martedì 10 marzo 2009
"OIL": la voce delle vittime
Di Maurizio Carena
Proiettato in Sardegna il film "OIL", una video-inchiesta sul polo petrolchimico sardo del regista indipendente Massimiliano Mazzotta.
Nella serata di venerdi’ 20 febbraio, è avvenuta a Cagliari l’unica proiezione pubblica, poi eccezionalmente replicata, dell’ultimo film del 37enne regista pugliese Massimiliano Mazzotta.
Si tratta di una video-inchiesta sulla raffineria Saras (gruppo ENI) sita nel comune di Sarroch, paese di 5200 abitanti che si affaccia sul golfo di Cagliari, a pochi chilometri di distanza dal capoluogo isolano.
Tale raffineria, la più grande del Mediterraneo, sorta nei primi anni 60 del secolo scorso nell’ambito del Piano di Rinascita e di proprietà della famiglia milanese Moratti, aveva un’estensione di 180 ettari, che col tempo si sono moltiplicati sino ad assorbire, con oltre 800 ettari di stabilimenti vari, la quasi totalita’ del territorio comunale.
Fino a pochi anni fa la raffineria era autorizzata ad emettere sino a 14.000 tonnellate di emissioni l’anno, poi ridotte alla metà.
Tra tali emissioni vi sono il benzene e l’idrogeno solforato, entrambi altamente cancerogeni, oltre che estremamente tossici.
Praticamente gli abitanti del paese vivono in simbiosi col polo petrolchimico, coi suoi rumori, coi suoi miasmi, coi suoi veleni; tra le case e le ciminiere vi sono non chilometri ma, in certi casi, poche centinaia di metri. Forse per questo il dottor Annibale Biggeri, intervistato nel film, ha riscontrato tra i bambini del posto una modificazione a livello di DNA, qualcosa che spaventa solo a pensarci.
Inutile dire che l’impatto ambientale di tale impianto si è rivelato col tempo devastante per le persone e l’ecosistema. Le patologie tumorali e le affezioni croniche dell’apparato respiratorio sono altissime rispetto alla media nazionale. Le viscere degli agnelli hanno odore di petrolio, e così i pesci della zona, fin quando li pescavano.
Da notare che, negli anni si è assistito non già ad un passaggio ad uno sviluppo piu’ rispettoso dell’ambiente, ma ad un ampliamento delle attivita’ di raffinazione petrolifera.
Del resto lo scempio ambientale e le vittime del cancro non sono mai state oggetto di inchieste da parte dei media locali, che si dedicano invece a sponsorizzare le grandi opere dei loro editori, disinteressandosi completamente della consapevolezza dei cittadini.
Sotto questo aspetto la vergognosa disinformazione dei mainstream isolani (giornali e tv) è veramente scandalosa e indegna di un paese minimamente civile.
Anche grazie a tale disinformazione la cittadinanza crede che la raffineria esista quasi per diritto divino, che così debba essere nei secoli a venire e che i morti siano il prezzo da pagare, una specie di moderno sacrificio umano, mentre a Milano i padroni del vapore contano i miliardi.
Nel 2000, tra gli altri, entra in funzione l’impianto IGCC della SARLUX, che smaltisce le scorie della stessa Saras, scorie altamente tossiche e di difficile smaltimento (il cosiddetto filtercake) ma che, per il nostro stato criminogeno sono considerate (unico caso in Europa) "fonti rinnovabili" e quindi vengono usate per produrre energia elettrica, sovvenzionata dallo stato con la truffa dei CIP6, gli stessi incentivi usati per assimilare gli inceneritori alle "fonti rinnovabili" e vendere l’energia elettrica prodotta in modo altamente inquinante (nanopolveri) al triplo del prezzo di mercato.
Il film del giovane regista di Lecce prende le mosse, quasi casualmente, da una sua vacanza nella zona risalente all’estate del 2007 e che lo condurrà a tornare diverse volte nel paese adiacente alla raffineria per sviluppare una vera e propria inchiesta sugli effetti dello stabilimento sulla salute della popolazione, sulla base di interviste dirette, testimonianze, nomi e cifre.
Il documentario inizia con una breve prospettiva storica mostrando la trasformazione della zona, da prevalentemente agropastorale con forte disoccupazione a tipicamente industriale, con circa la metà degli abitanti di Sarroch impiegati in raffineria e un aumento del benessere economico diffuso.
