La procura generale di Venezia impugna la sentenza della Corte d’Assise d’Appello
VENEZIA – A distanza di quasi dodici anni dall’assalto al campanile di San Marco, avvenuto nella notte tra l’8 e il 9 maggio 1997, il processo per eversione dell’ordine democratico nei confronti dei tre «serenissimi» Gilberto Buson, Cristian e Flavio Contin, è destinato a ricominciare. Sul tavolo degli avvocati Renzo Fogliata, Alessio Morosin e Luigi Fadalti, infatti, dallo scorso 20 ottobre è depositato il ricorso in Cassazione, con il quale il sostituto procuratore generale di Venezia Bruno Cherchi ha impugnato la sentenza della Corte d’Assise d’Appello – presidente Carlo Citterio –, che il 9 giugno 2008 aveva assolto i tre imputati con formula piena (poiché «il fatto non sussiste»). Sebbene la data della prima udienza nelle aule del «Palazzaccio» non sia stata ancora fissata, la notizia è destinata già da ora a far discutere. Perché se la Suprema Corte dovesse accogliere i motivi di gravame della Procura Generale, il processo sarebbe tutto da rifare.
«Avranno meditato una piccola vendetta – ha commentato amaro Flavio Contin, parlando al telefono dalla sua abitazione di Casale di Scodosia - . Nonostante le accuse ridicole, per altro smontate nel dibattimento dai nostri legali, evidentemente da Verona qualcuno si aspettava ancora qualcosa». La strada di Papalia L’accusa di Contin non è proprio velata. Verona infatti significa Guido Papalia. Fu proprio l’attuale Procuratore della Repubblica di Brescia, all’epoca capo dell’Ufficio scaligero, che nel 1997, ancor prima dell’occupazione del campanile, avviò le indagini nei confronti degli aderenti al cosiddetto «Serenissimo Governo Veneto», sorto nel gennaio 1987. Ad attivare l’inchiesta erano state le interferenze abusive che alcuni degli imputati avevano prodotto, tramite attrezzature artigianali, nelle trasmissioni televisive del TG1.
L’assalto dell’ 8 e 9 maggio servì dunque a Papalia per consolidare le proprie tesi: così, parallelamente al processo sorto a Venezia, col quale i «serenissimi» furono condannati a pene severissime (Gilberto Buson e Flavio Contin in primo grado presero 6 anni di carcere, poi patteggiati in appello); il procuratore decise di procedere nei confronti di quasi 40 imputati per i reati di associazione di carattere militare, «avente lo scopo di commettere fatti diretti a disciogliere l’unità dello Stato, a distruggere il sentimento nazionale e a suscitare la guerra civile per finalità di terrorismo e di eversione dell’ordine democratico ». Accuse pesantissime, di cui Papalia ha sempre voluto sostenere la fondatezza. Un processo infinito Già in fase di udienza preliminare, tuttavia, il processo fu trasferito per competenza da Verona a Padova. Molti degli imputati patteggiarono, ma in quattro andarono fino in fondo: i due Contin, Buson e pure Bepi Segato, l’ideologo che morì il 27 marzo del 2006.
In primo grado, dopo essere caduta l’imputazione relativa alla distruzione del sentimento nazionale (reato dichiarato illegittimo dalla Corte Costituzionale nel 2001), i giudici dell’Assise di Padova assolsero tutti gli imputati perché non fu provato il «programma di violenza in quanto la sua concretizzazione si sarebbe manifestata la prima volta con modalità tali per cui con certezza nessun’altra azione sarebbe stata poi possibile da parte del commando». Lo scorso giugno quindi anche la Corte d’Assise d’Appello di Venezia, seppur con diverse motivazioni, ha confermato la sentenza di primo grado, facendo così esultare i tre «serenissimi» e i loro legali. «Bepi Segato, questa vittoria è per te», esclamò il più giovane dei Contin alla lettura della sentenza, rivolgendosi all’ex compagno scomparso. Ora però è di nuovo tutto in ballo.
Giovanni Viafora
Fonte: Corriere del Veneto
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