domenica 28 giugno 2009

Il miracolo economico del Sud nel Regno delle Due Sicilie


Il brano qui riprodotto è stato tratto dal volume
“I Savoia e il massacro del Sud”, di Antonio Ciano,
edito da GRANDMELÒ, Roma 1996





«Per difendere l’economia del suo regno, Ferdinando Il il 15 dicembre del 1823 ed il 20 novembre del 1824 emise provvedimenti doganali che proteggevano lo sviluppo industriale autoctono. Già nel 1818, pochi anni dopo la Restaurazione, abbandonando i criteri liberistici che producevano utili per pochi e disoccupazione per molti, il Sovrano napoletano aveva imposto dazi elevati sui prodotti stranieri importati e dazi minimi sulle merci d’importazione necessarie allo sviluppo delle sue terre. Quanto alle esportazioni, erano stati fissati dazi elevati per le materie prime che potevano essere lavorate dall’industria napoletana. Fin dal 1821, inoltre, erano stati aboliti i regolamenti sulle corporazioni. Erano stati spesso anticipati capitali ai manifatturieri da parte della Cassa di Sconto .
Questa politica fece dell’industria tessile e metalmeccanica due settori trainanti che portarono molti stranieri ad investire nel Meridione d’Italia.
Tra essi ricordiamo l’industriale Guppy che, col suo connazionale Pattison, aveva intrapreso a Napoli la costruzione di macchine agricole per modernizzare l’agricoltura e la costruzione di locomotive a vapore. La fonderia di Macry ed Henry, con sede al Ponte della Maddalena, con mille addetti operava nel settore del ferro fuso.
Ferdinando Il divenne, di fatto, il più dinamico imprenditore del Regno. Nacque così il Reale Opificio Meccanico e Politecnico di Pietrarsa, nei pressi di Napoli, con mille operai specializzati, fiore all’occhiello dell’industria partenopea.
Lo stabilimento fu inaugurato nel 1840 da Ferdinando II di Borbone. Pietrarsa fu il primo nucleo veramente industriale italiano; lì si producevano, con tecnologie avanzate, treni e locomotive. Al Nord le officine della Breda nacquero 44 anni più tardi e la Fiat 57 anni dopo.

Sempre su iniziativa del Re venne istituita la Real fonderia in Castelnuovo (500 operai), la Real Manifattura delle armi in Torre Annunziata (500 operai), l’Arsenale di Napoli ed il Cantiere Navale di Castellammare (2.000 operai). 1.500 operai lavoravano alle Ferriere Mongiana in Calabria, con stabilimenti a Pazzano e a Bigonci.
Quattro altiforni producevano 21.000 quintali di ghisa, mentre 200 operai specializzati lavoravano nello stabilimento metalmeccanico di Cardinale, sempre in Calabria, e producevano 2.000 quintali di ferro.
Altri centri siderurgici e meccanici erano sorti a Fuscaldo (Calabria), Picinisco (Terra di Lavoro), Picciano (Abruzzo), Atripalda (Avellino). Altri ancora a Lecce, Foggia, Spinazzola: questi ultimi tutti specializzati nel produrre macchina agricole.

In ogni paese nacquero piccole industrie che erano il nerbo dell’economia del regno. Di notevole importanza erano le industrie per la lavorazione del cuoio e per la produzione dei colori, della pasta alimentare, delle maioliche, di vetri, cristalli, cappelli, acidi, cera, coralli, metalli preziosi, stoviglie, saponi, mobili, strumenti musicali di precisione.

