Questa repubblica si sta preparando a festeggiare i 150 anni di quella che chiamano unità d’Italia.
Noi a Gaeta ricorderemo quel misfatto, inviteremo tutti i meridionali, inviteremo nella nostra città tutti coloro che hanno a cuore le sorti di questa repubblica. Siamo sicuri, a Torino chiameranno il Principe dei Cetrioli , noi chiameremo a raccolta i discendenti dei briganti fatti fucilare da quegli assassini dei fratelli d’Italia.
Nel febbraio del 2011, Gaeta sarà teatro di qualcosa che sconvolgerà le coscienze dei meridionali, prepareremo la riscossa e l’assalto alla politica imperante dei partiti del Nord, a quei partiti che ci derubano da 148 anni, a quei partiti detentori delle truppe mediatiche di regime.
Il Sud un giorno andrà al governo della cosa pubblica, quel giorno non è lontano,
i tempi cambiano, le nostre bordate si stanno facendo strada tra i meridionali. Usiamo internet, usiamo Facebook, usiamo le nostre canzoni, i nostri cantanti, i nostri blog. Un giorno il Sud affamato, il sud disoccupato, il sud degli imprenditori distrutti dalle banche e dalla camorra insorgerà.
Dobbiamo solo aspettare, il tempo ci darà ragione e i nostri Briganti saranno vendicati. Dio è con noi.
Sig. Presidente,
all’atto della cosiddetta unificazione italiana il Tesoro era in possesso di 668 milioni di lire di cui i due terzi, ben 443 erano dell’ex Regno delle Due Sicilie, al Piemonte appartenevano solo 27 milioni e alla Lombardia, oggi così ricca, solo otto milioni. Quelle due regioni campavano quasi esclusivamente di agricoltura, i lombardi erano additati come i vaccari degli austriaci. I padani tutti erano costretti ad una emigrazione feroce ; sotto i loro domini il carbonchio e la pellagra mietevano vittime a migliaia. Non era così per gli abitanti delle Due Sicilie. Le ferrovie, ignote in Italia fecero la prima apparizione a Napoli nel 1836; nel 1837 arrivò il gas e nel 1852 il telegrafo elettrico. Col benessere aumentava la popolazione in tutto il regno e per la stessa ragione anche le entrate pubbliche quintuplicarono. Le strade e le città erano sicure e la pirateria che veniva dal mare fu debellata; eliminate le leggi feudali si diede ordine ai territori e si concesse per la prima volta al mondo, la terra a chi la lavorava; furono così estirpate boscaglie e paludi per far posto a frutteti e vigneti; furono ripuliti e arginati i fiumi.
Si mise ordine all’amministrazione pubblica e a quella di tutto il Regno delle Due Sicilie. La scuola fu istituzionalizzata come primaria e quella religiosa a far da supporto. Laicismo e religiosità si confondevano e gareggiavano in rivalità, dando al nuovo regno impulso culturale. Fiorirono pittori, scrittori, architetti, maestri di musica, compositori, artisti, poeti; grande sviluppo ebbe l’artigianato. Il teatro San Carlo, primo al mondo, fu costruito in soli 270 giorni e la stessa corrente culturale fece nascere l’Officina dei Papiri, il Museo Archeologico, l’orto Botanico, l’Osservatorio Astronomico e, primo al mondo, l’Osservatorio Sismologico Vesuviano e la Biblioteca Nazionale. Lo sviluppo industriale fu travolgente e in venti anni raggiunse primati impensabili sia nei settori del tessile che in quello metalmeccanico con 1.600.000 mila addetti contro il 1.100.000 del resto della penisola italica. Nacquero industrie all’avanguardia e tecnologicamente avanzate dando vita a ferrovie e costruendo i primi ponti in ferro in Italia, opere d’alta ingegneria in parte ancora visibili sul fiume Calore e sul Garigliano. La navigazione si sviluppò ammirevole tanto che il governo borbonico fu costretto a promulgare, primo in Italia, il Codice Marittimo creando dal niente una rete di fari con sistema lenticolare per tutta la costa. Le navi mercantili del Regno delle Due Sicilie solcavano i mari di tutto il mondo e la sua flotta era seconda solo a quella del Regno Unito. Le compagnie di navigazione pullulavano e così pure i cantieri navali tutti forniti di mano d’opera di prim’ordine; gli operai lavoravano otto ore al giorno e guadagnavano abbastanza per sostentare le loro famiglie e primi in Italia usufruirono di una pensione statale in quanto fu istituito un sistema pensionistico con ritenuta del 2% sugli stipendi. Nel Reame la disoccupazione era praticamente inesistente e l’emigrazione era parola sconosciuta, gli sportelli bancari erano diffusi capillarmente in paesi e villaggi e duecentomila commercianti facevano da traino all’economia.
Sig. Presidente,
all’atto della cosiddetta unificazione italiana il Tesoro era in possesso di 668 milioni di lire di cui i due terzi, ben 443 erano dell’ex Regno delle Due Sicilie, al Piemonte appartenevano solo 27 milioni e alla Lombardia, oggi così ricca, solo otto milioni. Quelle due regioni campavano quasi esclusivamente di agricoltura, i lombardi erano additati come i vaccari degli austriaci. I padani tutti erano costretti ad una emigrazione feroce ; sotto i loro domini il carbonchio e la pellagra mietevano vittime a migliaia. Non era così per gli abitanti delle Due Sicilie. Le ferrovie, ignote in Italia fecero la prima apparizione a Napoli nel 1836; nel 1837 arrivò il gas e nel 1852 il telegrafo elettrico. Col benessere aumentava la popolazione in tutto il regno e per la stessa ragione anche le entrate pubbliche quintuplicarono. Le strade e le città erano sicure e la pirateria che veniva dal mare fu debellata; eliminate le leggi feudali si diede ordine ai territori e si concesse per la prima volta al mondo, la terra a chi la lavorava; furono così estirpate boscaglie e paludi per far posto a frutteti e vigneti; furono ripuliti e arginati i fiumi.
