Di Bruno Gravagnuolo
Paese sfaldato, che affonda da tempo. Ma dove a un certo punto tutte le patologie di sempre fanno massa ed esplodono, magari con la violenza di branco». Diagnosi cupa sull’Italia di oggi quella di Gian Enrico Rusconi, germanista, storico e politologo, da sempre attento al fattore identitario. Da Berlino, dove è di casa e di studio, ci comunica intanto la percezione «esterna» di un’Italia che implode. Priva di classe politica e in preda a una sorta di ingovernabilità molecolare: dei sentimenti, del costume, delle relazioni sociali. Un male che s’aggrava con la crisi economica globale e con i flussi migratori. Sotto la cui pressione rischiamo per Rusconi di restare stritolati.
Professor Rusconi, dagli stupri di gruppo alle violenze sugli immigrati e alle rivolte dei disperati, assistiamo in Italia a un imbarbarimento del costume e a un deficit capillare di «autocontrollo» sociale. Tutto ciò che impressione le fa visto dalla Germania?
«In Germania rispetto all’Italia la situazione pare relativamente tranquilla. E c’è un’emergenza italiana in questo momento. La parola chiave resta “imbarbarimento”, solo che non bisogna stupirsi troppo. Certi fenomeni da noi sono antichi. E sarebbe ora di smetterla con la retorica di una società civile buona, contrapposta alla politica o ad agenti alieni perversi. Si svela qui la profonda corruzione della società civile e la caduta di ogni velo ipocrita: gli italiani non sono buoni e generosi. Né sono meglio di altri popoli. Emergono etnocentrismo e xenofobia come altrove, ma con l’aggravante di un ritardo maggiore su questi temi: istituzionale, culturale e politico. E il ritardo è di tutti, da destra a sinistra. E anche la Chiesa non lo percepisce fino in fondo».
Spesso la Chiesa fa da argine contro il razzismo e la Lega...
«Spesso agisce da presidio. Ma dà l’impressione di non capire nel profondo certi sintomi, di non raggiungere davvero le coscienze, malgrado la sua pretesa di incarnare l’etica pubblica. Il punto è la reale incidenza antropologica della Chiesa. In un contesto degradato non solo dagli illegalismi tollerati e diffusi, ma compromesso dalla volgarità del linguaggio, a cominciare da quello dei media. Nonché dall’ottimismo di maniera legato al berlusconismo».
Lei mette l’accento sullo sfaldamento civile e sulla mancanza di Auctoritas condivisa?
«Sì, la nostra è una società decaduta e non esiste alcuna Auctoritas in grado di farvi fronte».
Eppure nel quadro di ottimismo ipocrita, si leva forte l’appello a legge e ordine e a esecutivi decisionisti, o no?
«La disgregazione genera sempre il desiderio di capi carismatici, che è l’altra faccia dell’insicurezza. Ma è un mulinare a vuoto, destinato a cadere nel nulla. Nel nulla della volgarità imperante del linguaggio televisivo, o di quello politico, spesso da avanspettacolo».
Nulla del linguaggio e linguaggio del nulla. Sa che i ragazzi di Nettuno hanno detto di aver bruciato l’indiano per gioco e non per razzismo?
«Patologia ben nota, da nichilismo di periferia, senza dover risalire a esempi culturali più illustri. Ovvio che il nulla venga riempito con gesti gratuiti e distruttivi, per dotarsi di un’esistenza. È il trionfo dell’“anomia”, che in sociologia da Durckheim in poi significa atrofia dei legami e dissoluzione dell’individuo. Con contraccolpi reattivi di violenza gratuita, magari sul più debole. Ma tutto questo è il disvelamento di qualcosa di antico che adesso esplode. È l’espressione di un disfacimento da paese declassato, senza politiche e senza grande politica».
Giuseppe de Rita parla dell’ascesa del branco come unità identitaria per spiegare la violenza. Categoria troppo «micro»?
«De Rita ha fiuto, e il branco allude anche a qualcosa di più generale: lobby, corporazioni, comitati d’affari, etnie. Alla fine torniamo sempre lì. Alla società civile italiana liquefatta e inselvatichita. Non esiste, e da tempo, alcuna forza morale capace di tenere insieme un paese che non c’è più».
Gioca un ruolo la nascita di partiti gassosi, trasversali e privi di nuclei emotivi e simbolici condivisi?
«Certo che sì, ma si tratta di una causa o di un sintomo?»
Un circolo vizioso?
«Appunto».