E subito iniziano le interviste, vera colonna portante di questo bellissimo esempio di cine-giornalismo. Purtroppio il miraggio del facile benessere economico basato sulla raffineria si rivela, per i lavoratori, piuttosto effimero, perchè si può pagare con la vita.
Inizia a parlare un pescatore, con immagini che risalgono ai primi anni 70, che ci parla di "spigola al diesel", con riferimento all’odore che ha talvolta il suo pescato.
Parleranno poi Ignazio Piras (sicurezza sul lavoro Saras) per rassicurare sulle condizioni di lavoro, nonché Giorgio Zonza (responsabile comunicazione Saras) il quale, sfoderando un campionario di propaganda paradigmatico, ci parlerà di "progresso" e di "crescita" e, senza minimamente accennare alle vittime e ai veleni, ci illustrerà il gabbiano Gabì, usato come testimonial della raffineria nelle scuole elementari, per abituare sin dalla più tenera etaà gli abitanti di Sarroch a rispettare e ad amare quel mostro mefitico che avrà ucciso i loro genitori e forse un giorno uccidera’ anche loro.
Bisogna amare i propri carnefici. Siamo oltre Orwell, ma proseguiamo.
C’e’ Skizzo, il giovanissimo artista di strada coi dredlocks che ci dà un saggio delle sue capacità e fa filtrare un raggio di sole in un film che, comunque, sarà sempre basato su un tipo di comunicazione cruda e realistica, con forti rumori di fondo, a volte disturbanti, testimoni con la voce camuffata e un effetto contrasto, leit motiv di tutto il film, tra la retorica mendace del potere e la verità raccontata e mostrata dalle vittime.
Ci sono i ridicoli controlli medici sugli operai, effettuati con roulottes e medici itineranti a libro paga dell’azienda avvelenatrice.
A chi chiede di essere visitato in normali ospedale l’azienda risponde che non è possibile, a causa.... degli "alti costi". Ogni commento è superfluo.
Verrà poi ripresa, in conferenza, Claudia Zuncheddu, medico e consigliere regionale, che smaschererà gli escamotage aziendali finalizzati a vanificare gli esami medici che potrebbero evidenziare le responsabilità della raffineria e i suoi gravissimi danni sulla salute: ("si dovrebbe espettorare catarro, per avere dati veritieri, ma l’azienda ci diceva di sputare come campione della semplice saliva..." racconta un operaio).
Poi parla il disincanto di un un vecchio del luogo: "i soldi vanno a Milano"; sullo sfondo l’onnipresente raffineria.
Arriviamo all’8 marzo 2008; mentre Massimo Moratti festeggia a San Siro la squadra di calcio di famiglia, duettando al microfono con Celentano, in Sardegna, in una palestra di Sarroch, un gruppo di persone rendono omaggio all’ultima vittima del petrolkiller.
Parla Barbara Romanino, i cui nonni sarrochesi sono tutti morti di cancro, dopo essere stati spossessati delle loro terre e indennizzati da "sa rovineria" con 340 lire al metro quadro; la Romanino, al microfono, indica chiaramente le responsabilità del petrolchimico e chiama in causa anche i politici locali, nel migliore dei casi indifferenti, quando non collusi o corrotti e comunque inadeguati a salvaguardare la popolazione decimata da un ecomostro insaziabile.
L’ex governatore della Sardegna Renato Soru, che concede un’intervista al regista (cosa che non faranno i vertici di POLIMERI EUROPA, società partecipata nel business petrolifero sarrochese), ribadisce la sua contrarietà ad assimilare alle energie rinnovabili gli scarti di lavorazione del petrolio, evidentemente altamente inquinanti. Non solo l’ex governatore stigmatizza la surrettizia pratica dei CIP6 in tale velenoso contesto, ma ricorda di essere stato l’unico politico a non aver partecipato ai rituali eventi aziendali organizzati dalla Saras.
Nel film è evidenziato l’attivismo di base e la sua importanza quando la politica abdica completamente al suo ruolo.