Si mise ordine all’amministrazione pubblica e a quella di tutto il Regno delle Due Sicilie. La scuola fu istituzionalizzata come primaria e quella religiosa a far da supporto. Laicismo e religiosità si confondevano e gareggiavano in rivalità, dando al nuovo regno impulso culturale. Fiorirono pittori, scrittori, architetti, maestri di musica, compositori, artisti, poeti; grande sviluppo ebbe l’artigianato. Il teatro San Carlo, primo al mondo, fu costruito in soli 270 giorni e la stessa corrente culturale fece nascere l’Officina dei Papiri, il Museo Archeologico, l’orto Botanico, l’Osservatorio Astronomico e, primo al mondo, l’Osservatorio Sismologico Vesuviano e la Biblioteca Nazionale. Lo sviluppo industriale fu travolgente e in venti anni raggiunse primati impensabili sia nei settori del tessile che in quello metalmeccanico con 1.600.000 mila addetti contro il 1.100.000 del resto della penisola italica. Nacquero industrie all’avanguardia e tecnologicamente avanzate dando vita a ferrovie e costruendo i primi ponti in ferro in Italia, opere d’alta ingegneria in parte ancora visibili sul fiume Calore e sul Garigliano. La navigazione si sviluppò ammirevole tanto che il governo borbonico fu costretto a promulgare, primo in Italia, il Codice Marittimo creando dal niente una rete di fari con sistema lenticolare per tutta la costa. Le navi mercantili del Regno delle Due Sicilie solcavano i mari di tutto il mondo e la sua flotta era seconda solo a quella del Regno Unito. Le compagnie di navigazione pullulavano e così pure i cantieri navali tutti forniti di mano d’opera di prim’ordine; gli operai lavoravano otto ore al giorno e guadagnavano abbastanza per sostentare le loro famiglie e primi in Italia usufruirono di una pensione statale in quanto fu istituito un sistema pensionistico con ritenuta del 2% sugli stipendi. Nel Reame la disoccupazione era praticamente inesistente e l’emigrazione era parola sconosciuta, gli sportelli bancari erano diffusi capillarmente in paesi e villaggi e duecentomila commercianti facevano da traino all’economia.
Sorsero nei nostri territori le prime agenzie turistiche italiane e si diede inizio agli scavi di Pompei ed Ercolano. Le Università sfornavano fior di scienziati e professionisti e il Regno delle Due Sicilie poteva vantare il più basso tasso di mortalità infantile in Italia. Erano sparsi sul territorio ospedali ed ospizi e ben 9000 medici.
Lo Stato godeva di buona salute.
Nella conferenza internazionale di Parigi del 1856 fu assegnato al Regno delle Due Sicilie il premio di terzo paese più industrializzato d’Europa dopo Inghilterra e Francia.
Gaeta ( oggi in provincia di Latina) nel 1860-61 subì un assedio ferocissimo da parte delle truppe piemontesi del generale Enrico Cialdini che, senza dichiarazione di guerra e a tradimento, invase il Regno delle Due Sicilie contro il Diritto Internazionale, oggi come allora vigente. Proprio come fece Saddham Hussein col Kuwait. Oltre mille soldati napoletani furono massacrati dalle bombe dei cannoni rigati del generale macellaio piemontese e centinaia di nostri compaesani perirono sotto i bombardamenti barbari e disumani di coloro che, da soldati divennero assassini. Non si trattò di assedio ma di tiro al bersaglio contro le case, le chiese, le caserme ed i conventi della nostra amata città e i segni di quel bombardamento sono ancora visibili. L’epopea gaetana si concluse il 13 febbraio del 1861; la Piazza in quel giorno infausto cadde ed i cannoni, protagonisti rumorosi dell’assedio ammutirono. Nel Borgo si leggevano i segni dell’impietosa battaglia. Larve di uomini si aggiravano per le case colpite e i luoghi di culto furono declassati a depositi di casermaggio dai vincitori. Il terrore si abbatté sulla nostra comunità. Dio! Che rovine! Gaeta, sotto la gragnuola di 160 mila bombe non si è più risollevata da quel macello.
Eppure, ancora oggi, dopo quei fatti, molti storici si affannano ad affermare che il 13 febbraio del 1861 l’Italia si unificò.
Si trattò di barbara invasione militare, di conquista regia e qualcuno deve pagare per un simile misfatto. Il Sud fu saccheggiato delle sue risorse economiche, sociali, politiche, finanziarie, umane; i Borbone furono esiliati e mai fatti rientrare in patria dai Savoia e, i loro beni requisiti. Fu requisito ai Borbone tutto il patrimonio monetario e perfino l’unico bene immobile in loro possesso dopo 127 anni di Regno: villa Caposele a Formia.
Signor Presidente, Saddham Hussein, per aver attaccato il Kuwait a tradimento, proprio come fece Vittorio Emanuele II di Savoia con il Regno delle Due Sicilie fu punito dall’ONU. Tutte le potenze della Terra si scagliarono contro il dittatore iracheno sommergendo di bombe l’Iraq. La guerra civile nel Regno delle Due Sicilie, durata 12 anni costò la vita a 685.000 meridionali, si ebbero 54 paesi distrutti completamente, villaggi bruciati, campagne svuotate dalla legge Pica, tutto il Sud posto in stato d’assedio. I prigionieri politici furono 500 mila e molti morirono nelle carceri o di fame o perché torturati.
