sabato 28 febbraio 2009

Governo: centrali nucleari per uno sviluppo sostenibile. Riusciranno a vendere anche questa bufala come verità?


Le verità sul nucleare e la propaganda del governo alla vigilia del G8 ambiente

Di Paola Calì

E’ di questi giorni la notizia di un partenariato italo-francese, un accordo di cooperazione definito dall’ Eliseo come accordo “politico”, sulla questione dell’energia nucleare, accompagnato da due memorandum of understanding tra le due compagnie energetiche Enel ed Edf.


L'intesa dovrebbe aprire la strada alla costruzione, in Italia, di almeno quattro centrali nucleari di terza generazione Epr (European pressurised reactors) entro dieci anni, con la previsione, a dir poco ottimistica, di ricavare dal nucleare circa il 25% del fabbisogno energetico italiano.


Motivi addotti: la costante crisi energetica, l’insufficienza ed il progressivo esaurimento delle risorse energetiche “tradizionali” non rinnovabili, i combustibili fossili (ma ricordiamo che anche l’uranio è una fonte non rinnovabile ed in via di esaurimento), e la conseguente dipendenza del nostro e di molti altri paesi mondiali dai paesi fornitori.


Un passo indietro di 22 anni per l’Italia.

Con un referendum abrogativo, nel 1987, gli italiani si erano già espressi in materia. Venne detto ‘No al nucleare’, avendo ritenuto troppo alto il rischio di incidenti e considerando l’irrisolto problema dello smaltimento delle scorie radioattive. Quella posizione democraticamente espressa è ritenuta, oggi, dal Presidente del Consiglio becero “ecologismo ideologico di una parte politica, sull’onda emotiva post Chernobyl”. Ma si sa: il Presidente del Consiglio ha un’idea molto personale della Democrazia nel nostro Paese, se firma un trattato di cooperazione su un tema così delicato bypassando non solo la volontà popolare, ma anche il ruolo del Parlamento che sta ancora discutendo in Senato il disegno di legge dell'Esecutivo che darebbe il via libera all'operazione.

Senza voler quindi addurre risposte meramente ecologiche (o ideologiche, direbbe LUI), all’eccezione sulla messa in sicurezza delle “nuove centrali” e sull’utilità del provvedimento, proveremo a rispondere senza tecnicismi.


E' ovvio che la Francia, che possiede numerose centrali (molto antiche) ed è il principale produttore europeo di energia nucleare, ha tutto l'interesse a rimanere protagonista di questo settore, anche attraverso partenariati di questo tipo.

Riproporre oggi, invece, l’idea del nucleare in Italia, praticamente ex novo, come soluzione ai bisogni di energia del Paese e ai problemi ad essa collegati, è un atto di pura propaganda.

Il nucleare è, infatti, costosissimo sia dal punto di vista economico che sociale e, checché se ne dica, continua ad essere pericoloso sia sotto il profilo della radioattività che della proliferazione.

Non serve per contrastare la recessione, visto che gli enormi investimenti necessari a costruire nuove centrali diventerebbero produttivi non prima di 5 o dieci anni.


Le prime centrali di terza generazione entrerebbero in funzione, ottimisticamente, nel 2020 (qualche decennio prima, quindi, dell’esaurimento dell’uranio sul nostro pianeta, come paventato dalla comunità scientifica internazionale); gli esorbitanti costi in fase di realizzazione e di produzione, sarebbero, quindi, a stento ammortizzati, senza reale convenienza per il Paese.

Non serve a ridurre i consumi di combustibili fossili, dato che, soprattutto il petrolio è oggi usato di gran lunga più per usi civili e nei trasporti, che per la produzione di energia.

Non serve nemmeno per combattere il surriscaldamento del globo, obiettivo principale di tutti i Paesi che hanno sottoscritto il protocollo di Kyoto; per questo scopo, bisognerebbe infatti puntare su soluzioni applicabili velocemente e con costi meno esosi per il Paese: fonti pulite e rinnovabili (a cominciare dal solare), efficienza energetica, etc.


In questo solco propagandistico, si inserisce la politica energetica del Governo Berlusconi, sin da subito in progressivo arretramento anche rispetto ai provvedimenti, non esaustivi di certo, del Governo Prodi. Una politica che, immobilizzando per una decina di anni almeno i milioni di euro che certamente verranno sottratti all’efficienza energetica ed alle fonti rinnovabili, indebolisce, di fatto, l’impegno italiano sulla ricerca di strategie energetiche davvero alternative alle fonti fossili e punta tutto sugli inceneritori – produttori di diossina (eufemisticamente chiamati termovalorizzatori) e oggi, persino sull’inutile, costoso, limitato nel tempo e rischioso Nucleare.


Senza voler creare allarmismi, anche dal punto di vista della sicurezza, le centrali Epr di terza generazione, hanno sì un’incidenza probabilistica minore di disastri e fuoriuscite, perché dotate di maggiori misure di sicurezza e in grado di produrre meno scorie, ma, come si evince da uno studio approfondito del quotidiano britannico Independent, che cita alcuni documenti di natura industriale che provengono anche dalla azienda francese Edf, la stessa che ha appena sottoscritto un accordo con Enel, “nel caso avvenga una fuoriuscita di radiazioni, questa sarebbe più consistente e pericolosa che non in passato.”

Tra i documenti esaminati, "ce n'è uno secondo cui le perdite umane stimate potrebbero essere addirittura doppie".


Tutto ciò accade a pochi mesi dal G8 ambiente che sarà ospitato dall’Italia, dalla Sicilia, da Siracusa. Un summit fortemente voluto dalla Ministra Prestigiacomo, imprenditrice siracusana, che alla presentazione del vertice internazionale ha dichiarato: “Fra pochi mesi la Sicilia avrà l’occasione e l’opportunità di essere il centro del dibattito mondiale sui temi dello sviluppo sostenibile. Le nuove tecnologie per le fonti alternative e per il risparmio energetico saranno infatti uno dei temi che si discuteranno nel G8 ambiente che si svolgerà a Siracusa a fine aprile e che vedrà riuniti i ministri dell’ambiente degli 8 paesi più industrializzati ma anche quelli di Paesi come India, Cina, Brasile, Messico, Sud Africa, Australia, Indonesia, Corea del Sud che saranno co-protagonisti dello sviluppo di domani”.


Peccato che la Ministra Prestigiacomo parla di una "scelta forte del governo per le energie rinnovabili" e poi, tra nucleare e incentivi agli inceneritori, le mette all’angolo.


Fonte:
Lavoro e Salute
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Le verità sul nucleare e la propaganda del governo alla vigilia del G8 ambiente

Di Paola Calì

E’ di questi giorni la notizia di un partenariato italo-francese, un accordo di cooperazione definito dall’ Eliseo come accordo “politico”, sulla questione dell’energia nucleare, accompagnato da due memorandum of understanding tra le due compagnie energetiche Enel ed Edf.


L'intesa dovrebbe aprire la strada alla costruzione, in Italia, di almeno quattro centrali nucleari di terza generazione Epr (European pressurised reactors) entro dieci anni, con la previsione, a dir poco ottimistica, di ricavare dal nucleare circa il 25% del fabbisogno energetico italiano.


Motivi addotti: la costante crisi energetica, l’insufficienza ed il progressivo esaurimento delle risorse energetiche “tradizionali” non rinnovabili, i combustibili fossili (ma ricordiamo che anche l’uranio è una fonte non rinnovabile ed in via di esaurimento), e la conseguente dipendenza del nostro e di molti altri paesi mondiali dai paesi fornitori.


Un passo indietro di 22 anni per l’Italia.

