Sia da subito chiara la nostra OPPOSIZIONE ASSOLUTA a questo progetto, che, oltre che antieconomico, rischia di compromettere, nell'interesse di pochi, l'esistenza stessa delle generazioni future.
Di RAFFAELLO MASCI
ROMA
Il dado è tratto: in Italia torna il nucleare, dopo che un referendum dell’87 l’aveva bandito. L’ultimo dei quattro articoli del ddl «sviluppo ed energia» che riapre la corsa all’atomo, quello che istituisce l’Agenzia per la sicurezza nucleare, ha ottenuto ieri l’ok del Senato. Ora mancano solamente il voto finale sull’intero ddl, slittato a stamattina per mancanza del numero legale, ed il sigillo della Camera. Dove, ha spiegato ieri il viceministro per lo Sviluppo Adolfo Urso, si tornerà per «una breve terza lettura. Ma entro giugno tutto dovrebbe passare in maniera definitiva». «Con l’approvazione del Senato il discorso è chiuso: il ddl sviluppo non subirà altre modifiche» ha commentato, lapidario, il ministro Scajola. Che in aula ha aggiunto: «Il nucleare non è costoso, non è sbagliato e non è contro le Regioni». A questo punto, mentre il governo sarà impegnato nei prossimi sei mesi ad esercitare le deleghe, che gli consentiranno di tradurre in decreti applicativi le decisioni della legge, nel paese si aprirà un tormentato dibattito su dove allocare le centrali venture. C’è da attendersi non solo l’opposizione di alcuni enti locali, ma anche la proliferazione di comitati «denuclearizzati».
Adolfo Urso, che è stato delegato dal governo a seguire tutto il «dossier nucleare», ieri ha passato al giornata a rispondere ai senatori e ai cronisti che chiedevano lumi. Intanto - ha chiarito - entro giugno la legge sarà pubblicata in Gazzetta Ufficiale. Dopo di che si apre uno scadenzario molto pressante: entro sei mesi il governo deve esercitare le deleghe per individuare i siti degli impianti di produzione, quelli per lo smaltimento delle scorie, e - infine - le modalità di «compensazione» economica per le popolazioni interessate da queste nuove strutture. La prima di queste istanze è quella che più preoccupa perché ha generato da subito polemiche. Esiste un documento del Cnen (poi diventato Enea) che risale agli anni Settanta e che individua alcuni siti idonei in Sardegna (tre posti), in Puglia, e nella valle del Po dal Vercellese fino a Mantova. Roberto della Seta, senatore del pd, ha fatto anche balenare l’ipotesi che il sito di Saluggia (Vercelli) possa diventare una sorta di grande discarica delle scorie. Considerando che i siti idonei ad ospitare gli impianti devono offrire garanzie di accesso all’acqua per raffreddare i reattori e condizioni sismiche rassicuranti, Greenpeace ritiene che quelli adatti siano pochissimi: le province di Vercelli e Pavia, l’isola di Pianosa in Toscana, le provincie di Ogliastra, Nuoro e Cagliari, ma anche Montalto di Castro. La Regione Piemonte si è detta preoccupata e ha subito alzato barriere, così come altre regioni potenzialmente toccate dal piano nucleare (Puglia, Lazio, Toscana). Urso, quindi, è subito corso ai ripari, bollando tutte queste ipotesi come boutade generate da ragioni elettorali. «Nulla sarà deciso contro la volontà degli enti locali - ha chiarito - e comunque le indicazioni contenute nel documento del Cnen degli anni Settanta sono del tutto superate. Non sarà il governo a stabilire dove fare le centrali, ma saranno i tecnici a indicare tutti i siti potenzialmente idonei. In base a questi criteri, all’interesse degli enti locali e delle imprese che dovranno gestire gli impianti, si deciderà. Ma tutto questo è di la da venire».
Ma c’è anche chi si è candidato ad accogliere le nuove centrali, come la Sicilia e il Friuli. Il governo, per intanto, inizierà una «grande campagna informativa» sui vantaggi del nucleare e anche sulle ricadute economiche che l’allestimento delle centrali comporterà per le popolazioni che vorranno ospitarle. Si parla di infrastrutture e occupazione ma anche di sconti sulle tariffe energetiche per imprese e cittadini. Che questo poi possa convincere gli scettici o i titubanti è altra questione.
Fonte:La Stampa
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