Ebbene, l’annessione dell’Italia della civiltà, quella di Zenone, di Parmenide, di Archimede, di Pitagora, di Campanella, di Vico, operata dalle orde barbariche delle ex province di Roma, secondo alcuni, ha dato vita all’unità del Paese. Dabbenaggine o incultura? L’Italia di Pitagora, quella dei numeri, è stata cancellata dalle menti e dai cuori di certi meridionali felloni. Sulle mura di Gaeta I Borbone difesero l’onore del Sud, difesero la nostra libertà, la nostra dignità, la Religione Cattolica e i gaetani tutti si strinsero attorno alla regina Sofia per difendere il Sacro suolo dall’assalto dei barbari piemontesi. Un Re, Francesco II e la regina Sofia, da eroi, difesero la nostra città dalle bombe savoiarde, combatterono contro l’infamia e la codardìa cavourriana e piemontese..
Fino al 13 febbraio del 1861 Gaeta era padrona del suo territorio sia dentro che fuori le mura. Con la vittoria dei piemontesi e di Casa Savoia sul Regno delle Due Sicilie in una guerra mai dichiarata, Gaeta , in quanto bottino di guerra ha dovuto consegnare il proprio territorio al criminale di guerra Enrico Cialdini e quindi alla monarchia vincitrice che, a sua volta lo ha consegnato alla repubblica italiana con la fuga dell’infingardo Vittorio Emanuele III, detto re pippetto, l’8 settembre del ‘43.
Dopo il 1861 i meridionali, che fino ad allora non conoscevano l’emigrazione, furono costretti ad una diaspora biblica; oltre 25 milioni di persone furono costrette ad abbandonare la propria terra e quando Mussolini chiamò i veri italici, nell’ora del pericolo, alla pugna, questi arrivarono eccome dalle Americhe e sbarcarono ad Anzio, in Sicilia, a Salerno e Sciaboletta fuggì, come si conviene ad un Savoia comportandosi da vero infame.
Il comune di Gaeta è esteso per 2.847 ettari, oggi ridotto a mera espressione geografica dai governi savoiardi. Oltre i due terzi del suo territorio, infatti non è amministrabile da parte dei cittadini e dai propri rappresentanti in Consiglio Comunale della città in quanto sotto la giurisdizione demaniale, sia essa Marittima che delle Finanze. Gaeta, la città che non c’è, dal 14 febbraio del 1861 punita per la sua avversione al sistema liberistico piemontese non è conosciuta sotto questo aspetto nemmeno dai suoi abitanti che camminano sul suolo demaniale e non lo sanno. Il Comune per far utilizzare strade, scuole ed impianti sportivi ai gaetani è costretto a pagare il pizzo allo Stato ed uno Stato che pretende il pizzo è colonialista per non usare un altro termine; vorremmo sapere se il comune di Milano o quello di Torino pagano la tangente per far studiare i loro scolari. Non ci risulta.
Fino dal 1100 d.c. Gaeta era padrona del suo territorio sia dentro che fuori le mura. Dal 1861, con la vittoria della Casa Savoia sul Regno delle Due Sicilie in una guerra mai dichiarata , Gaeta, in quanto bottino di guerra, ha dovuto consegnare il proprio territorio al criminale di guerra e fellone generale Enrico Cialdini e quindi alla monarchia vincitrice che, a sua volta lo ha consegnato alla Repubblica italiana.
LA STORIA IN VENDITA NEL SUD
Per risanare il debito pubblico contratto da Cavour e soci il Piemonte mise in vendita gran parte delle terre demaniali ed ecclesiastiche arricchendo pochi liberali ed affamando milioni di contadini. La stessa operazione si sta compiendo a Gaeta e in molte città del Sud: a Roma è stato messo in vendita Forte Bravetta, luogo sacro della resistenza al nazifascismo ed i luoghi sacri non possono essere venduti. A Gaeta hanno messo in vendita la Chiesa di Sant’Arcangelo con relativo parco comunale posto all’interno di tale complesso e la relativa caserma ex convento requisito al regno delle Due Sicilie da parte dei barbari piemontesi, come è stato posto in vendita il torrione francese e forte Emilio Savio sul Monte di Conca.
Questo Stato infetto da malversazioni e ruberie, da politici pregiudicati e corrotti, amici di esportatori illegali di capitali, compari di coloro che han portato all’estero centinaia di miliardi per sottrarsi al Fisco facendo pagare un prezzo altissimo agli onesti che han dovuto chiudere le loro aziende per le troppe tasse o spremendo operai ed impiegati fino all’ultima lira, per risanare il debito pubblico contratto dai governi per arricchire il Nord padano famelico ed infame ha messo in vendita i gioielli che i Borbone avevano lasciato alla nostra città e ai paesi di tutto il Meridione d’Italia. A Gaeta, a Napoli, a Bari, a Catania, a Palermo, a Taranto, a Caserta, a Ponza, a Ventotene dove han messo in vendita il carcere borbonico, un vero gioiello architettonico, dove Altiero Spinelli ed altri antifascisti firmarono ” il manifesto di Ventotene” che ha dato origine all’idea di Europa unita. In ogni città del Sud vi sono beni storici ed architettonici di valore immenso, un vero tesoro; un patrimonio che rappresenta la materia prima per un turismo non stagionale oltre che un recupero della propria identità storica e sociale dovrebbe essere offerto ai turisti attraverso una loro praticabilità attiva in quanto cornice essenziale per rappresentazioni in costume d’epoca.