Con un referendum abrogativo, nel 1987, gli italiani si erano già espressi in materia. Venne detto ‘No al nucleare’, avendo ritenuto troppo alto il rischio di incidenti e considerando l’irrisolto problema dello smaltimento delle scorie radioattive. Quella posizione democraticamente espressa è ritenuta, oggi, dal Presidente del Consiglio becero “ecologismo ideologico di una parte politica, sull’onda emotiva post Chernobyl”. Ma si sa: il Presidente del Consiglio ha un’idea molto personale della Democrazia nel nostro Paese, se firma un trattato di cooperazione su un tema così delicato bypassando non solo la volontà popolare, ma anche il ruolo del Parlamento che sta ancora discutendo in Senato il disegno di legge dell'Esecutivo che darebbe il via libera all'operazione.

Senza voler quindi addurre risposte meramente ecologiche (o ideologiche, direbbe LUI), all’eccezione sulla messa in sicurezza delle “nuove centrali” e sull’utilità del provvedimento, proveremo a rispondere senza tecnicismi.


E' ovvio che la Francia, che possiede numerose centrali (molto antiche) ed è il principale produttore europeo di energia nucleare, ha tutto l'interesse a rimanere protagonista di questo settore, anche attraverso partenariati di questo tipo.

Riproporre oggi, invece, l’idea del nucleare in Italia, praticamente ex novo, come soluzione ai bisogni di energia del Paese e ai problemi ad essa collegati, è un atto di pura propaganda.

Il nucleare è, infatti, costosissimo sia dal punto di vista economico che sociale e, checché se ne dica, continua ad essere pericoloso sia sotto il profilo della radioattività che della proliferazione.

Non serve per contrastare la recessione, visto che gli enormi investimenti necessari a costruire nuove centrali diventerebbero produttivi non prima di 5 o dieci anni.


Le prime centrali di terza generazione entrerebbero in funzione, ottimisticamente, nel 2020 (qualche decennio prima, quindi, dell’esaurimento dell’uranio sul nostro pianeta, come paventato dalla comunità scientifica internazionale); gli esorbitanti costi in fase di realizzazione e di produzione, sarebbero, quindi, a stento ammortizzati, senza reale convenienza per il Paese.

Non serve a ridurre i consumi di combustibili fossili, dato che, soprattutto il petrolio è oggi usato di gran lunga più per usi civili e nei trasporti, che per la produzione di energia.

Non serve nemmeno per combattere il surriscaldamento del globo, obiettivo principale di tutti i Paesi che hanno sottoscritto il protocollo di Kyoto; per questo scopo, bisognerebbe infatti puntare su soluzioni applicabili velocemente e con costi meno esosi per il Paese: fonti pulite e rinnovabili (a cominciare dal solare), efficienza energetica, etc.


In questo solco propagandistico, si inserisce la politica energetica del Governo Berlusconi, sin da subito in progressivo arretramento anche rispetto ai provvedimenti, non esaustivi di certo, del Governo Prodi. Una politica che, immobilizzando per una decina di anni almeno i milioni di euro che certamente verranno sottratti all’efficienza energetica ed alle fonti rinnovabili, indebolisce, di fatto, l’impegno italiano sulla ricerca di strategie energetiche davvero alternative alle fonti fossili e punta tutto sugli inceneritori – produttori di diossina (eufemisticamente chiamati termovalorizzatori) e oggi, persino sull’inutile, costoso, limitato nel tempo e rischioso Nucleare.


Senza voler creare allarmismi, anche dal punto di vista della sicurezza, le centrali Epr di terza generazione, hanno sì un’incidenza probabilistica minore di disastri e fuoriuscite, perché dotate di maggiori misure di sicurezza e in grado di produrre meno scorie, ma, come si evince da uno studio approfondito del quotidiano britannico Independent, che cita alcuni documenti di natura industriale che provengono anche dalla azienda francese Edf, la stessa che ha appena sottoscritto un accordo con Enel, “nel caso avvenga una fuoriuscita di radiazioni, questa sarebbe più consistente e pericolosa che non in passato.”

Tra i documenti esaminati, "ce n'è uno secondo cui le perdite umane stimate potrebbero essere addirittura doppie".


Tutto ciò accade a pochi mesi dal G8 ambiente che sarà ospitato dall’Italia, dalla Sicilia, da Siracusa. Un summit fortemente voluto dalla Ministra Prestigiacomo, imprenditrice siracusana, che alla presentazione del vertice internazionale ha dichiarato: “Fra pochi mesi la Sicilia avrà l’occasione e l’opportunità di essere il centro del dibattito mondiale sui temi dello sviluppo sostenibile. Le nuove tecnologie per le fonti alternative e per il risparmio energetico saranno infatti uno dei temi che si discuteranno nel G8 ambiente che si svolgerà a Siracusa a fine aprile e che vedrà riuniti i ministri dell’ambiente degli 8 paesi più industrializzati ma anche quelli di Paesi come India, Cina, Brasile, Messico, Sud Africa, Australia, Indonesia, Corea del Sud che saranno co-protagonisti dello sviluppo di domani”.


Peccato che la Ministra Prestigiacomo parla di una "scelta forte del governo per le energie rinnovabili" e poi, tra nucleare e incentivi agli inceneritori, le mette all’angolo.


Fonte:
Lavoro e Salute

THE GENTLEMAN - Migliora sempre di più l'immagine dell'Italia all'estero........









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Padova, ronde scortate dalla polizia


PADOVA — Ormai tutto fa ronda. Ogni occasione è buona per improvvisarsi guardiani del territorio, in nome della sicurezza. Ieri sera, a Padova, i gruppi organizzati scesi per le strade del capoluogo, a presidio delle cosiddette zone calde (leggi spaccio, degrado, clandestini molesti), erano addirittura quattro, dislocati in tre aree della città. In prima linea, i cittadini leghisti di Veneto sicuro — precursori del «genere», con le ronde padane — alla stazione ferroviaria; poi, gli extracomunitari per la legalità (guidati da un giornalista di colore di Retenova), sostenuti, a quanto pare, da An, nel quartiere caldo della Stanga.

Là dove il sindaco Flavio Zanonato fece erigere il muro anti-spaccio. Anche a Padova, come altrove, i neri rondisti sono un fenomeno emergente, che fa notizia. Nelle vicinanze della Stanga, infine, vigilava il Comitato di cittadini di via del Pescarotto. Risultato? Per badare ai rondisti, sono stati allertati agenti e carabinieri. «Che avrebbero potuto essere utilizzati meglio altrove—sibila Zanonato —. Stiamo sfiorando il ridicolo: siamo alle guardie dei guardiani». Sostanzialmente, sulla stessa linea è il questore, Luigi Savina. Dice: «In verità, qui si tratta di manifestazioni autorizzate. Le ronde prospettate dal ministro dell’Interno, Maroni, sono di là da venire. Invece, troviamo persone che si muovono in alcuni punti della città, munite di pettorina gialla, dicendo di voler fare sorveglianza civica. Preavvisato, ho dato il benestare. Non posso permettermi, però, di non tenerle d’occhio. Le provocazioni sono dietro l’angolo». Com’è successo, ieri sera, dopo l’esordio in sordina. Alla stazione, dove c’erano più cronisti che rondisti (meno di dieci), a un certo punto hanno fatto capolino gli autonomi del Centro sociale Pedro, guidati da Max Gallob. Risultato? Sono volati schiaffi e pugni, ma i tafferugli sono stati sedati sul nascere, con il pronto intervento dei celerini.

