Istanbul, 17 mar. (Apcom-Nuova Europa) - Barack Obama non userà la parola "genocidio" nel tradizionale discorso il 24 aprile per ricordare i massacri della popolazione armena del 1915.
A scriverlo è il Los Angeles Times, uno dei più autorevoli quotidiano americani, che in un articolo a firma di Paul Richter, scrive cche gli Stati Uniti in questo momento potrebbero avere molti problemi con Ankara se veramente Obama usasse la parola "genocidio" nel suo discorso.E così il 24 aprile s'avvicina e il presidente si trova stretto fra due fuochi.
La Diaspora armena, discendente della gente massacrata si augura che almeno Obama mantenga quello che Clinton e Bush avevano promesso a più riprese e che hanno sempre astutamente evitato: l'utilizzo della parola "genocidio" nel loro speech, che equivarrebbe a un riconoscimento ufficiale da parte degli Stai Uniti d'America e che comporterebbe una crisi senza precedenti con la Turchia.
Le versioni turca e armena su che cosa è successo sono così diverse da essere inconciliabili. L'Armenia parla di un milione 1,5 milioni di morti, deportati e uccisi in modo predeterminato e in mezzo alle più atroci sofferenze.
Un massacro che Erevan e parte della comunità internazionale vorrebbe vedere riconosciuto come "genocidio". Ankara si rifiuta e contrappone la sua versione dei fatti, dicendo che non si trattò di una deportazione ma di una "relocation" e che le vittime furono al massimo 300mila, uccise non in modo premeditato, ma in seguito a iniziative personali da parte di alcuni soldati (spesso curdi) ed epidemie.
A questo Ankara aggiunge che ci furono migliaia di turchi sterminati dalle truppe russe che entrarono nel territorio ottomano dalla parte di Kars.Un dibattito che va avanti a quasi cent'anni, ma che negli ultimi tempi ha fatto intravedere anche raggi di speranza. Le relazioni fra Turchia e Armenia infatti negli ultimi tempo sono progressivamente migliorate, anche grazie alle prospettive che derivano dalle future rotte dell'energia che attraverseranno il Caucaso e che dalle quali l'Armenia non vuole rimanere fuori.
La Turchia sta mediando in modo determinante per ricomporre la frattura fra Armenia e Azerbaigian, i cui rapporti sono tesi per la questione del Nagorno Karabakh, regione in territorio azero a maggioranza armena di fatto occupata militarmente da Erevan.Una parola usata da Obama potrebbe bloccare questi processi, vitali per la pacificazione del Caucaso.
L'eventualità preoccupa seriamente il ministero degli esteri turco, Ali Babacan, che proprio questa settimana si è detto preoccupato per l'eventualità, concreta secondo lui che Obama possa veramente utilizzare il termine genocidio.
Ma a preoccupare di più Richter sono le ripercussioni sulla politica mediorientale.
Ankara ha infatti ricoperto un ruolo centrale nella ricomposizione dell'ultima crisi sulla striscia di Gaza e prima ancora nella mediazione fra Siria e Israele per la cessione delle alture del Golan.
Un alleato prezioso che non converrebbe proprio tirarsi contro.
C'è poi la questione, annosa, della situazione esplosiva sul confine nord iracheno, dove le frange del Pkk provano rifugio e dove l'esercito turco ha sconfinato più volte, sotto forma di operazioni chirurgiche volte a indebolire la guerriglia separatista.Il presidente degli Stati Uniti sarà a Istanbul il prossimo 6 aprile, dopo la visita del Segretario di Stato Clinton.
Parlerà con il presidente della Repubblica turca Gul e con il ministro degli esteri Babacan.
Proprio il capo della diplomazia turca settimana scorsa, in un'intervista alla Ntv aveva confessato di temere che Obama avrebbe scelto di mantenere fede ai suoi impegni presi con la Diaspora armena durante la campagna elettorale. Da parte sua il neopresidente deve tenere in considerazione il fatto che il riconoscimento del genocidio armeno è un punto su cui lo stesso vicepresidente Joe Biden e l'attuale Segretario di Stato americano Hillary Rodham Clinton hanno lanciato precisi messaggi, giunti quanto mai graditi alla Diaspora Armena, potentissima negli States.
(Fonte: Apcom del 17 marzo 2009)
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