Signor Presidente, oggi l’Italia è amministrata da amebe padane ed il patto stretto tra il Sud e questa repubblica il 2 giugno del 1946 si è rotto il 13 maggio del 2001 quando il blocco economico nordista ha ripreso il potere che con la caduta del fascismo era sparito. La colonizzazione del territori dell’ex Regno delle Due Sicilie continua imperterrita regalando alla camorra e a privati beni pubblici di rilevanza storica, lasciando che la catastrofe socio economica si consumi fino in fondo, conservando, comunque, sentimenti patriottici che vedono deperire il territorio all’ombra del tricolore italiano.
VENDITA DELLA NOSTRA STORIA
Oggi il Demanio dello Stato intende vendere pezzi della nostra città ai migliori offerenti, compresa la nostra storia e le nostre tradizioni, comprese le nostre radici che sono tutte lì, in quei bastioni cannoneggiati dai piemontesi, dal Castello Angioino, da quello Aragonese, dai conventi trasformati in caserme, dalle pietre laviche che grondano sangue dalle loro viscere, dalla terra che gronda sudore contadino: l’ex batteria Duca di Genova per 140 milioni; l’ex batteria dello Spirito Santo per per sei milioni; il terreno utilizzato in via della Breccia per 50 milioni; l’ex fabbricato della polveriera della Trinità per 650 milioni; le case matte sugli spalti di Serapo per 180 milioni; la batteria Philipsthall con magazzini per 300 milioni; i Bastioni per 100 milioni; la Platea sulle mura del bastione per 50 milioni:; l’area per maneggio dei cavalli per 25 milioni; l’area sovrastante l’ex Colombaia per 45 milioni; la sede stradale ( anche una strada!) per 18 milioni e pare che sia state posti in vendita gioielli come la Gran Guardia fatta costruire da Ferdinando II di Borbone, le case dei militari di via Annunziata, caserme e infrastrutture una volta militari. La vendita della nostra Storia, dei nostri beni storici e religiosi rappresenta un affronto all’orgoglio del Sud, un’estrapolazione delle nostre radici, un vero atto di colonialismo visto che il Piemonte, causa dei mali del Sud è stato inondato di centinaia di miliardi per riattare i beni demaniali dei Savoia.
MILLE MILIARDI AL PIEMONTE
Signor Presidente,
con l’avvento dei Savoia il Sud fu spogliato di tutte le sue fabbriche, di tutti i suoi beni demaniali ed ecclesiastici, di tutti i soldi depositati nelle banche, di quasi tutti gli arredi delle chiese, tutto fu trasferito nel Nord sabaudo. La storia che ci viene insegnata, impregnata di leggenda e di falsi storici, fa sì che i nostri ragazzi imparino ad osannare chi ha prodotto guasti irreparabili, catastrofi immani, ruberie, guerre atroci, genocidi contro l’umanità e affossi chi invece ha combattuto per la propria patria e per difendere l’onore e la dignità dei Meridionali. I nostri partigiani sono stati infamati col marchio di briganti e i veri briganti e pirati sono incensati agli altari della patria. Questa commistione di falsità ha portato i rappresentanti dei governi a biasimare una falsa storia, una falsa unità italiana e a immacolare i Savoia, i Cavour, i Garibaldi.
Dietro la spinta di codeste falsità alienano i beni storici ed architettonici che i nostri avi hanno creato e costruito mentre riempiono di miliardi il Piemonte.
Questo Stato ha elargito la somma ragguardevole di 605 miliardi di lire per la riattazione e la conservazione dei beni demaniali dei Savoia in Piemonte. l’ex ministro del centro sinistra, signora Melandri ha elargito, Enzo Ghigo del centro destra ha ringraziato. Altri 300 miliardi saranno dati nei prossimi anni. Ecco come sono stati distribuiti: 46 miliardi a La Mandria; 122 miliardi a Venaria; 67 miliardi a Stupinigi; 14 miliardi ad Agliè; a Moncalieri 9 miliardi più altri nove per l’arredo urbano; a Rivoli 2 miliardi; al museo del Risorgimento 15 miliardi; ; al museo egizio 3 miliardi; Alla galleria Sabauda 16 miliardi; 30 miliardi per palazzo Madama; al palazzo reale 10 miliardi; 3 miliardi per l’Armeria reale; 37 miliardi per la villa della Regina; 6 miliardi per il parco del valentino; a Racconigi ben 29 miliardi; ; a Valcasotto 14 miliardi; 3 a Govone; 6 miliardi per il forte delle Fenestrelle trasformato nel 1861 a lager dei soldati napolitani che non vollero tradire il loro giuramento e di cui ne morirono ben 56 mila infoibati e messi nella calce viva. Oltre a svariati miliardi da spendere per la valorizzazione dei beni culturali delle valli olimpiche ed al Forte di Exiles.
Signor Presidente
come definire tanta stoltezza? Come si fa a finanziare alcuni beni culturali solo perché situati in una regione che ha prodotto danni incalcolabili al Sud e vendere i beni demaniali del Meridione d’Italia? questo è solo colonialismo oltre che imbecillità di chi sta governando la cosa pubblica in Italia. Il Sud d’Italia si ribella a questo e chiede l’aiuto della Magistratura nonché quello della Comunità Europea.