«È chiaro—spiega il questore — che la politica c’entra, e subito c’è chi coglie la palla al balzo. «Per inciso — continua — nei giorni scorsi, un gruppetto che fa capo a Rifondazione comunista ha messo su, a mo’ di sberleffo, non le ronde bensì le "rondinelle"». La sicurezza, allora, è un pretesto? A Padova, come in altre città, il problema esiste ed è sentito. «Ma — nota il sindaco,—vedo più speculazione politica che altro. Per quanto mi riguarda, attendo che il decreto Maroni diventi legge. Poi, mi regolerò di conseguenza, secondo le indicazioni chiare e certe. Le ronde, posso assicurarlo, saranno apartitiche». Il questore Savina ci dà un dato, piuttosto confortante: «Padova ha chiuso il 2008 con il 20 per cento in meno di reati rispetto all’anno precedente ». «Tuttavia—precisa subito —, la sicurezza percepita è un’altra cosa».

Marisa Fumagalli
28 febbraio 2009

Fonte:
Corriere della Sera
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PADOVA — Ormai tutto fa ronda. Ogni occasione è buona per improvvisarsi guardiani del territorio, in nome della sicurezza. Ieri sera, a Padova, i gruppi organizzati scesi per le strade del capoluogo, a presidio delle cosiddette zone calde (leggi spaccio, degrado, clandestini molesti), erano addirittura quattro, dislocati in tre aree della città. In prima linea, i cittadini leghisti di Veneto sicuro — precursori del «genere», con le ronde padane — alla stazione ferroviaria; poi, gli extracomunitari per la legalità (guidati da un giornalista di colore di Retenova), sostenuti, a quanto pare, da An, nel quartiere caldo della Stanga.

Là dove il sindaco Flavio Zanonato fece erigere il muro anti-spaccio. Anche a Padova, come altrove, i neri rondisti sono un fenomeno emergente, che fa notizia. Nelle vicinanze della Stanga, infine, vigilava il Comitato di cittadini di via del Pescarotto. Risultato? Per badare ai rondisti, sono stati allertati agenti e carabinieri. «Che avrebbero potuto essere utilizzati meglio altrove—sibila Zanonato —. Stiamo sfiorando il ridicolo: siamo alle guardie dei guardiani». Sostanzialmente, sulla stessa linea è il questore, Luigi Savina. Dice: «In verità, qui si tratta di manifestazioni autorizzate. Le ronde prospettate dal ministro dell’Interno, Maroni, sono di là da venire. Invece, troviamo persone che si muovono in alcuni punti della città, munite di pettorina gialla, dicendo di voler fare sorveglianza civica. Preavvisato, ho dato il benestare. Non posso permettermi, però, di non tenerle d’occhio. Le provocazioni sono dietro l’angolo». Com’è successo, ieri sera, dopo l’esordio in sordina. Alla stazione, dove c’erano più cronisti che rondisti (meno di dieci), a un certo punto hanno fatto capolino gli autonomi del Centro sociale Pedro, guidati da Max Gallob. Risultato? Sono volati schiaffi e pugni, ma i tafferugli sono stati sedati sul nascere, con il pronto intervento dei celerini.

«È chiaro—spiega il questore — che la politica c’entra, e subito c’è chi coglie la palla al balzo. «Per inciso — continua — nei giorni scorsi, un gruppetto che fa capo a Rifondazione comunista ha messo su, a mo’ di sberleffo, non le ronde bensì le "rondinelle"». La sicurezza, allora, è un pretesto? A Padova, come in altre città, il problema esiste ed è sentito. «Ma — nota il sindaco,—vedo più speculazione politica che altro. Per quanto mi riguarda, attendo che il decreto Maroni diventi legge. Poi, mi regolerò di conseguenza, secondo le indicazioni chiare e certe. Le ronde, posso assicurarlo, saranno apartitiche». Il questore Savina ci dà un dato, piuttosto confortante: «Padova ha chiuso il 2008 con il 20 per cento in meno di reati rispetto all’anno precedente ». «Tuttavia—precisa subito —, la sicurezza percepita è un’altra cosa».

Marisa Fumagalli
28 febbraio 2009

Fonte:
Corriere della Sera

NAPOLI. IMBOSCATA A NIKI VENDOLA


Abbiamo intervistato per voi
il presidente della Puglia
oggi al teatro Mediterraneo


Di Gino Giammarino


In un gremitissimo teatro Mediterraneo della Mostra d'Oltremare di Napoli Niki Vendola, presidente della Regione Puglia ed esponente di spicco della Sinistra, ha incontrato i propri sostenitori. Dopo una serie di testimonial del territorio, una maestra immancabilmente precaria ed emigrata al Nord, una docente universitaria con contratto a termine (annuale) ed un operaio della FIAT di Pomigliano d'Arco, il discorso del leader.
Un'ora e mezza con tante citazioni cinematografiche (Cynderella Man) e bibliche, ma anche tante idee, una buona dose di autocritica e poca nostalgia, addirittura l'abiura dell'antiBerlusconismo.
Bene, ma il Sud? Se ne parla soltanto dopo una mezz'ora buona e per dodici minuti: un po' poco rispetto al Vendola meridionalista dipinto dai media. E allora, l'imboscata del brigante era più che doverosa: ecco a voi il bottino. Ideologico, naturalmente...


Qual'è la centralità della sinistra per il Sud?

Il lavoro. La sinistra è nata per rompere il muro di solitudine che rendeva ogni lavoratore ricattabile, muto, impotente, privo di un corredo di diritti e di protezioni.

La notizia del giorno è la normativa degli scioperi, mentre passa sotto silenzio l'ennesima manifestazione degli operai della FIAT a Pomigliano d'Arco...
La notizia più importante è che il Mezzogiorno d'Italia non è tutto "Gomorra", che nel Mezzogiorno d'Italia c'è un protagonista mille volte ingannato, mille volte ferito, ma che ha ancora il gusto e la voglia di rivendicare i propri diritti come la classe operaia di Pomigliano come -posso dire- il mondo del lavoro del Mezzogiorno d'Italia, e questa mi pare una bella notizia. Evidentemente il Consiglio dei Ministri si preoccupava poprio di quella manifestazione e di quello che può innescare nel Paese intero.

Ultimamente si è sentito molto parlare di un Niki Vendola meridionalista: qui siamo nella ex capitale del Regno delle Due Sicilie, ma abbiamo sentito parlare di Sud soltanto dopo ben venticinque minuti di discorso. C'è qualcosa che può legare la Sinistra ad un discorso del territorio, magari anche in contrapposizione a quel Partito del Nord che si vuole disegnare addirittura nel PD?

Guardi, se domani Raffaele Lombardo, che apre a Roma il congresso del suo Movimento per l'Autonomia, non dice neanche una parola sull'intervista di Raffaele Fitto che compare su "Il Sole24Ore" di oggi, sull'idea di ricominciare daccapo con l'idea dei fondi comunitari, vuol dire che il suo meridionalismo è soltanto una serie di cartoline illustrate per fare propaganda.
Se l'On. Poli Bortone, che ha messo su un movimento per il Sud, domani starà zitta a fronte di una provocazione così grave come quella che arriva dal Governo in queste ore, vuol dire che si tratta solo di piccoli giri di valzer e non di significativi movimenti della politica.

Come vede il Federalismo?