Arianoa è un’associazione sarrochese che raggruppa, ad oggi, un centinaio di persone tra lavoratori ed abitanti, che avanzano richieste all’azienda, oltre a stimolare il dibattito e la presa di coscienza della cittadinanza. La principale richiesta è la sicurezza e il diritto a vivere in un ambiente monitorato e possibilmente salubre. Non vogliono che la Saras se ne vada, ma vorrebbero che si cominci ad ascoltare la loro voce e prendere provvedimenti concreti.
Inutile dire che ne il comune ne tantomeno l’azienda li considerano interlocutori.
Il comune di Sarroch non ha voluto concedere un qualsiasi spazio pubblico per la proiezione del film, l’unica proiezione è avvenuta in un bar, e l’azienda stessa, nei suoi comunicati interni (lo affermano testimoni nel dibattito post-film), ha fortemente criticato l’opera del regista pugliese.
Tornando ad Arianoa, nel film parleranno Beatrice Tiddia, vedova del marito morto a 48 anni, di cui trenta in raffineria, e Igor Melis, un fondatore dell’associazione stessa.
Lo scienziato fiorentino Annibale Biggeri, intervistato, ribadirà lo stravolgimento ambientale e i rischi sanitari derivanti da un polo petrolchimico così pericolosamente vicino ad un centro abitato, nonché i già accennati danni al DNA infantile dei bambini sarrochesi.
Con riferimento allo scempio ambientale nel film incontriamo anche Vincenzo Tiana, responsabile Legambiente Sardegna e Luca Pinna, suo omologo del WWF regionale; entrambi sottolineeranno l’incongruenza, per non dire l’assurdità, della presenza devastante di una raffineria in una zona di altissimo pregio naturalistico quasi unica in Europa, con zone umide, dune, aironi e fenicotteri.
Patrizia ci racconterà del suo compagno sarrochese, Gigi Vaccargiu, morto di cancro appena 31enne il 19 agosto 2007. Si tratta di una testimonianza tanto sobria quanto drammatica, veramente difficile da dimenticare.
Ma la catena di testimonianze su veleno, soldi e morti, che grava su tutta la pellicola e che sembra un pallone che stia per scoppiare, trova il suo contraltare nella suprema ipocrisia delle parole che chiudono il film, quelle di Gianmarco Moratti, gran patron della raffineria, ripreso mentre parla di fronte ai suoi dipendenti: "la nostra famiglia è la Saras". Un pugno in faccia farebbe meno male.
Inutile dire che il film è stato ignorato, per non dire censurato, da tutti i mainstream nazionali; qualche testata locale gli ha dedicato una mezza paginetta, ma senza approfondimenti, senza contesto, senza seguito.
Sia L’Unione Sarda che l’edizione locale di EPolis si sono limitate al commentino di rito, senza creare partecipazione, senza stimolare dibattiti, ricordandosi che, come sempre, prima vengono gli inserzionisti e i lettori sono la merce da vendergli. La solita vergogna mainstream.
Il film è stato rifiutato persino da eventi (pseudo)culturali come Torino film festival 2008 e Festival Cinema Giovani 2008. Non parliamo della distribuzione nelle sale, non parliamone perchè, semplicemente, non avremmo di che parlare.
Dobbiamo ringraziare l’anziano docente di comunicazione milanese Antonio Caronia che, conosciuto il giovane regista quasi per caso, si è poi adoperato per aiutarlo nella divulgazione.
Sono tutt’ora entrambi alla ricerca di spazi pubblici dove proiettare il film, specie qui in Sardegna e gli auguro buona fortuna, di cuore.
Se mi è concesso un commento, al termine di questo resoconto, che spero non sia stato troppo lungo e/o noioso, mi auguro che il film di Mazzotta possa portare la consapevolezza dei parenti delle vittime dell’azienda killer a un livello tale da permettere una eventuale azione penale nei confronti dei responsabili di malattie evitabili, morti sbagliate, sviluppo sbagliato. In primis l’azienda, ma anche politici ignavi, i sindacati opportunisti, le istituzioni che dovevano controllare, totalmente assenti.
Perchè, come ci mostra questo film capolavoro, i responsabili dello sfacelo ambientale e sanitario hanno nome, cognome e indirizzo, anche se, in Italia, certi poteri sono intoccabili, come dimostra la sentenza del tribunale di Venezia del 2 novembre 2001, che assolveva i vertici criminali di Montedison e Enichem.
Ma non è detto che il futuro debba essere uguale al passato
Dedico questo scritto alla memoria di Ken Saro Wiwa.