Per colpa dei Savoia la nostra amatissima città ha perso lo splendore e la vivacità che da sempre l’avevano contraddistinta come seconda capitale dell’ex Reame e soprattutto ha perso il suo territorio passato prima al Regno d’Italia e poi alla Repubblica italiana. Oggi lo Stato sta svendendo tutti i gioielli che i Borbone ci avevano lasciato in eredità. I beni demaniali per Gaeta dovrebbero rappresentare l’occasione di uno sviluppo storico-turistico; la città è soffocata e non può certo pagare il pizzo per acquisirli alle sue proprietà. Questa Repubblica continuando l’opera dei Savoia, di fatto ci considera colonia di sfruttamento, è dal 1861 che ciò accade. Prima i Savoia e poi questo Stato han messo in vendita tutti i beni ecclesiastici e demaniali dei territori annessi al dominio del Piemonte, impoverendo fino alla fame i nostri abitanti e arricchendo quelli del Nord con un drenaggio fiscale che continua a spennarci mentre il signor primo ministro attualmente in carica fa rientrare dall’estero una massa imponente di soldi sporchi di droga o esportati illegalmente per evadere il fisco facendo pagare una tassa del 2,5% mentre la gente è costretta a chiudere piccole imprese ed attività commerciali perché oberati da tasse e balzelli. Un drenaggio fiscale che dura da 140 anni determina la morte economia di imprese a conduzione familiare e quindi emigrazione e fame. Dal Sud emigrano ogni anno centomila giovani in cerca di lavoro e questo mentre l’agricoltura viene mortificata e sepolta. Questo Stato ha regalato ai siti demaniali piemontesi 605 miliardi e altri 300 arriveranno per dare lustro a castelli e schifezze varie che furono sedi puzzolenti e schifose dei Savoia ritenuti assassini e criminali di guerra da Noi meridionali.
Ma Gaeta aderì al Regno d’Italia?
Signor Presidente, pare proprio di no. L’atto di adesione di Gaeta al Regno d’Italia è una bufala predisposta e preparata dall’allora primo Ministro Camillo Benso di Cavour. Gaeta, formalmente, non ha mai aderito al regno dei barbari e l’atto di adesione del 18 febbraio del 1861 stampato sulla prima gazzetta ufficiale del Regno d’Italia è un falso storico in quanto vi compaiono tutti i nomi dei notabili e dei decurioni che componevano il Consiglio Comunale di allora. In realtà, in quel consiglio comunale furono presenti solo cinque decurioni su venticinque oltre al sindaco i quali firmarono tale atto sotto la pressione delle baionette savoiarde. La legge di allora prevedeva la validità dell’assemblea con la partecipazione di non meno dei due terzi dei decurioni.
L’atto originale di adesione al Regno d’Italia è depositato nell’Archivio storico della nostra città e tutti possono vederlo e consultarlo.
Quell’atto di adesione illegale ha falsato la Storia e il corso degli eventi, soprattutto ha segnato uno smacco per la nostra città.
Gaeta, pur avendo avuto per oltre un millennio una sua moneta, leggi proprie, un suo governo democratico, navigatori come Enrico Tonti e Giovanni Caboto che hanno esportato Democrazia e leggi del Ducato nelle lontane Americhe, una città-Stato che ha avuto un ruolo rivelantissimo e determinante nella battaglia di Lepanto che insieme a quella di Poitiers ha permesso di salvare la Civiltà Occidentale, Cristiana e laica si trova oggi nella grottesca, aberrante, obbrobriosa situazione per cui, in virtù di chissà quale misterioso sortilegio le sue strade, le sue piazze, le sue scuole, la Casa Comunale, i suoi litorali, i suoi castelli, le sue caserme, le sue montagne e quant’altro risultano essere di proprietà dello Stato.
Che significa questo? Semplice Signor Presidente, non avendo aderito formalmente al Regno d’Italia i beni demaniali che Cialdini accorpò al Regno di Sardegna prima al Regno d’Italia successivamente appartengono alla nostra città e tutte le leggi che ne regolano lo Status e che li fanno proprietà dello Stato ( di quale Stato?) dovrebbero essere ridiscusse dal Parlamento di questa repubblica che è nata dalle ceneri di quella barbarie. Il nostro Risorgimento è agli albori, le strade intitolate a quegli assassini, a quei criminali saranno cancellate dalla toponomastica delle città meridionali; ognuno si incensi i propri eroi, noi incenseremo i nostri che si chiamano Passannante, Crocco, Michele Pezza, Ninco Nanco, Guerra, Conte, Palma ecc ecc. che combatterono da eroi contro i piemontesi, contro i Savoia. La nostra Patria è nata il 2 giugno del 1946, è la Repubblica Italiana, quella che artatamente chiamarono regno d’Italia non ci appartiene. I Savoia eredi di quella progenie paghino per le colpe dei padri, paghino i debiti dei loro avi.
Antonio Ciano
Segretario nazionale de “Il Partito del Sud”
Lo Stato godeva di buona salute.
Nella conferenza internazionale di Parigi del 1856 fu assegnato al Regno delle Due Sicilie il premio di terzo paese più industrializzato d’Europa dopo Inghilterra e Francia.
Gaeta ( oggi in provincia di Latina) nel 1860-61 subì un assedio ferocissimo da parte delle truppe piemontesi del generale Enrico Cialdini che, senza dichiarazione di guerra e a tradimento, invase il Regno delle Due Sicilie contro il Diritto Internazionale, oggi come allora vigente. Proprio come fece Saddham Hussein col Kuwait. Oltre mille soldati napoletani furono massacrati dalle bombe dei cannoni rigati del generale macellaio piemontese e centinaia di nostri compaesani perirono sotto i bombardamenti barbari e disumani di coloro che, da soldati divennero assassini. Non si trattò di assedio ma di tiro al bersaglio contro le case, le chiese, le caserme ed i conventi della nostra amata città e i segni di quel bombardamento sono ancora visibili. L’epopea gaetana si concluse il 13 febbraio del 1861; la Piazza in quel giorno infausto cadde ed i cannoni, protagonisti rumorosi dell’assedio ammutirono. Nel Borgo si leggevano i segni dell’impietosa battaglia. Larve di uomini si aggiravano per le case colpite e i luoghi di culto furono declassati a depositi di casermaggio dai vincitori. Il terrore si abbatté sulla nostra comunità. Dio! Che rovine! Gaeta, sotto la gragnuola di 160 mila bombe non si è più risollevata da quel macello.