Io penso che il nuovo meridionalismo debba affrontare positivamente la sfida del Federalismo, che il tema della responsabilità delle classi dirigenti e della qualificazione della spesa pubblica sia una sfida importante, penso però che per costruire questo meridionalismo bisogna rompere la principale superstizione che oggi vige in Italia. Parlo della "Superstizione Nordista" che è diventata una lingua ufficiale delle classi dirigenti, l'idea che il Nord è vittima del Sud e che la salvezza dell'Italia passi per l'autonomizzazione del Nord dal Sud, che il Sud può andare in malora purchè si salvi il Nord.
Io penso che queste posizioni vanno combattute anche in tutti i giorni feriali, non solo la domenica, e vorrei vedere alla prova tutti coloro che si intestano una battaglia meridionalistica senza rompere con la Destra, come fanno a rendere credibile il proprio meridionalismo.
La Destra è oggi un'esperienza di governo che ha tra i suoi "dominus" fondamentali il leghismo e la "secessione" di Bossi. Quindi, o si rompe con quella roba lì, oppure sono chiacchiere!

Però, abbiamo un problema: abbiamo fatto il Federalismo, ma ci manca una classe dirigente federalista. Il che significa che i nostri soldi verrano affidati, per esempio, qui in Campania ad Antonio Bassolino o a Ciriaco De Mita...

Guardi, siccome quando si parla di spesa pubblica malata si fanno in genere esempi di malasanità, vorrei ricordare che il più grande scandalo sanitario della storia d'Italia -e forse del mondo- è avvenuto alla Clinica Santa Rita, a casa di Formigoni. Perchè la malasanità del chirurgo che dimentica un paio di forbici nella pancia del paziente è un po' dappertutto, ma organizzare il taglio della mammella di una ragazza non malata di cancro per aumentare la remunerazione dell'intervento chirurgico, come facevano in maniera scientifica al S. Rita di Milano, allora, diciamo così: la qualificazione della spesa pubblica non è un problema solo meridionale, ma un problema nazionale. Le classi dirigenti meridionali devono accettare la sfida e devono rispondere sul terreno della lotta agli sprechi, alla corruzione ed al parassitismo.

La mia domanda, però, era questa: avremo il Federalismo, cioè un nuovo modello amministrativo, senza una classe politica educata al Federalismo. La Lega Nord ha dalla sua parte l'aver proposto, oltre all'autonomia amministrativa, non Bassolino e De Mita che "diventano" il PD, ma anche una classe politica completamente nuova...

Guardi, una nuova classe dirigente non è un problema anagrafico, ma culturale, un problema dei programmi. Noi possiamo avere tutti i giovanotti di primo pelo che propongono una visione catastrofica della società, e possiamo avere vecchie cariatidi che magari ancora conservano un'idea. Io non penso che il problema possa essere ridotto al personale politico, il problema è dei progetti politici che sono in campo. Ora non c'è dubbio che la Lega abbia nei propri ranghi una classe dirigente giovane, ma non mi pare che abbia un'idea precisa di quale debba essere la funzione di una classe dirigente per ricostruire il Sistema Paese. E' una classe dirigente nata dal grande trauma della perdita della lira, la cui "svalutazione" ha avvantaggiato a lungo il Nord-est nell'export verso gli altri paesi del mondo, una volta che siamo entrati nell'area dell'euro quel vantaggio è andato perduto. Però, quel "Nord-est" doveva imparare -come il "Sud-est" tra l'altro- a competere migliorando i propri apparati produttivi e la qualità dei propri prodotti.

Durante il suo discorso ha fatto diversi riferimenti al film "Cynderella man". In una scena, alla domanda di un giornalista, il pugile protagonista risponde di "combattere per il latte": qual'è il latte di Niki Vendola?

Diciamo che io combatto per il pane e le rose.


Fonte:Il Brigante
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Abbiamo intervistato per voi
il presidente della Puglia
oggi al teatro Mediterraneo


Di Gino Giammarino


In un gremitissimo teatro Mediterraneo della Mostra d'Oltremare di Napoli Niki Vendola, presidente della Regione Puglia ed esponente di spicco della Sinistra, ha incontrato i propri sostenitori. Dopo una serie di testimonial del territorio, una maestra immancabilmente precaria ed emigrata al Nord, una docente universitaria con contratto a termine (annuale) ed un operaio della FIAT di Pomigliano d'Arco, il discorso del leader.
Un'ora e mezza con tante citazioni cinematografiche (Cynderella Man) e bibliche, ma anche tante idee, una buona dose di autocritica e poca nostalgia, addirittura l'abiura dell'antiBerlusconismo.
Bene, ma il Sud? Se ne parla soltanto dopo una mezz'ora buona e per dodici minuti: un po' poco rispetto al Vendola meridionalista dipinto dai media. E allora, l'imboscata del brigante era più che doverosa: ecco a voi il bottino. Ideologico, naturalmente...


Qual'è la centralità della sinistra per il Sud?

Il lavoro. La sinistra è nata per rompere il muro di solitudine che rendeva ogni lavoratore ricattabile, muto, impotente, privo di un corredo di diritti e di protezioni.

La notizia del giorno è la normativa degli scioperi, mentre passa sotto silenzio l'ennesima manifestazione degli operai della FIAT a Pomigliano d'Arco...
La notizia più importante è che il Mezzogiorno d'Italia non è tutto "Gomorra", che nel Mezzogiorno d'Italia c'è un protagonista mille volte ingannato, mille volte ferito, ma che ha ancora il gusto e la voglia di rivendicare i propri diritti come la classe operaia di Pomigliano come -posso dire- il mondo del lavoro del Mezzogiorno d'Italia, e questa mi pare una bella notizia. Evidentemente il Consiglio dei Ministri si preoccupava poprio di quella manifestazione e di quello che può innescare nel Paese intero.

Ultimamente si è sentito molto parlare di un Niki Vendola meridionalista: qui siamo nella ex capitale del Regno delle Due Sicilie, ma abbiamo sentito parlare di Sud soltanto dopo ben venticinque minuti di discorso. C'è qualcosa che può legare la Sinistra ad un discorso del territorio, magari anche in contrapposizione a quel Partito del Nord che si vuole disegnare addirittura nel PD?

Guardi, se domani Raffaele Lombardo, che apre a Roma il congresso del suo Movimento per l'Autonomia, non dice neanche una parola sull'intervista di Raffaele Fitto che compare su "Il Sole24Ore" di oggi, sull'idea di ricominciare daccapo con l'idea dei fondi comunitari, vuol dire che il suo meridionalismo è soltanto una serie di cartoline illustrate per fare propaganda.
Se l'On. Poli Bortone, che ha messo su un movimento per il Sud, domani starà zitta a fronte di una provocazione così grave come quella che arriva dal Governo in queste ore, vuol dire che si tratta solo di piccoli giri di valzer e non di significativi movimenti della politica.

Come vede il Federalismo?

Io penso che il nuovo meridionalismo debba affrontare positivamente la sfida del Federalismo, che il tema della responsabilità delle classi dirigenti e della qualificazione della spesa pubblica sia una sfida importante, penso però che per costruire questo meridionalismo bisogna rompere la principale superstizione che oggi vige in Italia. Parlo della "Superstizione Nordista" che è diventata una lingua ufficiale delle classi dirigenti, l'idea che il Nord è vittima del Sud e che la salvezza dell'Italia passi per l'autonomizzazione del Nord dal Sud, che il Sud può andare in malora purchè si salvi il Nord.
Io penso che queste posizioni vanno combattute anche in tutti i giorni feriali, non solo la domenica, e vorrei vedere alla prova tutti coloro che si intestano una battaglia meridionalistica senza rompere con la Destra, come fanno a rendere credibile il proprio meridionalismo.
La Destra è oggi un'esperienza di governo che ha tra i suoi "dominus" fondamentali il leghismo e la "secessione" di Bossi. Quindi, o si rompe con quella roba lì, oppure sono chiacchiere!

Però, abbiamo un problema: abbiamo fatto il Federalismo, ma ci manca una classe dirigente federalista. Il che significa che i nostri soldi verrano affidati, per esempio, qui in Campania ad Antonio Bassolino o a Ciriaco De Mita...

