso per essere trasferito e dimenticato a Pietrarsa.
Oggi è tutta la città a parlare di monarchia sabauda. Una tra le vie più lunghe di Napoli, anche detta "rettifilo", è dedicata a Re Umberto I; l'arteria fu realizzata verso la fine del '900 ad Unità d'Italia già affermata, così come la “Galleria Umberto I”, dedicata al secondo Re d'Italia, e la “Galleria Principe di Napoli” in zona Museo. Proseguendo a Nord della città, è presente il “Corso Amedeo di Savoia” duca d'Aosta.
Il “Viale Antonio Gramsci” è per il popolo napoletano anche noto come “Viale Elena”, toponimo precedente in onore della Regina Elena. La statua equestre di Piazza Municipio raffigura Vittorio Emanuele II, mentre sul lungomare di Via Nazario Sauro troneggia la statua di Umberto I. La stessa “Piazza del Plebiscito”, luogo borbonico per antonomasia, prende il nome dal falso plebiscito popolare del 1860 con cui Napoli e l'intera Italia meridionale ratificarono la propria annessione al Regno dei Savoia. Nella Basilica dell'Incoronata a Capodimonte sono sepolte Anna ed Elena d'Aosta. Nella chiesa di Santa Chiara v'è la tomba della Regina Maria Cristina di Savoia alla quale è dedicata anche una tortuosa strada che congiunge il Vomero a Mergellina. Congiunge lo stesso Vomero al quartiere liberty di Chiaia la sinuosa “Via del Parco Margherita”, dove la Margherita in questione è la Regina di Savoia.
Dunque, come detto, Napoli appare per imposizione mai cancellata come città filopiemontese. Nomi dal suono savoiardo e stemma sabaudo visibile un po’ dovunque a cui nessuno fa più molto caso ma che coprono “a tavolino” una storia mai scritta sulla storiografia ufficiale. La dinastia più meritevole, invece, si accontenta oggi di una sola piazza, peraltro priva di degna attenzione e decoro e di chi ha ancora curiosità per scavare nell’era più prospera per il meridione e la sua capitale.
Fonte:Napoli.com segnalazione Redazione Due Sicilie
1 commento:
Ovviamente il riferimento ai Borbone di Spagna è un errore, dal momento che a Napoli regnò la casa reale Borbone delle Due Sicilie, i Borbone di Spagna regnano ancora oggi in Spagna (esiste anche una casa reale Borbone di Francia). Purtroppo l’articolista nel lamentarsi, giustamente, dell’imposizione di simboli e toponomastica savoiarde su Napoli cade però in parte nella stessa propaganda che falsamente volle far credere che le Due Sicilie fossero sotto dominio spagnolo. Questo ci fa capire quanto profondamente ha agito il lavaggio del cervello imposto dalla propaganda savoiarda prima, fascista poi, e repubblicana oggi. Che questo continui ancora oggi è dimostrato dalle manifestazioni in preparazione per il 150enario dell’"Unita" che - ancora una volta - cancella e mistifica (e falsifica) la Storia del Sud.
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