Di Carmine D'Argenio
Una nuova stagione nucleare è possibile? E i vecchi impianti, e le scorie? Nei piani del Governo entro il 2020 l’Italia dovrebbe essere in grado di produrre energia con centrali nucleari che copriranno almeno il 10% del fabbisogno del Paese. Il referendum del 1987, che decretò la rinuncia al nucleare e la moratoria temporanea alla costruzione di nuove centrali, segnò la fine delle strutture esistenti sul territorio.
Nel 1999 si mise su un’apposita società statale, con tanto di costi pubblici, per gestire la chiusura del ciclo di vita degli impianti nucleari italiani.
Si è parlato di “decommissioning”. Ma al di là dell’abuso delle lingue, cosa vuol dire questa parola?
Decommissioning vuol dire smantellamento e decontaminazione delle strutture dell’impianto nucleare, al fine di restituire aree prive di vincoli radiologici per un futuro utilizzo.
Ma a tutt’oggi si prevede il completamento dello smantellamento degli impianti e la decontaminazione stessa ultimabile entro il 2013. Per un costo complessivo ancora di circa 250 milioni di euro. Con annesse spese di gestione. Non è tutto. Terminato il decommissioning, il tempo necessario per il decadimento radioattivo dei rifiuti posti in sicurezza è di centomila anni.
Nel frattempo i rifiuti, prodotti del passato esercizio delle centrali e quelli che si sprigionano dal decommissioning che fine fanno?
Per il momento è previsto soltanto sulla carta una sorta di deposito nazionale in grado di accogliere con le dovute misure il materiale di risulta radioattivo.
Viceversa se si uscisse dal misto di fatalismo e rassegnazione che ci fa accettare la centrale prima, il suo smantellamento dopo, per poi ritornare nuovamente alla centrale; potremmo affrontare una seria politica energetica, consapevoli che la più ampia messa in sicurezza è alta garanzia anche in termini di resa stessa.
Nel casertano, la centrale nucleare del Garigliano, concepita negli anni ’50 con i lavori terminati nel ’63, vide la sua chiusura dopo numerosi guasti e incidenti nel 1978. Esempio di inefficienza. Stessa inefficienza che ci ha condotti nel volger di questo cinquantennio al valzer del nucleare si nucleare no. Le scorie stoccate al suo interno erano poi esposte al contatto delle acque del vicino fiume, quando questo andava in esondazione.
L’ex centrale colabrodo è ancor oggi un cimitero radioattivo tra i più vecchi e pericolosi della penisola. Ad inibire malintenzionati solo una sbarra. Al danno degli anni scorsi, potrebbe aggiungersi la beffa odierna che vede prospettarsi lo spettro della pattumiera d’Italia di scorie radioattive. Il danno di queste centrali nucleari aperte e chiuse con inquietante disinvoltura, con la messa in sicurezza optional prezioso, è dunque duplice. Da un lato la salute, e dall’altro i conti pubblici. Sono già vent’anni che non produciamo più energia nucleare, eppure non solo non abbiamo saputo attuare un organico sistema di produzione parallelo, per quanto le centrali sono sempre lì ad invecchiare con il loro carico di combustibile irragiato, uranio e plutonio e migliaia di metri cubi di rifiuti stoccati nei bidoni. Malamente conservati.
La centrale nucleare del Garigliano, così come tanti altri mausolei, inutili prodotti dell’uomo mediocre. Laddove sicurezza e impermeabilità non sono contemplate. La condotta politica schizzofrenica nei confronti della lotta al degrado ambiente prodotto del benessere.
La discussa decisione di prevedere per siti di deposito delle scorie nucleari, nuovi impianti civili per produzione di energia, centrali nucleari, rigassificatori, inceneritori, la possibilità di essere ricoperti da segreto di stato può essere interpretata come non obbligo di rendiconto, foss’anche meramente comunicazionale. Se un sindaco informasse i suoi cittadini circa l’esistenza di una discarica di scorie nucleari nel suo comune, paradosso potrebbe anche rischiare la galera. Politicanti che impongono il segreto di stato sui rifiuti tossici, sulla monnezza.
Se la stagione nucleare italiana ha già vissuto il suo tramonto, nel volerla riproporre trascurando una ammodernata visione, non siamo forse legati senza averne i presupposti ad una diversa politica d’oltremare? Ma tant’è. Sembra che il futuro economico, energetico, industriale del Paese sia legato al nucleare.
Quello stesso nucleare che nei modi e nelle forme sperimentate era stato considerato sorpassato.
Ma può essere il potere decisionale che fa capo a questo o quel ministro a ribaltare il volere degli italiani? Non sarebbe giusto ridare voce in capitolo al popolo? La volontà degli italiani dovrebbe fiancheggiare e sostenere quella dei politici di turno.
Se è giusta una nuova stagione nucleare, e secondo quali modalità potrà applicarsi è decisione che deve essere sorretta totalmente dal popolo. Se proprio si avverte la necessità di capovolgere il no al nucleare di venti milioni d’italiani sancito dal referendum del 1987, allora si indica un nuovo referendum popolare.