Guardi, siccome quando si parla di spesa pubblica malata si fanno in genere esempi di malasanità, vorrei ricordare che il più grande scandalo sanitario della storia d'Italia -e forse del mondo- è avvenuto alla Clinica Santa Rita, a casa di Formigoni. Perchè la malasanità del chirurgo che dimentica un paio di forbici nella pancia del paziente è un po' dappertutto, ma organizzare il taglio della mammella di una ragazza non malata di cancro per aumentare la remunerazione dell'intervento chirurgico, come facevano in maniera scientifica al S. Rita di Milano, allora, diciamo così: la qualificazione della spesa pubblica non è un problema solo meridionale, ma un problema nazionale. Le classi dirigenti meridionali devono accettare la sfida e devono rispondere sul terreno della lotta agli sprechi, alla corruzione ed al parassitismo.

La mia domanda, però, era questa: avremo il Federalismo, cioè un nuovo modello amministrativo, senza una classe politica educata al Federalismo. La Lega Nord ha dalla sua parte l'aver proposto, oltre all'autonomia amministrativa, non Bassolino e De Mita che "diventano" il PD, ma anche una classe politica completamente nuova...

Guardi, una nuova classe dirigente non è un problema anagrafico, ma culturale, un problema dei programmi. Noi possiamo avere tutti i giovanotti di primo pelo che propongono una visione catastrofica della società, e possiamo avere vecchie cariatidi che magari ancora conservano un'idea. Io non penso che il problema possa essere ridotto al personale politico, il problema è dei progetti politici che sono in campo. Ora non c'è dubbio che la Lega abbia nei propri ranghi una classe dirigente giovane, ma non mi pare che abbia un'idea precisa di quale debba essere la funzione di una classe dirigente per ricostruire il Sistema Paese. E' una classe dirigente nata dal grande trauma della perdita della lira, la cui "svalutazione" ha avvantaggiato a lungo il Nord-est nell'export verso gli altri paesi del mondo, una volta che siamo entrati nell'area dell'euro quel vantaggio è andato perduto. Però, quel "Nord-est" doveva imparare -come il "Sud-est" tra l'altro- a competere migliorando i propri apparati produttivi e la qualità dei propri prodotti.

Durante il suo discorso ha fatto diversi riferimenti al film "Cynderella man". In una scena, alla domanda di un giornalista, il pugile protagonista risponde di "combattere per il latte": qual'è il latte di Niki Vendola?

Diciamo che io combatto per il pane e le rose.


Fonte:Il Brigante

In distribuzione agli abbonati il Numero 2, anno 2009, di Due Sicilie


Ricevo e volentieri posto, con una "gustosa anticipazione" di Antonio Perrucci:

In allegato la presentazione del numero due (marzo - aprile) della rivista Due Sicilie che è in corso di distribuzione agli abbonati.

DUE SICILIE
nr 2 – anno 2009

Sommario

3. Largo ‘e Palazzo
4. Gaeta, 2009
5. 150 anni dopo
6. La Civiltà Cattolica
8. I Borbone
10. Non tutti sanno che ...
11. L’avventurismo del Tesoro americano
12. Il Grande Archivio di Napoli
13. Il bergamotto, una magia svanita
14. Un risarcimento alla regione di emigrazione
15. Le autostrade del Mediterraneo
16. Intervista a S.A.R. Carlo di Borbone
17. L’Assedio (5)
25. Lo Scaffale duosiciliano
26. Chiavone
28. Il caso Pantelleria
30. Ipse dixit
31. L’Armata di Mare
32. Maria Carolina a Castelvetrano
33. Tanta miseria e poca nobiltà
34. La distruzione delle nazioni
35. I padani e le quote latte
36. Commemoriamo i 150 anni di unità
38. Le Voci di dentro

******************************************************************************

Si accingono a festeggiare i 150 anni di unità
Ma da questo numero noi incominciamo prima di loro a ricordare chi erano questi avanzi da galera

I SAVOJARDI

I meno giovani ricorderanno senz’altro Josephine Baker, una ballerina di colore che usava come gonnellino un casco di banane. La Baker continuò ad esibirsi fino a tarda età: aveva adottato una decina di orfani ai quali assicurava un tetto e un percorso scolastico. I lettori ci scuseranno, e auguriamoci che anche Josephine dall’alto ci perdoni, il profano accostamento, almeno nell’abbigliamento, al guitto savoiardo.

L’ultimo dei Savoja, infatti, ha deciso di sollazzare i suoi sudditi con settimanali mossette, magari indossando un casco di cetrioli, dato che, al suo rientro in Italia, pubblicizzò a pagamento una ditta di sottoaceti.
Questa rivista non ha mai dato spazio ai Savoja e alle loro esternazioni.

La storia di questa famiglia è ben nota a chi, non lasciandosi abbindolare da favole e novelle propalate da pennivendoli e scribacchini prezzolati, sa leggere i fatti e conosce che la vera storia non è quella scritta dai sopraffattori.

Questi Savoja si caratterizzano per le continue buffonate che mettono in atto con la velocità della luce.

Dopo quella dei 250 milioni di euro, definita dallo stesso neoballerino: «una stronzata, chiedo scusa», eccone un’altra: «Ho accettato di partecipare a Ballando con le stelle per farmi conoscere; voglio dimostrare che so cominciare da zero. Che so lavorare duro».

Insomma ha appena chiesto scusa per una stronzata che se ne profila un’altra all’orizzonte.

Ma la “stronzata” (espressione però non consentita ai Principi) più grande è stata quella riportata sul Corriere della Sera del 21.12.2008: « ... molti monarchici mi criticheranno, ma ho una famiglia e due figlie da mantenere».

Perché non manchi nulla alla famiglia magari si arriverà a uno spogliarello. Chissà.
A mettere in ridicolo la pretesa indigenza in cui vivono questi Savoja sarà opportuno per i lettori scorrere con attenzione le poche righe che seguono:

se miseria c’è, si tratta solo di una miseria morale infinita che trova la sua origine con uno dei capostipiti di questa schiatta e che non può che concludersi in modo ovvio ai nostri giorni.

Nel 1943, Vittorio Emanuele III, che storici prezzolati hanno chiamato “re soldato” (ma nominato da tutti sciaboletta a causa della sua statura quasi da nano), preparava da tempo in gran segreto una fuga per salvare le chiappe reali. Fuga organizzata con certosina precisione e che in seguito avrebbe spacciato per una fatalità che la casata dovette subire.

Il 3 agosto del 1943 fu segnalato, in transito per Iselle, diretto a Ginevra, un treno di ventuno vagoni piombati proveniente da Roma con ordini severissimi per la dogana perché non lo sottoponesse ai consueti controlli.

Il 2 settembre successivo, un altro treno di venti vagoni, sempre diretto a Ginevra, subì un banale incidente a Domodossola, dove i vagoni furono aperti e si vide che contenevano argenterie, quadri, mobili e vasellame.

Le “masserizie” dei Savoia venivano messe al sicuro.

Sempre tra il 3 agosto e il 2 settembre del 1943 il previdente monarca prelevava e inviava in Svizzera ben 15.930.000 di lire, spiccioli per le minute spese.

Il suo sodale, Badoglio, da fondi del Ministero degli Interni, si limitava a spedirne solo 14.875.000.