Eppure, ancora oggi, dopo quei fatti, molti storici si affannano ad affermare che il 13 febbraio del 1861 l’Italia si unificò.
Si trattò di barbara invasione militare, di conquista regia e qualcuno deve pagare per un simile misfatto. Il Sud fu saccheggiato delle sue risorse economiche, sociali, politiche, finanziarie, umane; i Borbone furono esiliati e mai fatti rientrare in patria dai Savoia e, i loro beni requisiti. Fu requisito ai Borbone tutto il patrimonio monetario e perfino l’unico bene immobile in loro possesso dopo 127 anni di Regno: villa Caposele a Formia.
Signor Presidente, Saddham Hussein, per aver attaccato il Kuwait a tradimento, proprio come fece Vittorio Emanuele II di Savoia con il Regno delle Due Sicilie fu punito dall’ONU. Tutte le potenze della Terra si scagliarono contro il dittatore iracheno sommergendo di bombe l’Iraq. La guerra civile nel Regno delle Due Sicilie, durata 12 anni costò la vita a 685.000 meridionali, si ebbero 54 paesi distrutti completamente, villaggi bruciati, campagne svuotate dalla legge Pica, tutto il Sud posto in stato d’assedio. I prigionieri politici furono 500 mila e molti morirono nelle carceri o di fame o perché torturati.
Ebbene, l’annessione dell’Italia della civiltà, quella di Zenone, di Parmenide, di Archimede, di Pitagora, di Campanella, di Vico, operata dalle orde barbariche delle ex province di Roma, secondo alcuni, ha dato vita all’unità del Paese. Dabbenaggine o incultura? L’Italia di Pitagora, quella dei numeri, è stata cancellata dalle menti e dai cuori di certi meridionali felloni. Sulle mura di Gaeta I Borbone difesero l’onore del Sud, difesero la nostra libertà, la nostra dignità, la Religione Cattolica e i gaetani tutti si strinsero attorno alla regina Sofia per difendere il Sacro suolo dall’assalto dei barbari piemontesi. Un Re, Francesco II e la regina Sofia, da eroi, difesero la nostra città dalle bombe savoiarde, combatterono contro l’infamia e la codardìa cavourriana e piemontese..
Fino al 13 febbraio del 1861 Gaeta era padrona del suo territorio sia dentro che fuori le mura. Con la vittoria dei piemontesi e di Casa Savoia sul Regno delle Due Sicilie in una guerra mai dichiarata, Gaeta , in quanto bottino di guerra ha dovuto consegnare il proprio territorio al criminale di guerra Enrico Cialdini e quindi alla monarchia vincitrice che, a sua volta lo ha consegnato alla repubblica italiana con la fuga dell’infingardo Vittorio Emanuele III, detto re pippetto, l’8 settembre del ‘43.
Dopo il 1861 i meridionali, che fino ad allora non conoscevano l’emigrazione, furono costretti ad una diaspora biblica; oltre 25 milioni di persone furono costrette ad abbandonare la propria terra e quando Mussolini chiamò i veri italici, nell’ora del pericolo, alla pugna, questi arrivarono eccome dalle Americhe e sbarcarono ad Anzio, in Sicilia, a Salerno e Sciaboletta fuggì, come si conviene ad un Savoia comportandosi da vero infame.
Il comune di Gaeta è esteso per 2.847 ettari, oggi ridotto a mera espressione geografica dai governi savoiardi. Oltre i due terzi del suo territorio, infatti non è amministrabile da parte dei cittadini e dai propri rappresentanti in Consiglio Comunale della città in quanto sotto la giurisdizione demaniale, sia essa Marittima che delle Finanze. Gaeta, la città che non c’è, dal 14 febbraio del 1861 punita per la sua avversione al sistema liberistico piemontese non è conosciuta sotto questo aspetto nemmeno dai suoi abitanti che camminano sul suolo demaniale e non lo sanno. Il Comune per far utilizzare strade, scuole ed impianti sportivi ai gaetani è costretto a pagare il pizzo allo Stato ed uno Stato che pretende il pizzo è colonialista per non usare un altro termine; vorremmo sapere se il comune di Milano o quello di Torino pagano la tangente per far studiare i loro scolari. Non ci risulta.
Fino dal 1100 d.c. Gaeta era padrona del suo territorio sia dentro che fuori le mura. Dal 1861, con la vittoria della Casa Savoia sul Regno delle Due Sicilie in una guerra mai dichiarata , Gaeta, in quanto bottino di guerra, ha dovuto consegnare il proprio territorio al criminale di guerra e fellone generale Enrico Cialdini e quindi alla monarchia vincitrice che, a sua volta lo ha consegnato alla Repubblica italiana.
LA STORIA IN VENDITA NEL SUD
Per risanare il debito pubblico contratto da Cavour e soci il Piemonte mise in vendita gran parte delle terre demaniali ed ecclesiastiche arricchendo pochi liberali ed affamando milioni di contadini. La stessa operazione si sta compiendo a Gaeta e in molte città del Sud: a Roma è stato messo in vendita Forte Bravetta, luogo sacro della resistenza al nazifascismo ed i luoghi sacri non possono essere venduti. A Gaeta hanno messo in vendita la Chiesa di Sant’Arcangelo con relativo parco comunale posto all’interno di tale complesso e la relativa caserma ex convento requisito al regno delle Due Sicilie da parte dei barbari piemontesi, come è stato posto in vendita il torrione francese e forte Emilio Savio sul Monte di Conca.