Fonte:Agoravox
Di Maurizio Carena
Proiettato in Sardegna il film "OIL", una video-inchiesta sul polo petrolchimico sardo del regista indipendente Massimiliano Mazzotta.
Nella serata di venerdi’ 20 febbraio, è avvenuta a Cagliari l’unica proiezione pubblica, poi eccezionalmente replicata, dell’ultimo film del 37enne regista pugliese Massimiliano Mazzotta.
Si tratta di una video-inchiesta sulla raffineria Saras (gruppo ENI) sita nel comune di Sarroch, paese di 5200 abitanti che si affaccia sul golfo di Cagliari, a pochi chilometri di distanza dal capoluogo isolano.
Tale raffineria, la più grande del Mediterraneo, sorta nei primi anni 60 del secolo scorso nell’ambito del Piano di Rinascita e di proprietà della famiglia milanese Moratti, aveva un’estensione di 180 ettari, che col tempo si sono moltiplicati sino ad assorbire, con oltre 800 ettari di stabilimenti vari, la quasi totalita’ del territorio comunale.
Fino a pochi anni fa la raffineria era autorizzata ad emettere sino a 14.000 tonnellate di emissioni l’anno, poi ridotte alla metà.
Tra tali emissioni vi sono il benzene e l’idrogeno solforato, entrambi altamente cancerogeni, oltre che estremamente tossici.
Praticamente gli abitanti del paese vivono in simbiosi col polo petrolchimico, coi suoi rumori, coi suoi miasmi, coi suoi veleni; tra le case e le ciminiere vi sono non chilometri ma, in certi casi, poche centinaia di metri. Forse per questo il dottor Annibale Biggeri, intervistato nel film, ha riscontrato tra i bambini del posto una modificazione a livello di DNA, qualcosa che spaventa solo a pensarci.
Inutile dire che l’impatto ambientale di tale impianto si è rivelato col tempo devastante per le persone e l’ecosistema. Le patologie tumorali e le affezioni croniche dell’apparato respiratorio sono altissime rispetto alla media nazionale. Le viscere degli agnelli hanno odore di petrolio, e così i pesci della zona, fin quando li pescavano.
Da notare che, negli anni si è assistito non già ad un passaggio ad uno sviluppo piu’ rispettoso dell’ambiente, ma ad un ampliamento delle attivita’ di raffinazione petrolifera.
Del resto lo scempio ambientale e le vittime del cancro non sono mai state oggetto di inchieste da parte dei media locali, che si dedicano invece a sponsorizzare le grandi opere dei loro editori, disinteressandosi completamente della consapevolezza dei cittadini.
Sotto questo aspetto la vergognosa disinformazione dei mainstream isolani (giornali e tv) è veramente scandalosa e indegna di un paese minimamente civile.
Anche grazie a tale disinformazione la cittadinanza crede che la raffineria esista quasi per diritto divino, che così debba essere nei secoli a venire e che i morti siano il prezzo da pagare, una specie di moderno sacrificio umano, mentre a Milano i padroni del vapore contano i miliardi.
Nel 2000, tra gli altri, entra in funzione l’impianto IGCC della SARLUX, che smaltisce le scorie della stessa Saras, scorie altamente tossiche e di difficile smaltimento (il cosiddetto filtercake) ma che, per il nostro stato criminogeno sono considerate (unico caso in Europa) "fonti rinnovabili" e quindi vengono usate per produrre energia elettrica, sovvenzionata dallo stato con la truffa dei CIP6, gli stessi incentivi usati per assimilare gli inceneritori alle "fonti rinnovabili" e vendere l’energia elettrica prodotta in modo altamente inquinante (nanopolveri) al triplo del prezzo di mercato.
Il film del giovane regista di Lecce prende le mosse, quasi casualmente, da una sua vacanza nella zona risalente all’estate del 2007 e che lo condurrà a tornare diverse volte nel paese adiacente alla raffineria per sviluppare una vera e propria inchiesta sugli effetti dello stabilimento sulla salute della popolazione, sulla base di interviste dirette, testimonianze, nomi e cifre.
Il documentario inizia con una breve prospettiva storica mostrando la trasformazione della zona, da prevalentemente agropastorale con forte disoccupazione a tipicamente industriale, con circa la metà degli abitanti di Sarroch impiegati in raffineria e un aumento del benessere economico diffuso.