Ma la cosa che ancor più ripugna fu l’acquisto di titoli fatto dalla figlia Jolanda, sempre per incarico di sciaboletta, tra cui i più cospicui erano quelli del «Prestito della Vittoria» che il premier inglese Churchill aveva lanciato nel 1941. Sì, avete letto bene. L’Italia era in guerra contro l’Inghilterra e il comandante in capo delle regie FF.AA. italiane investiva i suoi risparmi occultati presso la banca inglese aiutando il nemico nell’acquisto di armi che avrebbero ucciso soldati italiani.

Sempre tra il 2 e il 9 settembre, il “re soldato” esonerava dai loro incarichi militari il figlio Umberto e tutta una serie di nobili parenti in modo tale che potessero prendere il largo senza in seguito essere accusati di diserzione. Destinazione per tutti Brindisi: le reali terga al sicuro e il Regio Esercito Italiano lasciato senz’ordini in balia dei tedeschi inferociti.

In questo episodio oltre alla viltà personale di Vittorio Emanuele III si rileva anche un cinismo mostruoso: per essere sicuro di poter scappare impunemente non comunicò ai reparti in armi la sua decisione e li abbandonò a se stessi causando migliaia di morti e migliaia di deportati.

Un comportamento certamente non da re, ma l’agiografia risorgimentale ha trasformato soggetti degni di un normale pernacchio (non quello di eduardiana memoria) in campioni di nobiltà.

Il primo esemplare fu Vittorio Emanuele II, il «re galantuomo» - «figlio» di Carlo Alberto, un lasagnone inconcludente, alto oltre due metri e poco meno la moglie - era un botolo scorreggiante adiposo, tanto volgare da far rivoltare la regina Vittoria.

In realtà, come ci svela don Sandro Tredici nella sua opera Dal Granducato al Regno unito (edito nel 1995 da ACOM, Cecina, via Gorizia 37), il vero figlio di Carlo Alberto era morto in un incendio nel palazzo dello zio Leopoldo, Granduca di Toscana, ma per problemi dinastici fu prontamente sostituito dal figlio illegittimo di una garzone di macelleria.

Ecco spiegata la evidente diversità di fisico e di carattere.

Un macellaio, insomma, e non tardò a dimostrarlo bombardando Genova nel 1848 e ordinando nel 1860 di mettere a ferro e fuoco il Regno delle Due Sicilie pur di conquistarlo e rapinarlo delle sue ricchezze.

Lui ladro e mandante di stragi e rapine consentì che fosse dileggiato il legittimo Re delle Due Sicilie che non volle far scorrere il sangue nella sua capitale Napoli, dove lasciò nel Banco di Napoli tutte le sue sostanze, prontamente rapinate dal ladro dei due mondi.
Altro degno esemplare fu Umberto I, il cosiddetto «re buono», buono come le cannonate scaricate sui milanesi dal suo scherano Bava Beccaris o buono per i massacri in Sicilia per soffocare le pacifiche istanze dei lavoratori organizzati nei «Fasci Siciliani».

Con quale nome di battaglia passerà alla “storia” il padre del promettente neoballerino di Ballando con le stelle?

Bisognerà prendere in considerazione i suoi meriti per affibbiargli un titolo.

Vediamo: inquisito per traffico internazionale di armi, ospite delle galere francesi per omicidio, ospite di quelle lucane per incitamento alla prostituzione e corruzione. Che ne dite potrebbe andar bene: il re della mala?

Forse, vista l’irrequietezza del soggetto, ci saranno ancora altre possibilità per un titolo più “elevato”.
Quanto all’ultimo rampollo bisognerà dargli tempo. è ancora giovane, ma è esuberante e ha ancora tante possibilità, la fantasia non gli manca.

Intanto promette bene: dai cetrioli a ballerino della RAI.

Antonio Perrucci

.....................................................................................................................

ABBONAMENTI

ORDINARIO: euro 15,00 - SOSTENITORE: euro 30,00 - ESTERO: Europa, euro 25,00 - fuori Europa: euro 40,00

- Ad ogni nuovo abbonato in omaggio un Passaporto e un Ducato delle Due Sicilie. Ai sostenitori in più in omaggio a scelta la Bandiera delle Due Sicilie o un libro Attestato di Brigante (per i soli abbonati): euro 5,00

- effettuare i versamenti all’ Associazione Due Sicilie

- casella postale 305 - 36100 Vicenza centro con le seguenti modalità:

1) assegno non trasferibile

2) versamento su Conto Corr. Postale nr. 37402641

3) bonifico bancario sul c/c Poste Italiane 000037402641

- coordinate bancarie: IT 47 B 07601 11800 000037402641
dall’estero BIC/SWIFT: BPPIITRRXXX
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Ricevo e volentieri posto, con una "gustosa anticipazione" di Antonio Perrucci:

In allegato la presentazione del numero due (marzo - aprile) della rivista Due Sicilie che è in corso di distribuzione agli abbonati.

DUE SICILIE
nr 2 – anno 2009

Sommario

3. Largo ‘e Palazzo
4. Gaeta, 2009
5. 150 anni dopo
6. La Civiltà Cattolica
8. I Borbone
10. Non tutti sanno che ...
11. L’avventurismo del Tesoro americano
12. Il Grande Archivio di Napoli
13. Il bergamotto, una magia svanita
14. Un risarcimento alla regione di emigrazione
15. Le autostrade del Mediterraneo
16. Intervista a S.A.R. Carlo di Borbone
17. L’Assedio (5)
25. Lo Scaffale duosiciliano
26. Chiavone
28. Il caso Pantelleria
30. Ipse dixit
31. L’Armata di Mare
32. Maria Carolina a Castelvetrano
33. Tanta miseria e poca nobiltà
34. La distruzione delle nazioni
35. I padani e le quote latte
36. Commemoriamo i 150 anni di unità
38. Le Voci di dentro

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Si accingono a festeggiare i 150 anni di unità
Ma da questo numero noi incominciamo prima di loro a ricordare chi erano questi avanzi da galera

I SAVOJARDI

I meno giovani ricorderanno senz’altro Josephine Baker, una ballerina di colore che usava come gonnellino un casco di banane. La Baker continuò ad esibirsi fino a tarda età: aveva adottato una decina di orfani ai quali assicurava un tetto e un percorso scolastico. I lettori ci scuseranno, e auguriamoci che anche Josephine dall’alto ci perdoni, il profano accostamento, almeno nell’abbigliamento, al guitto savoiardo.

L’ultimo dei Savoja, infatti, ha deciso di sollazzare i suoi sudditi con settimanali mossette, magari indossando un casco di cetrioli, dato che, al suo rientro in Italia, pubblicizzò a pagamento una ditta di sottoaceti.
Questa rivista non ha mai dato spazio ai Savoja e alle loro esternazioni.

La storia di questa famiglia è ben nota a chi, non lasciandosi abbindolare da favole e novelle propalate da pennivendoli e scribacchini prezzolati, sa leggere i fatti e conosce che la vera storia non è quella scritta dai sopraffattori.

Questi Savoja si caratterizzano per le continue buffonate che mettono in atto con la velocità della luce.

Dopo quella dei 250 milioni di euro, definita dallo stesso neoballerino: «una stronzata, chiedo scusa», eccone un’altra: «Ho accettato di partecipare a Ballando con le stelle per farmi conoscere; voglio dimostrare che so cominciare da zero. Che so lavorare duro».

Insomma ha appena chiesto scusa per una stronzata che se ne profila un’altra all’orizzonte.

Ma la “stronzata” (espressione però non consentita ai Principi) più grande è stata quella riportata sul Corriere della Sera del 21.12.2008: « ... molti monarchici mi criticheranno, ma ho una famiglia e due figlie da mantenere».