Questo Stato infetto da malversazioni e ruberie, da politici pregiudicati e corrotti, amici di esportatori illegali di capitali, compari di coloro che han portato all’estero centinaia di miliardi per sottrarsi al Fisco facendo pagare un prezzo altissimo agli onesti che han dovuto chiudere le loro aziende per le troppe tasse o spremendo operai ed impiegati fino all’ultima lira, per risanare il debito pubblico contratto dai governi per arricchire il Nord padano famelico ed infame ha messo in vendita i gioielli che i Borbone avevano lasciato alla nostra città e ai paesi di tutto il Meridione d’Italia. A Gaeta, a Napoli, a Bari, a Catania, a Palermo, a Taranto, a Caserta, a Ponza, a Ventotene dove han messo in vendita il carcere borbonico, un vero gioiello architettonico, dove Altiero Spinelli ed altri antifascisti firmarono ” il manifesto di Ventotene” che ha dato origine all’idea di Europa unita. In ogni città del Sud vi sono beni storici ed architettonici di valore immenso, un vero tesoro; un patrimonio che rappresenta la materia prima per un turismo non stagionale oltre che un recupero della propria identità storica e sociale dovrebbe essere offerto ai turisti attraverso una loro praticabilità attiva in quanto cornice essenziale per rappresentazioni in costume d’epoca.
Signor Presidente, oggi l’Italia è amministrata da amebe padane ed il patto stretto tra il Sud e questa repubblica il 2 giugno del 1946 si è rotto il 13 maggio del 2001 quando il blocco economico nordista ha ripreso il potere che con la caduta del fascismo era sparito. La colonizzazione del territori dell’ex Regno delle Due Sicilie continua imperterrita regalando alla camorra e a privati beni pubblici di rilevanza storica, lasciando che la catastrofe socio economica si consumi fino in fondo, conservando, comunque, sentimenti patriottici che vedono deperire il territorio all’ombra del tricolore italiano.
VENDITA DELLA NOSTRA STORIA
Oggi il Demanio dello Stato intende vendere pezzi della nostra città ai migliori offerenti, compresa la nostra storia e le nostre tradizioni, comprese le nostre radici che sono tutte lì, in quei bastioni cannoneggiati dai piemontesi, dal Castello Angioino, da quello Aragonese, dai conventi trasformati in caserme, dalle pietre laviche che grondano sangue dalle loro viscere, dalla terra che gronda sudore contadino: l’ex batteria Duca di Genova per 140 milioni; l’ex batteria dello Spirito Santo per per sei milioni; il terreno utilizzato in via della Breccia per 50 milioni; l’ex fabbricato della polveriera della Trinità per 650 milioni; le case matte sugli spalti di Serapo per 180 milioni; la batteria Philipsthall con magazzini per 300 milioni; i Bastioni per 100 milioni; la Platea sulle mura del bastione per 50 milioni:; l’area per maneggio dei cavalli per 25 milioni; l’area sovrastante l’ex Colombaia per 45 milioni; la sede stradale ( anche una strada!) per 18 milioni e pare che sia state posti in vendita gioielli come la Gran Guardia fatta costruire da Ferdinando II di Borbone, le case dei militari di via Annunziata, caserme e infrastrutture una volta militari. La vendita della nostra Storia, dei nostri beni storici e religiosi rappresenta un affronto all’orgoglio del Sud, un’estrapolazione delle nostre radici, un vero atto di colonialismo visto che il Piemonte, causa dei mali del Sud è stato inondato di centinaia di miliardi per riattare i beni demaniali dei Savoia.
MILLE MILIARDI AL PIEMONTE
Signor Presidente,
con l’avvento dei Savoia il Sud fu spogliato di tutte le sue fabbriche, di tutti i suoi beni demaniali ed ecclesiastici, di tutti i soldi depositati nelle banche, di quasi tutti gli arredi delle chiese, tutto fu trasferito nel Nord sabaudo. La storia che ci viene insegnata, impregnata di leggenda e di falsi storici, fa sì che i nostri ragazzi imparino ad osannare chi ha prodotto guasti irreparabili, catastrofi immani, ruberie, guerre atroci, genocidi contro l’umanità e affossi chi invece ha combattuto per la propria patria e per difendere l’onore e la dignità dei Meridionali. I nostri partigiani sono stati infamati col marchio di briganti e i veri briganti e pirati sono incensati agli altari della patria. Questa commistione di falsità ha portato i rappresentanti dei governi a biasimare una falsa storia, una falsa unità italiana e a immacolare i Savoia, i Cavour, i Garibaldi.
Dietro la spinta di codeste falsità alienano i beni storici ed architettonici che i nostri avi hanno creato e costruito mentre riempiono di miliardi il Piemonte.
Questo Stato ha elargito la somma ragguardevole di 605 miliardi di lire per la riattazione e la conservazione dei beni demaniali dei Savoia in Piemonte. l’ex ministro del centro sinistra, signora Melandri ha elargito, Enzo Ghigo del centro destra ha ringraziato. Altri 300 miliardi saranno dati nei prossimi anni. Ecco come sono stati distribuiti: 46 miliardi a La Mandria; 122 miliardi a Venaria; 67 miliardi a Stupinigi; 14 miliardi ad Agliè; a Moncalieri 9 miliardi più altri nove per l’arredo urbano; a Rivoli 2 miliardi; al museo del Risorgimento 15 miliardi; ; al museo egizio 3 miliardi; Alla galleria Sabauda 16 miliardi; 30 miliardi per palazzo Madama; al palazzo reale 10 miliardi; 3 miliardi per l’Armeria reale; 37 miliardi per la villa della Regina; 6 miliardi per il parco del valentino; a Racconigi ben 29 miliardi; ; a Valcasotto 14 miliardi; 3 a Govone; 6 miliardi per il forte delle Fenestrelle trasformato nel 1861 a lager dei soldati napolitani che non vollero tradire il loro giuramento e di cui ne morirono ben 56 mila infoibati e messi nella calce viva. Oltre a svariati miliardi da spendere per la valorizzazione dei beni culturali delle valli olimpiche ed al Forte di Exiles.