Il 3 ottobre 1839 venne inaugurata la Napoli-Portici, la prima ferrovia italiana: la locomotiva a vapore coprì la distanza tra le due città in nove minuti, tra due ali di folla festante e curiosa di vedere tanta potenza in quello sbuffare di vapore.
I pennivendoli post-unitari si affannarono per sostenere l’inutilità di detta ferrovia, ritenuta un passatempo ed un balocco nelle mani del Re Borbone.
In realtà quegli intellettuali da strapazzo tentarono di oscurare la grandezza illuminata di Ferdinando Il che, fortissimamente, aveva voluto dare impulso all’intero assetto industriale del Regno. Altro che balocco! Dietro quella locomotiva c’erano le industrie di Pietrarsa, della Mongiana e molte altre; industrie con personale qualificato e specializzato e che preparavano i ragazzi con corsi di formazione.

Durante il discorso d’inaugurazione, Ferdinando Il espose il suo progetto ferroviario. Il Sud doveva essere attraversato da due grandi dorsali ferroviarie; la prima doveva collegare Napoli a Brindisi e dalla città pugliese la ferrovia avrebbe dovuto raggiungere Pescara, Ancona e Bologna e passando per Venezia avrebbe dovuto ricongiungersi con le ferrovie danubiane e renane. La seconda, partendo dalla Calabria e dalla Basilicata avrebbe dovuto raggiungere Roma per poi proseguire per Firenze, Genova e Torino. Nel 1840 la via ferrata raggiunge Torre del Greco, nel 1842 Castellammare di Stabia, nel 1844 Nocera e quindi Salerno. A nord di Napoli si lavorava speditamente: nel 1843 la ferrovia giunse a Caserta e nel 1844 a Capua e Sparanise.

Sulla Gazzetta Piemontese del 30 marzo 1847 Ilarione Petitti di Roreto, esprimeva la sua ammirazione per il programma ferroviario avviato nel Regno delle Due Sicilie. Il Piemonte arretrato e guerrafondaio riteneva detti programmi fantascientifici; Cavour aveva altro a cui pen- sare e la storiografia ufficiale di regime fece passare per «grandi opere» la costruzione del canale chiamato poi di Cavour.
Il 16 aprile 1855 Ferdinando Il emanò un decreto sottofirmato dal Direttore di Stato dei lavori pubblici, Salvatore Murena. L’art. 1 così recitava: “...Accordiamo concessione al Sig. Emanuele Melisburgo di costruire una ferrovia da Napoli a Brindisi…”.

Nello stesso giorno il Re firmò un altro decreto in cui all’ art. 1 dichiarava: “...accordiamo concessione al Barone D. Panfilo De Riseis, di costruire una ferrovia da Napoli agli Abruzzi, fino al Tronto, con una diramazione per Ceprano, una per Popoli, una per Teramo ed una per Sansevero…”.
Ferdinando Il aveva previsto persino una ferrovia per il trasporto degli armenti dagli Abruzzi nelle Puglie per alleviare le fatiche dei mandriani e le relative perdite di giumente compensate così da un trasporto a tariffa conveniente.
Il Nord, il Piemonte in particolar modo, non erano in grado di produrre tecnologia avanzata né di produrre cultura o arte. Il Piemonte produceva solo cannoni, la Lombardia latte, che serviva a sfamare i figli degli austriaci, ed i Veneti andavano ad ingrossare la folla di emigranti che prendevano la via delle Americhe. Edoardo Spagnuolo, nel numero 5 dei quaderni di Nazione Napoletana così commenta la fine del sogno vissuto dalle popolazioni meridionali dopo l’annessione piemontese:
“…I grandi progetti ferroviari del Governo Borbonico avevano dunque un fine preciso. Le strade ferrate dovevano divenire un supporto fondamentale per l’economia meridionale ed essere di servizio allo sviluppo industriale che il Mezzogiorno d’Italia andava mirabilmente realizzando in quei tempi.
Il governo unitario, dopo aver distrutto le fabbriche del Sud a proprio vantaggio realizzò un sistema ferroviario obsoleto che, assieme alle vie marittime, servì non per trasportare merci per le manifatture e gli opifici del meridione ma per caricare masse di diseredati verso le grigie e nebbiose contrade del Nord o delle Americhe”.»
Fonte:Retesud
Leggi tutto »