E subito iniziano le interviste, vera colonna portante di questo bellissimo esempio di cine-giornalismo. Purtroppio il miraggio del facile benessere economico basato sulla raffineria si rivela, per i lavoratori, piuttosto effimero, perchè si può pagare con la vita.
Inizia a parlare un pescatore, con immagini che risalgono ai primi anni 70, che ci parla di "spigola al diesel", con riferimento all’odore che ha talvolta il suo pescato.
Parleranno poi Ignazio Piras (sicurezza sul lavoro Saras) per rassicurare sulle condizioni di lavoro, nonché Giorgio Zonza (responsabile comunicazione Saras) il quale, sfoderando un campionario di propaganda paradigmatico, ci parlerà di "progresso" e di "crescita" e, senza minimamente accennare alle vittime e ai veleni, ci illustrerà il gabbiano Gabì, usato come testimonial della raffineria nelle scuole elementari, per abituare sin dalla più tenera etaà gli abitanti di Sarroch a rispettare e ad amare quel mostro mefitico che avrà ucciso i loro genitori e forse un giorno uccidera’ anche loro.
Bisogna amare i propri carnefici. Siamo oltre Orwell, ma proseguiamo.
C’e’ Skizzo, il giovanissimo artista di strada coi dredlocks che ci dà un saggio delle sue capacità e fa filtrare un raggio di sole in un film che, comunque, sarà sempre basato su un tipo di comunicazione cruda e realistica, con forti rumori di fondo, a volte disturbanti, testimoni con la voce camuffata e un effetto contrasto, leit motiv di tutto il film, tra la retorica mendace del potere e la verità raccontata e mostrata dalle vittime.
Ci sono i ridicoli controlli medici sugli operai, effettuati con roulottes e medici itineranti a libro paga dell’azienda avvelenatrice.
A chi chiede di essere visitato in normali ospedale l’azienda risponde che non è possibile, a causa.... degli "alti costi". Ogni commento è superfluo.
Verrà poi ripresa, in conferenza, Claudia Zuncheddu, medico e consigliere regionale, che smaschererà gli escamotage aziendali finalizzati a vanificare gli esami medici che potrebbero evidenziare le responsabilità della raffineria e i suoi gravissimi danni sulla salute: ("si dovrebbe espettorare catarro, per avere dati veritieri, ma l’azienda ci diceva di sputare come campione della semplice saliva..." racconta un operaio).
Poi parla il disincanto di un un vecchio del luogo: "i soldi vanno a Milano"; sullo sfondo l’onnipresente raffineria.
Arriviamo all’8 marzo 2008; mentre Massimo Moratti festeggia a San Siro la squadra di calcio di famiglia, duettando al microfono con Celentano, in Sardegna, in una palestra di Sarroch, un gruppo di persone rendono omaggio all’ultima vittima del petrolkiller.
Parla Barbara Romanino, i cui nonni sarrochesi sono tutti morti di cancro, dopo essere stati spossessati delle loro terre e indennizzati da "sa rovineria" con 340 lire al metro quadro; la Romanino, al microfono, indica chiaramente le responsabilità del petrolchimico e chiama in causa anche i politici locali, nel migliore dei casi indifferenti, quando non collusi o corrotti e comunque inadeguati a salvaguardare la popolazione decimata da un ecomostro insaziabile.
L’ex governatore della Sardegna Renato Soru, che concede un’intervista al regista (cosa che non faranno i vertici di POLIMERI EUROPA, società partecipata nel business petrolifero sarrochese), ribadisce la sua contrarietà ad assimilare alle energie rinnovabili gli scarti di lavorazione del petrolio, evidentemente altamente inquinanti. Non solo l’ex governatore stigmatizza la surrettizia pratica dei CIP6 in tale velenoso contesto, ma ricorda di essere stato l’unico politico a non aver partecipato ai rituali eventi aziendali organizzati dalla Saras.
Nel film è evidenziato l’attivismo di base e la sua importanza quando la politica abdica completamente al suo ruolo.
Arianoa è un’associazione sarrochese che raggruppa, ad oggi, un centinaio di persone tra lavoratori ed abitanti, che avanzano richieste all’azienda, oltre a stimolare il dibattito e la presa di coscienza della cittadinanza. La principale richiesta è la sicurezza e il diritto a vivere in un ambiente monitorato e possibilmente salubre. Non vogliono che la Saras se ne vada, ma vorrebbero che si cominci ad ascoltare la loro voce e prendere provvedimenti concreti.