Signor Presidente
come definire tanta stoltezza? Come si fa a finanziare alcuni beni culturali solo perché situati in una regione che ha prodotto danni incalcolabili al Sud e vendere i beni demaniali del Meridione d’Italia? questo è solo colonialismo oltre che imbecillità di chi sta governando la cosa pubblica in Italia. Il Sud d’Italia si ribella a questo e chiede l’aiuto della Magistratura nonché quello della Comunità Europea.
Per colpa dei Savoia la nostra amatissima città ha perso lo splendore e la vivacità che da sempre l’avevano contraddistinta come seconda capitale dell’ex Reame e soprattutto ha perso il suo territorio passato prima al Regno d’Italia e poi alla Repubblica italiana. Oggi lo Stato sta svendendo tutti i gioielli che i Borbone ci avevano lasciato in eredità. I beni demaniali per Gaeta dovrebbero rappresentare l’occasione di uno sviluppo storico-turistico; la città è soffocata e non può certo pagare il pizzo per acquisirli alle sue proprietà. Questa Repubblica continuando l’opera dei Savoia, di fatto ci considera colonia di sfruttamento, è dal 1861 che ciò accade. Prima i Savoia e poi questo Stato han messo in vendita tutti i beni ecclesiastici e demaniali dei territori annessi al dominio del Piemonte, impoverendo fino alla fame i nostri abitanti e arricchendo quelli del Nord con un drenaggio fiscale che continua a spennarci mentre il signor primo ministro attualmente in carica fa rientrare dall’estero una massa imponente di soldi sporchi di droga o esportati illegalmente per evadere il fisco facendo pagare una tassa del 2,5% mentre la gente è costretta a chiudere piccole imprese ed attività commerciali perché oberati da tasse e balzelli. Un drenaggio fiscale che dura da 140 anni determina la morte economia di imprese a conduzione familiare e quindi emigrazione e fame. Dal Sud emigrano ogni anno centomila giovani in cerca di lavoro e questo mentre l’agricoltura viene mortificata e sepolta. Questo Stato ha regalato ai siti demaniali piemontesi 605 miliardi e altri 300 arriveranno per dare lustro a castelli e schifezze varie che furono sedi puzzolenti e schifose dei Savoia ritenuti assassini e criminali di guerra da Noi meridionali.
Ma Gaeta aderì al Regno d’Italia?
Signor Presidente, pare proprio di no. L’atto di adesione di Gaeta al Regno d’Italia è una bufala predisposta e preparata dall’allora primo Ministro Camillo Benso di Cavour. Gaeta, formalmente, non ha mai aderito al regno dei barbari e l’atto di adesione del 18 febbraio del 1861 stampato sulla prima gazzetta ufficiale del Regno d’Italia è un falso storico in quanto vi compaiono tutti i nomi dei notabili e dei decurioni che componevano il Consiglio Comunale di allora. In realtà, in quel consiglio comunale furono presenti solo cinque decurioni su venticinque oltre al sindaco i quali firmarono tale atto sotto la pressione delle baionette savoiarde. La legge di allora prevedeva la validità dell’assemblea con la partecipazione di non meno dei due terzi dei decurioni.
L’atto originale di adesione al Regno d’Italia è depositato nell’Archivio storico della nostra città e tutti possono vederlo e consultarlo.
Quell’atto di adesione illegale ha falsato la Storia e il corso degli eventi, soprattutto ha segnato uno smacco per la nostra città.
Gaeta, pur avendo avuto per oltre un millennio una sua moneta, leggi proprie, un suo governo democratico, navigatori come Enrico Tonti e Giovanni Caboto che hanno esportato Democrazia e leggi del Ducato nelle lontane Americhe, una città-Stato che ha avuto un ruolo rivelantissimo e determinante nella battaglia di Lepanto che insieme a quella di Poitiers ha permesso di salvare la Civiltà Occidentale, Cristiana e laica si trova oggi nella grottesca, aberrante, obbrobriosa situazione per cui, in virtù di chissà quale misterioso sortilegio le sue strade, le sue piazze, le sue scuole, la Casa Comunale, i suoi litorali, i suoi castelli, le sue caserme, le sue montagne e quant’altro risultano essere di proprietà dello Stato.
Che significa questo? Semplice Signor Presidente, non avendo aderito formalmente al Regno d’Italia i beni demaniali che Cialdini accorpò al Regno di Sardegna prima al Regno d’Italia successivamente appartengono alla nostra città e tutte le leggi che ne regolano lo Status e che li fanno proprietà dello Stato ( di quale Stato?) dovrebbero essere ridiscusse dal Parlamento di questa repubblica che è nata dalle ceneri di quella barbarie. Il nostro Risorgimento è agli albori, le strade intitolate a quegli assassini, a quei criminali saranno cancellate dalla toponomastica delle città meridionali; ognuno si incensi i propri eroi, noi incenseremo i nostri che si chiamano Passannante, Crocco, Michele Pezza, Ninco Nanco, Guerra, Conte, Palma ecc ecc. che combatterono da eroi contro i piemontesi, contro i Savoia. La nostra Patria è nata il 2 giugno del 1946, è la Repubblica Italiana, quella che artatamente chiamarono regno d’Italia non ci appartiene. I Savoia eredi di quella progenie paghino per le colpe dei padri, paghino i debiti dei loro avi.
Antonio Ciano
Segretario nazionale de “Il Partito del Sud”
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