Il brano qui riprodotto è stato tratto dal volume
“I Savoia e il massacro del Sud”, di Antonio Ciano,
edito da GRANDMELÒ, Roma 1996





«Per difendere l’economia del suo regno, Ferdinando Il il 15 dicembre del 1823 ed il 20 novembre del 1824 emise provvedimenti doganali che proteggevano lo sviluppo industriale autoctono. Già nel 1818, pochi anni dopo la Restaurazione, abbandonando i criteri liberistici che producevano utili per pochi e disoccupazione per molti, il Sovrano napoletano aveva imposto dazi elevati sui prodotti stranieri importati e dazi minimi sulle merci d’importazione necessarie allo sviluppo delle sue terre. Quanto alle esportazioni, erano stati fissati dazi elevati per le materie prime che potevano essere lavorate dall’industria napoletana. Fin dal 1821, inoltre, erano stati aboliti i regolamenti sulle corporazioni. Erano stati spesso anticipati capitali ai manifatturieri da parte della Cassa di Sconto .
Questa politica fece dell’industria tessile e metalmeccanica due settori trainanti che portarono molti stranieri ad investire nel Meridione d’Italia.
Tra essi ricordiamo l’industriale Guppy che, col suo connazionale Pattison, aveva intrapreso a Napoli la costruzione di macchine agricole per modernizzare l’agricoltura e la costruzione di locomotive a vapore. La fonderia di Macry ed Henry, con sede al Ponte della Maddalena, con mille addetti operava nel settore del ferro fuso.
Ferdinando Il divenne, di fatto, il più dinamico imprenditore del Regno. Nacque così il Reale Opificio Meccanico e Politecnico di Pietrarsa, nei pressi di Napoli, con mille operai specializzati, fiore all’occhiello dell’industria partenopea.
Lo stabilimento fu inaugurato nel 1840 da Ferdinando II di Borbone. Pietrarsa fu il primo nucleo veramente industriale italiano; lì si producevano, con tecnologie avanzate, treni e locomotive. Al Nord le officine della Breda nacquero 44 anni più tardi e la Fiat 57 anni dopo.

Sempre su iniziativa del Re venne istituita la Real fonderia in Castelnuovo (500 operai), la Real Manifattura delle armi in Torre Annunziata (500 operai), l’Arsenale di Napoli ed il Cantiere Navale di Castellammare (2.000 operai). 1.500 operai lavoravano alle Ferriere Mongiana in Calabria, con stabilimenti a Pazzano e a Bigonci.
Quattro altiforni producevano 21.000 quintali di ghisa, mentre 200 operai specializzati lavoravano nello stabilimento metalmeccanico di Cardinale, sempre in Calabria, e producevano 2.000 quintali di ferro.
Altri centri siderurgici e meccanici erano sorti a Fuscaldo (Calabria), Picinisco (Terra di Lavoro), Picciano (Abruzzo), Atripalda (Avellino). Altri ancora a Lecce, Foggia, Spinazzola: questi ultimi tutti specializzati nel produrre macchina agricole.

In ogni paese nacquero piccole industrie che erano il nerbo dell’economia del regno. Di notevole importanza erano le industrie per la lavorazione del cuoio e per la produzione dei colori, della pasta alimentare, delle maioliche, di vetri, cristalli, cappelli, acidi, cera, coralli, metalli preziosi, stoviglie, saponi, mobili, strumenti musicali di precisione.

Il 3 ottobre 1839 venne inaugurata la Napoli-Portici, la prima ferrovia italiana: la locomotiva a vapore coprì la distanza tra le due città in nove minuti, tra due ali di folla festante e curiosa di vedere tanta potenza in quello sbuffare di vapore.
I pennivendoli post-unitari si affannarono per sostenere l’inutilità di detta ferrovia, ritenuta un passatempo ed un balocco nelle mani del Re Borbone.
In realtà quegli intellettuali da strapazzo tentarono di oscurare la grandezza illuminata di Ferdinando Il che, fortissimamente, aveva voluto dare impulso all’intero assetto industriale del Regno. Altro che balocco! Dietro quella locomotiva c’erano le industrie di Pietrarsa, della Mongiana e molte altre; industrie con personale qualificato e specializzato e che preparavano i ragazzi con corsi di formazione.