Perché non manchi nulla alla famiglia magari si arriverà a uno spogliarello. Chissà.
A mettere in ridicolo la pretesa indigenza in cui vivono questi Savoja sarà opportuno per i lettori scorrere con attenzione le poche righe che seguono:

se miseria c’è, si tratta solo di una miseria morale infinita che trova la sua origine con uno dei capostipiti di questa schiatta e che non può che concludersi in modo ovvio ai nostri giorni.

Nel 1943, Vittorio Emanuele III, che storici prezzolati hanno chiamato “re soldato” (ma nominato da tutti sciaboletta a causa della sua statura quasi da nano), preparava da tempo in gran segreto una fuga per salvare le chiappe reali. Fuga organizzata con certosina precisione e che in seguito avrebbe spacciato per una fatalità che la casata dovette subire.

Il 3 agosto del 1943 fu segnalato, in transito per Iselle, diretto a Ginevra, un treno di ventuno vagoni piombati proveniente da Roma con ordini severissimi per la dogana perché non lo sottoponesse ai consueti controlli.

Il 2 settembre successivo, un altro treno di venti vagoni, sempre diretto a Ginevra, subì un banale incidente a Domodossola, dove i vagoni furono aperti e si vide che contenevano argenterie, quadri, mobili e vasellame.

Le “masserizie” dei Savoia venivano messe al sicuro.

Sempre tra il 3 agosto e il 2 settembre del 1943 il previdente monarca prelevava e inviava in Svizzera ben 15.930.000 di lire, spiccioli per le minute spese.

Il suo sodale, Badoglio, da fondi del Ministero degli Interni, si limitava a spedirne solo 14.875.000.

Ma la cosa che ancor più ripugna fu l’acquisto di titoli fatto dalla figlia Jolanda, sempre per incarico di sciaboletta, tra cui i più cospicui erano quelli del «Prestito della Vittoria» che il premier inglese Churchill aveva lanciato nel 1941. Sì, avete letto bene. L’Italia era in guerra contro l’Inghilterra e il comandante in capo delle regie FF.AA. italiane investiva i suoi risparmi occultati presso la banca inglese aiutando il nemico nell’acquisto di armi che avrebbero ucciso soldati italiani.

Sempre tra il 2 e il 9 settembre, il “re soldato” esonerava dai loro incarichi militari il figlio Umberto e tutta una serie di nobili parenti in modo tale che potessero prendere il largo senza in seguito essere accusati di diserzione. Destinazione per tutti Brindisi: le reali terga al sicuro e il Regio Esercito Italiano lasciato senz’ordini in balia dei tedeschi inferociti.

In questo episodio oltre alla viltà personale di Vittorio Emanuele III si rileva anche un cinismo mostruoso: per essere sicuro di poter scappare impunemente non comunicò ai reparti in armi la sua decisione e li abbandonò a se stessi causando migliaia di morti e migliaia di deportati.

Un comportamento certamente non da re, ma l’agiografia risorgimentale ha trasformato soggetti degni di un normale pernacchio (non quello di eduardiana memoria) in campioni di nobiltà.

Il primo esemplare fu Vittorio Emanuele II, il «re galantuomo» - «figlio» di Carlo Alberto, un lasagnone inconcludente, alto oltre due metri e poco meno la moglie - era un botolo scorreggiante adiposo, tanto volgare da far rivoltare la regina Vittoria.

In realtà, come ci svela don Sandro Tredici nella sua opera Dal Granducato al Regno unito (edito nel 1995 da ACOM, Cecina, via Gorizia 37), il vero figlio di Carlo Alberto era morto in un incendio nel palazzo dello zio Leopoldo, Granduca di Toscana, ma per problemi dinastici fu prontamente sostituito dal figlio illegittimo di una garzone di macelleria.

Ecco spiegata la evidente diversità di fisico e di carattere.

Un macellaio, insomma, e non tardò a dimostrarlo bombardando Genova nel 1848 e ordinando nel 1860 di mettere a ferro e fuoco il Regno delle Due Sicilie pur di conquistarlo e rapinarlo delle sue ricchezze.

Lui ladro e mandante di stragi e rapine consentì che fosse dileggiato il legittimo Re delle Due Sicilie che non volle far scorrere il sangue nella sua capitale Napoli, dove lasciò nel Banco di Napoli tutte le sue sostanze, prontamente rapinate dal ladro dei due mondi.
Altro degno esemplare fu Umberto I, il cosiddetto «re buono», buono come le cannonate scaricate sui milanesi dal suo scherano Bava Beccaris o buono per i massacri in Sicilia per soffocare le pacifiche istanze dei lavoratori organizzati nei «Fasci Siciliani».

Con quale nome di battaglia passerà alla “storia” il padre del promettente neoballerino di Ballando con le stelle?

Bisognerà prendere in considerazione i suoi meriti per affibbiargli un titolo.

Vediamo: inquisito per traffico internazionale di armi, ospite delle galere francesi per omicidio, ospite di quelle lucane per incitamento alla prostituzione e corruzione. Che ne dite potrebbe andar bene: il re della mala?

Forse, vista l’irrequietezza del soggetto, ci saranno ancora altre possibilità per un titolo più “elevato”.
Quanto all’ultimo rampollo bisognerà dargli tempo. è ancora giovane, ma è esuberante e ha ancora tante possibilità, la fantasia non gli manca.

Intanto promette bene: dai cetrioli a ballerino della RAI.

Antonio Perrucci

.....................................................................................................................

ABBONAMENTI

ORDINARIO: euro 15,00 - SOSTENITORE: euro 30,00 - ESTERO: Europa, euro 25,00 - fuori Europa: euro 40,00

- Ad ogni nuovo abbonato in omaggio un Passaporto e un Ducato delle Due Sicilie. Ai sostenitori in più in omaggio a scelta la Bandiera delle Due Sicilie o un libro Attestato di Brigante (per i soli abbonati): euro 5,00

- effettuare i versamenti all’ Associazione Due Sicilie

- casella postale 305 - 36100 Vicenza centro con le seguenti modalità:

1) assegno non trasferibile

2) versamento su Conto Corr. Postale nr. 37402641

3) bonifico bancario sul c/c Poste Italiane 000037402641

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De Magistris a Firenze seconda parte

Seconda parte dell'intervento di Luigi De Magistris al Convegno " Giustizia e Informazione sotto assedio" organizzato da Liberacittadinanza a Firense il 14 febbraio 2009. In particolare in questa seconda parte De Magistris parla del ddl sulle intercettazioni, del tentativo di mettere il bavaglio alla stampa e di ledere il diritto di cronaca e più in generale il tentativo in atto di criminalizzare il dissenzo, di imporre il pensiero unico portato avanti da poteri occulti.
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Seconda parte dell'intervento di Luigi De Magistris al Convegno " Giustizia e Informazione sotto assedio" organizzato da Liberacittadinanza a Firense il 14 febbraio 2009. In particolare in questa seconda parte De Magistris parla del ddl sulle intercettazioni, del tentativo di mettere il bavaglio alla stampa e di ledere il diritto di cronaca e più in generale il tentativo in atto di criminalizzare il dissenzo, di imporre il pensiero unico portato avanti da poteri occulti.

venerdì 27 febbraio 2009

TG PROTESTE FIAT POMIGLIANO - Solidarietà agli operai che difendono il posto di lavoro!



La popolazione di Pomigliano d'Arco si stringe attorno alla causa dei lavoratori della Fiat. Esponenti della politica e delle associazioni di sindacato chiedono un immediato tavolo di concertazione.
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La popolazione di Pomigliano d'Arco si stringe attorno alla causa dei lavoratori della Fiat. Esponenti della politica e delle associazioni di sindacato chiedono un immediato tavolo di concertazione.

Ultima Chiamata !!


