Dopo trent’anni, via il divieto italiano
al «Leone del deserto»
La memoria è spesso dolorosa, ma gli italiani sono maestri nell’esercizio dell’oblio: delle pagine nobili ma «politicamente imbarazzanti», come l’eroismo del console fascista Guelfo Zamboni, che salvò dalla deportazione tutti gli ebrei italiani di Salonicco; e delle pagine vergognose, legate al passato coloniale. Come accadde in Libia con la feroce repressione del generale Graziani, inviato da Mussolini per stroncare la resistenza di tremila guerriglieri senussi, guidati dall’eroe beduino Omar Mukhtar.
Gheddafi è arrivato a Roma con la sua foto appuntata sulla divisa. Mukhtar fu impiccato da prigioniero di guerra. All’inizio degli anni 80 Gheddafi decise di finanziare un film colossal su Mukhtar, «Il leone del deserto», con il meglio dello star system di allora: Anthony Quinn, Irene Papas, Rod Steiger, Oliver Reed, Raf Vallone e Gastone Moschin. Denis Mack Smith lo definì un documento unico sulle atrocità coloniali.
In Italia il film è stato vietato per quasi 30 anni. Nessun distributore lo ha acquistato, e quando fu proiettato in una sala di Trento intervenne la Digos con l’ordine di sequestro voluto da Giulio Andreotti per «vilipendio delle forze armate italiane». Tutti i tentativi di riproporlo (Craxi l’aveva promesso a Gheddafi) sono falliti. Fino a oggi ( Sky lo propone questa sera alle 21 su Cinema Classics). Il colonnello, sul divieto del film, ha ragione. Anche se vi fece inserire una bugia, distinguendo il ruolo di Mukhtar dalla Confraternita islamica dei senussi, di cui re Idris era la bandiera. Voleva che diventasse un prode cavaliere solitario, per potersene proclamare erede.
Antonio Ferrari
11 giugno 2009
al «Leone del deserto»
La memoria è spesso dolorosa, ma gli italiani sono maestri nell’esercizio dell’oblio: delle pagine nobili ma «politicamente imbarazzanti», come l’eroismo del console fascista Guelfo Zamboni, che salvò dalla deportazione tutti gli ebrei italiani di Salonicco; e delle pagine vergognose, legate al passato coloniale. Come accadde in Libia con la feroce repressione del generale Graziani, inviato da Mussolini per stroncare la resistenza di tremila guerriglieri senussi, guidati dall’eroe beduino Omar Mukhtar.
Gheddafi è arrivato a Roma con la sua foto appuntata sulla divisa. Mukhtar fu impiccato da prigioniero di guerra. All’inizio degli anni 80 Gheddafi decise di finanziare un film colossal su Mukhtar, «Il leone del deserto», con il meglio dello star system di allora: Anthony Quinn, Irene Papas, Rod Steiger, Oliver Reed, Raf Vallone e Gastone Moschin. Denis Mack Smith lo definì un documento unico sulle atrocità coloniali.
In Italia il film è stato vietato per quasi 30 anni. Nessun distributore lo ha acquistato, e quando fu proiettato in una sala di Trento intervenne la Digos con l’ordine di sequestro voluto da Giulio Andreotti per «vilipendio delle forze armate italiane». Tutti i tentativi di riproporlo (Craxi l’aveva promesso a Gheddafi) sono falliti. Fino a oggi ( Sky lo propone questa sera alle 21 su Cinema Classics). Il colonnello, sul divieto del film, ha ragione. Anche se vi fece inserire una bugia, distinguendo il ruolo di Mukhtar dalla Confraternita islamica dei senussi, di cui re Idris era la bandiera. Voleva che diventasse un prode cavaliere solitario, per potersene proclamare erede.
Antonio Ferrari
11 giugno 2009
Fonte:Corriere della Sera Segnalazione Rete Sud
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