Durante il discorso d’inaugurazione, Ferdinando Il espose il suo progetto ferroviario. Il Sud doveva essere attraversato da due grandi dorsali ferroviarie; la prima doveva collegare Napoli a Brindisi e dalla città pugliese la ferrovia avrebbe dovuto raggiungere Pescara, Ancona e Bologna e passando per Venezia avrebbe dovuto ricongiungersi con le ferrovie danubiane e renane. La seconda, partendo dalla Calabria e dalla Basilicata avrebbe dovuto raggiungere Roma per poi proseguire per Firenze, Genova e Torino. Nel 1840 la via ferrata raggiunge Torre del Greco, nel 1842 Castellammare di Stabia, nel 1844 Nocera e quindi Salerno. A nord di Napoli si lavorava speditamente: nel 1843 la ferrovia giunse a Caserta e nel 1844 a Capua e Sparanise.

Sulla Gazzetta Piemontese del 30 marzo 1847 Ilarione Petitti di Roreto, esprimeva la sua ammirazione per il programma ferroviario avviato nel Regno delle Due Sicilie. Il Piemonte arretrato e guerrafondaio riteneva detti programmi fantascientifici; Cavour aveva altro a cui pen- sare e la storiografia ufficiale di regime fece passare per «grandi opere» la costruzione del canale chiamato poi di Cavour.
Il 16 aprile 1855 Ferdinando Il emanò un decreto sottofirmato dal Direttore di Stato dei lavori pubblici, Salvatore Murena. L’art. 1 così recitava: “...Accordiamo concessione al Sig. Emanuele Melisburgo di costruire una ferrovia da Napoli a Brindisi…”.

Nello stesso giorno il Re firmò un altro decreto in cui all’ art. 1 dichiarava: “...accordiamo concessione al Barone D. Panfilo De Riseis, di costruire una ferrovia da Napoli agli Abruzzi, fino al Tronto, con una diramazione per Ceprano, una per Popoli, una per Teramo ed una per Sansevero…”.
Ferdinando Il aveva previsto persino una ferrovia per il trasporto degli armenti dagli Abruzzi nelle Puglie per alleviare le fatiche dei mandriani e le relative perdite di giumente compensate così da un trasporto a tariffa conveniente.
Il Nord, il Piemonte in particolar modo, non erano in grado di produrre tecnologia avanzata né di produrre cultura o arte. Il Piemonte produceva solo cannoni, la Lombardia latte, che serviva a sfamare i figli degli austriaci, ed i Veneti andavano ad ingrossare la folla di emigranti che prendevano la via delle Americhe. Edoardo Spagnuolo, nel numero 5 dei quaderni di Nazione Napoletana così commenta la fine del sogno vissuto dalle popolazioni meridionali dopo l’annessione piemontese:
“…I grandi progetti ferroviari del Governo Borbonico avevano dunque un fine preciso. Le strade ferrate dovevano divenire un supporto fondamentale per l’economia meridionale ed essere di servizio allo sviluppo industriale che il Mezzogiorno d’Italia andava mirabilmente realizzando in quei tempi.
Il governo unitario, dopo aver distrutto le fabbriche del Sud a proprio vantaggio realizzò un sistema ferroviario obsoleto che, assieme alle vie marittime, servì non per trasportare merci per le manifatture e gli opifici del meridione ma per caricare masse di diseredati verso le grigie e nebbiose contrade del Nord o delle Americhe”.»
Fonte:Retesud

Nessun commento:

 
[Privacy]
Design by Free WordPress Themes | Bloggerized by Lasantha - Premium Blogger Themes | Hot Sonakshi Sinha, Car Price in India