Inutile dire che ne il comune ne tantomeno l’azienda li considerano interlocutori.
Il comune di Sarroch non ha voluto concedere un qualsiasi spazio pubblico per la proiezione del film, l’unica proiezione è avvenuta in un bar, e l’azienda stessa, nei suoi comunicati interni (lo affermano testimoni nel dibattito post-film), ha fortemente criticato l’opera del regista pugliese.
Tornando ad Arianoa, nel film parleranno Beatrice Tiddia, vedova del marito morto a 48 anni, di cui trenta in raffineria, e Igor Melis, un fondatore dell’associazione stessa.
Lo scienziato fiorentino Annibale Biggeri, intervistato, ribadirà lo stravolgimento ambientale e i rischi sanitari derivanti da un polo petrolchimico così pericolosamente vicino ad un centro abitato, nonché i già accennati danni al DNA infantile dei bambini sarrochesi.
Con riferimento allo scempio ambientale nel film incontriamo anche Vincenzo Tiana, responsabile Legambiente Sardegna e Luca Pinna, suo omologo del WWF regionale; entrambi sottolineeranno l’incongruenza, per non dire l’assurdità, della presenza devastante di una raffineria in una zona di altissimo pregio naturalistico quasi unica in Europa, con zone umide, dune, aironi e fenicotteri.
Patrizia ci racconterà del suo compagno sarrochese, Gigi Vaccargiu, morto di cancro appena 31enne il 19 agosto 2007. Si tratta di una testimonianza tanto sobria quanto drammatica, veramente difficile da dimenticare.
Ma la catena di testimonianze su veleno, soldi e morti, che grava su tutta la pellicola e che sembra un pallone che stia per scoppiare, trova il suo contraltare nella suprema ipocrisia delle parole che chiudono il film, quelle di Gianmarco Moratti, gran patron della raffineria, ripreso mentre parla di fronte ai suoi dipendenti: "la nostra famiglia è la Saras". Un pugno in faccia farebbe meno male.
Inutile dire che il film è stato ignorato, per non dire censurato, da tutti i mainstream nazionali; qualche testata locale gli ha dedicato una mezza paginetta, ma senza approfondimenti, senza contesto, senza seguito.
Sia L’Unione Sarda che l’edizione locale di EPolis si sono limitate al commentino di rito, senza creare partecipazione, senza stimolare dibattiti, ricordandosi che, come sempre, prima vengono gli inserzionisti e i lettori sono la merce da vendergli. La solita vergogna mainstream.
Il film è stato rifiutato persino da eventi (pseudo)culturali come Torino film festival 2008 e Festival Cinema Giovani 2008. Non parliamo della distribuzione nelle sale, non parliamone perchè, semplicemente, non avremmo di che parlare.
Dobbiamo ringraziare l’anziano docente di comunicazione milanese Antonio Caronia che, conosciuto il giovane regista quasi per caso, si è poi adoperato per aiutarlo nella divulgazione.
Sono tutt’ora entrambi alla ricerca di spazi pubblici dove proiettare il film, specie qui in Sardegna e gli auguro buona fortuna, di cuore.
Se mi è concesso un commento, al termine di questo resoconto, che spero non sia stato troppo lungo e/o noioso, mi auguro che il film di Mazzotta possa portare la consapevolezza dei parenti delle vittime dell’azienda killer a un livello tale da permettere una eventuale azione penale nei confronti dei responsabili di malattie evitabili, morti sbagliate, sviluppo sbagliato. In primis l’azienda, ma anche politici ignavi, i sindacati opportunisti, le istituzioni che dovevano controllare, totalmente assenti.
Perchè, come ci mostra questo film capolavoro, i responsabili dello sfacelo ambientale e sanitario hanno nome, cognome e indirizzo, anche se, in Italia, certi poteri sono intoccabili, come dimostra la sentenza del tribunale di Venezia del 2 novembre 2001, che assolveva i vertici criminali di Montedison e Enichem.
Ma non è detto che il futuro debba essere uguale al passato
Dedico questo scritto alla memoria di Ken Saro Wiwa.
Fonte:Agoravox
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