Fonte: L'Unità 03 febbraio 2009
Paese sfaldato, che affonda da tempo. Ma dove a un certo punto tutte le patologie di sempre fanno massa ed esplodono, magari con la violenza di branco». Diagnosi cupa sull’Italia di oggi quella di Gian Enrico Rusconi, germanista, storico e politologo, da sempre attento al fattore identitario. Da Berlino, dove è di casa e di studio, ci comunica intanto la percezione «esterna» di un’Italia che implode. Priva di classe politica e in preda a una sorta di ingovernabilità molecolare: dei sentimenti, del costume, delle relazioni sociali. Un male che s’aggrava con la crisi economica globale e con i flussi migratori. Sotto la cui pressione rischiamo per Rusconi di restare stritolati.
Professor Rusconi, dagli stupri di gruppo alle violenze sugli immigrati e alle rivolte dei disperati, assistiamo in Italia a un imbarbarimento del costume e a un deficit capillare di «autocontrollo» sociale. Tutto ciò che impressione le fa visto dalla Germania?
«In Germania rispetto all’Italia la situazione pare relativamente tranquilla. E c’è un’emergenza italiana in questo momento. La parola chiave resta “imbarbarimento”, solo che non bisogna stupirsi troppo. Certi fenomeni da noi sono antichi. E sarebbe ora di smetterla con la retorica di una società civile buona, contrapposta alla politica o ad agenti alieni perversi. Si svela qui la profonda corruzione della società civile e la caduta di ogni velo ipocrita: gli italiani non sono buoni e generosi. Né sono meglio di altri popoli. Emergono etnocentrismo e xenofobia come altrove, ma con l’aggravante di un ritardo maggiore su questi temi: istituzionale, culturale e politico. E il ritardo è di tutti, da destra a sinistra. E anche la Chiesa non lo percepisce fino in fondo».
Spesso la Chiesa fa da argine contro il razzismo e la Lega...
«Spesso agisce da presidio. Ma dà l’impressione di non capire nel profondo certi sintomi, di non raggiungere davvero le coscienze, malgrado la sua pretesa di incarnare l’etica pubblica. Il punto è la reale incidenza antropologica della Chiesa. In un contesto degradato non solo dagli illegalismi tollerati e diffusi, ma compromesso dalla volgarità del linguaggio, a cominciare da quello dei media. Nonché dall’ottimismo di maniera legato al berlusconismo».
Lei mette l’accento sullo sfaldamento civile e sulla mancanza di Auctoritas condivisa?
«Sì, la nostra è una società decaduta e non esiste alcuna Auctoritas in grado di farvi fronte».
Eppure nel quadro di ottimismo ipocrita, si leva forte l’appello a legge e ordine e a esecutivi decisionisti, o no?
«La disgregazione genera sempre il desiderio di capi carismatici, che è l’altra faccia dell’insicurezza. Ma è un mulinare a vuoto, destinato a cadere nel nulla. Nel nulla della volgarità imperante del linguaggio televisivo, o di quello politico, spesso da avanspettacolo».
Nulla del linguaggio e linguaggio del nulla. Sa che i ragazzi di Nettuno hanno detto di aver bruciato l’indiano per gioco e non per razzismo?
«Patologia ben nota, da nichilismo di periferia, senza dover risalire a esempi culturali più illustri. Ovvio che il nulla venga riempito con gesti gratuiti e distruttivi, per dotarsi di un’esistenza. È il trionfo dell’“anomia”, che in sociologia da Durckheim in poi significa atrofia dei legami e dissoluzione dell’individuo. Con contraccolpi reattivi di violenza gratuita, magari sul più debole. Ma tutto questo è il disvelamento di qualcosa di antico che adesso esplode. È l’espressione di un disfacimento da paese declassato, senza politiche e senza grande politica».
Giuseppe de Rita parla dell’ascesa del branco come unità identitaria per spiegare la violenza. Categoria troppo «micro»?
«De Rita ha fiuto, e il branco allude anche a qualcosa di più generale: lobby, corporazioni, comitati d’affari, etnie. Alla fine torniamo sempre lì. Alla società civile italiana liquefatta e inselvatichita. Non esiste, e da tempo, alcuna forza morale capace di tenere insieme un paese che non c’è più».
Gioca un ruolo la nascita di partiti gassosi, trasversali e privi di nuclei emotivi e simbolici condivisi?
«Certo che sì, ma si tratta di una causa o di un sintomo?»
Un circolo vizioso?
«Appunto».
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