Al messaggio strisciante per cui la soluzione di tutti i problemi sta nella riduzione per altro fallace del conto in bolletta a chi non fa tante storie alle centrali vicino casa, si contrappone forte il concetto che il costo (anche in termini puramente economici) della salute è più alto.
Fonte:Reportonline
Nel 1999 si mise su un’apposita società statale, con tanto di costi pubblici, per gestire la chiusura del ciclo di vita degli impianti nucleari italiani.
Si è parlato di “decommissioning”. Ma al di là dell’abuso delle lingue, cosa vuol dire questa parola?
Decommissioning vuol dire smantellamento e decontaminazione delle strutture dell’impianto nucleare, al fine di restituire aree prive di vincoli radiologici per un futuro utilizzo.
Ma a tutt’oggi si prevede il completamento dello smantellamento degli impianti e la decontaminazione stessa ultimabile entro il 2013. Per un costo complessivo ancora di circa 250 milioni di euro. Con annesse spese di gestione. Non è tutto. Terminato il decommissioning, il tempo necessario per il decadimento radioattivo dei rifiuti posti in sicurezza è di centomila anni.
Nel frattempo i rifiuti, prodotti del passato esercizio delle centrali e quelli che si sprigionano dal decommissioning che fine fanno?
Per il momento è previsto soltanto sulla carta una sorta di deposito nazionale in grado di accogliere con le dovute misure il materiale di risulta radioattivo.
Viceversa se si uscisse dal misto di fatalismo e rassegnazione che ci fa accettare la centrale prima, il suo smantellamento dopo, per poi ritornare nuovamente alla centrale; potremmo affrontare una seria politica energetica, consapevoli che la più ampia messa in sicurezza è alta garanzia anche in termini di resa stessa.
Nel casertano, la centrale nucleare del Garigliano, concepita negli anni ’50 con i lavori terminati nel ’63, vide la sua chiusura dopo numerosi guasti e incidenti nel 1978. Esempio di inefficienza. Stessa inefficienza che ci ha condotti nel volger di questo cinquantennio al valzer del nucleare si nucleare no. Le scorie stoccate al suo interno erano poi esposte al contatto delle acque del vicino fiume, quando questo andava in esondazione.
L’ex centrale colabrodo è ancor oggi un cimitero radioattivo tra i più vecchi e pericolosi della penisola. Ad inibire malintenzionati solo una sbarra. Al danno degli anni scorsi, potrebbe aggiungersi la beffa odierna che vede prospettarsi lo spettro della pattumiera d’Italia di scorie radioattive. Il danno di queste centrali nucleari aperte e chiuse con inquietante disinvoltura, con la messa in sicurezza optional prezioso, è dunque duplice. Da un lato la salute, e dall’altro i conti pubblici. Sono già vent’anni che non produciamo più energia nucleare, eppure non solo non abbiamo saputo attuare un organico sistema di produzione parallelo, per quanto le centrali sono sempre lì ad invecchiare con il loro carico di combustibile irragiato, uranio e plutonio e migliaia di metri cubi di rifiuti stoccati nei bidoni. Malamente conservati.
La centrale nucleare del Garigliano, così come tanti altri mausolei, inutili prodotti dell’uomo mediocre. Laddove sicurezza e impermeabilità non sono contemplate. La condotta politica schizzofrenica nei confronti della lotta al degrado ambiente prodotto del benessere.
La discussa decisione di prevedere per siti di deposito delle scorie nucleari, nuovi impianti civili per produzione di energia, centrali nucleari, rigassificatori, inceneritori, la possibilità di essere ricoperti da segreto di stato può essere interpretata come non obbligo di rendiconto, foss’anche meramente comunicazionale. Se un sindaco informasse i suoi cittadini circa l’esistenza di una discarica di scorie nucleari nel suo comune, paradosso potrebbe anche rischiare la galera. Politicanti che impongono il segreto di stato sui rifiuti tossici, sulla monnezza.
Se la stagione nucleare italiana ha già vissuto il suo tramonto, nel volerla riproporre trascurando una ammodernata visione, non siamo forse legati senza averne i presupposti ad una diversa politica d’oltremare? Ma tant’è. Sembra che il futuro economico, energetico, industriale del Paese sia legato al nucleare.
Quello stesso nucleare che nei modi e nelle forme sperimentate era stato considerato sorpassato.
Ma può essere il potere decisionale che fa capo a questo o quel ministro a ribaltare il volere degli italiani? Non sarebbe giusto ridare voce in capitolo al popolo? La volontà degli italiani dovrebbe fiancheggiare e sostenere quella dei politici di turno.
Se è giusta una nuova stagione nucleare, e secondo quali modalità potrà applicarsi è decisione che deve essere sorretta totalmente dal popolo. Se proprio si avverte la necessità di capovolgere il no al nucleare di venti milioni d’italiani sancito dal referendum del 1987, allora si indica un nuovo referendum popolare.
Al messaggio strisciante per cui la soluzione di tutti i problemi sta nella riduzione per altro fallace del conto in bolletta a chi non fa tante storie alle centrali vicino casa, si contrappone forte il concetto che il costo (anche in termini puramente economici) della salute è più alto.
Fonte:Reportonline
Nessun commento:
Posta un commento