Riposto questo nostro articolo del 19 maggio 2008 perchè di sicura attualità, e soprattutto per ricordare il "Decreto Prodi" cosa che sta sfuggendo in queste ore a molti commentatori e anche ai politici locali ....(PdSUD ER)



Pochi giorni fa eravamo stati facili profeti di sventura.
Il problema nei prossimi mesi/anni non sarà certamente la futura legge federale, che la lega dovrà fare approvare al parlamento per non essere smascherata definitivamente davanti ai propri elettori per quello che è:
Una gruppo di amici autoreferenziati che contano panzane colossali al proprio popolo, per rimanere abbarbicati al potere e suggere prebende e soldi ai cittadini italiani,peggio dei democristiani di vecchia memoria.


No il vero problema per il Sud sarà il problema ambientale.
Tutto concorda nel far pensare che su questo fronte si giocherà l'ultimo vero attacco alla colonia interna italiota cioè il Sud.
Da mesi infatti è partito il circo mediatico delle solite cassandre prezzolate per preparare il volgo all'ineluttabile.

Queste ci dicono che:la necessità di grandi opere indispensabili per lo sviluppo futuro della penisola non può essere fermato da dinieghi locali dettati solo da particolarismi,bizantinismi e romanticismi ecologico localistici.
Notare bene infatti che gli scontri dei manifestanti con le forze dell'ordine, che nel nord del paese pochi mesi fa avevano viste schierate contrapposte popolazioni e governo su temi quali i no tav,fortunatamente quasi del tutto incruenti,appena si sono trasferiti al Sud per il problema delle discariche sono diventati particolarmente duri e contemporaneamente sono finiti pericolosamente nel limbo del disinteresse mediatico,causato anche da una visione razzistico qualunquistica di giusta "pena del contrappasso" per le carenze di una corretta gestione del problema rifiuti in Campania,ignorando colpevolmente che le vere colpe non sono certamente della popolazione che si ritrova così "mazziata e cornuta".

Contemporaneamente il problema rifiuti ha aperto e aprirà la porta alla costruzione,ovviamente per il "bene" della popolazione stessa, e soprattutto malgrado il diniego della stessa,di mega-inceneritori e discariche a tutto spiano,sempre a danno della salute della popolazione e delle colture.
Inoltre da tempo è ripartita la grancassa,favorita dall'oggetiva crisi energetica,della necessità di dotare il paese di proprie centrali nucleari.
Naturalmente i "soliti noti", sono meno solleciti nello spiegare i tempi di messa in funzione degli impianti nucleari (15 anni) e del problema dello stoccaggio delle scorie radioattive.
Inoltre sicuramente tacciono sul fatto che in tutto il mondo oramai le centrali nucleari sono considerate una tecnologia obsoleta e vetusta e che tutti i paesi più avanzati si stanno rivolgendo a fonti alternative quali il fotovoltaico,l'eolico,l'azoto,il moto marino ecc.

A prescindere da questa considerazione,la domanda più importante per noi,vista la forza della lega al nord,visto che la lega sicuramente dovrà concedere qualcosa agli alleati sul federalismo, che alcuni di questi non vedono di buon occhio..., e perciò sarà sicuramente inflessibile sulla localizzazione dei siti dove costruire le centrali nucleari e di stoccaggio rifiuti radiattivi prodotti dalle stesse;
la domanda dicevo è:secondo voi dove saranno collocati questi strumenti di contaminazione?

Ovviamente nella colonia interna,tanto le sue popolazioni sono già abituate a vivere nella monnezza e nell'abbruttimento!

Ora ,a chiusura del cerchio, si apprende del decreto varato dal governo Prodi ,entrato in vigore il primo Maggio che prevede fra le altre cose queste:

"Nei luoghi coperti dal segreto di Stato le funzioni di controllo ordinariamente svolte dalle aziende sanitarie locali e dal Corpo nazionale dei vigili del fuoco, sono svolte da autonomi uffici di controllo collocati a livello centrale dalle amministrazioni interessate che li costituiscono con proprio provvedimento".
"Le amministrazioni non sono tenute agli obblighi di comunicazione verso le aziende sanitarie locali e il Corpo nazionale dei vigili del fuoco a cui hanno, comunque, facoltà di rivolgersi per ausilio o consultazione"."Sono suscettibili di essere oggetto di segreto di Stato le informazioni, le notizie, i documenti, gli atti, le attività, i luoghi e le cose attinenti alle materie di riferimento".

In altre parole segreto di stato su ogni possibile localizzazione di impianti di stoccaggio di scorie nucleari,centrali nucleari,depositi di veleni vari e assortiti al fine di lasciare nell'ignoranza il popolo sempre più suddito e bue,al fine di evitare ogni possibile protesta.

Ai cittadini resta solo la possibilità di crepare di tumore,però possibilmente in silenzio,non è bene disturbare o intristire con i propri lamenti il manovratore.

L'essenza della democrazia !!

Non a caso,appena conosciuti i risultati elettorali , gli americani hanno subito esultato ,rilasciando dichiarazioni per mezzo di politici e ambasciatori improntate alla sicura ripresa vigorosa negli affari fra i due paesi .......Indovinate ora di quale paese sono le maggiori aziende costruttrici di inceneritori e centrali nucleari nel mondo,impianti che oramai nessuno vuole più...

Ultimo aspetto la costruzione del Ponte sullo stretto.

Qui poche considerazioni,aspetti ambientali paesaggistici sconvolgenti,assenza di infrastrutture stradali ferroviari da e per la Sicilia,possibili infiltrazioni malavitose negli appalti dell'opera .
Eppure anche questa si farà.
Cheope ebbe la sua piramide,Berlusconi il suo ponte.

Pertanto la nostra preoccupazione maggiore non dovrebbe essere ,comunque non solo, il federalismo in salsa leghista,infatti una pessima legge si può prima o poi cambiare;
la nostra preoccupazione dovrà essere impedire l'ulteriore scempio dell'ambiente e delle popolazioni del nostro meridione.

Per questo bisognerà assolutamente partecipare al fianco delle lotte locali delle popolazioni,aiutarle,unire sollecitamente i movimenti affinchè sia unita e coordinata la protesta delle popolazioni dei vari paesi in lotta per i propri diritti naturali ad un ambiente pulito, anche per le prossime generazioni.
In poche parole:Urge più che mai l'unione dei Movimenti Meridionalisti.

Nella bruma mattutina ,nelle campagne napolitane già si sentono suonare a martello le campane,attenzione è l'ultima chiamata,se non li fermiamo non vi sarà un domani.
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Riposto questo nostro articolo del 19 maggio 2008 perchè di sicura attualità, e soprattutto per ricordare il "Decreto Prodi" cosa che sta sfuggendo in queste ore a molti commentatori e anche ai politici locali ....(PdSUD ER)



Pochi giorni fa eravamo stati facili profeti di sventura.
Il problema nei prossimi mesi/anni non sarà certamente la futura legge federale, che la lega dovrà fare approvare al parlamento per non essere smascherata definitivamente davanti ai propri elettori per quello che è:
Una gruppo di amici autoreferenziati che contano panzane colossali al proprio popolo, per rimanere abbarbicati al potere e suggere prebende e soldi ai cittadini italiani,peggio dei democristiani di vecchia memoria.


No il vero problema per il Sud sarà il problema ambientale.
Tutto concorda nel far pensare che su questo fronte si giocherà l'ultimo vero attacco alla colonia interna italiota cioè il Sud.
Da mesi infatti è partito il circo mediatico delle solite cassandre prezzolate per preparare il volgo all'ineluttabile.

Queste ci dicono che:la necessità di grandi opere indispensabili per lo sviluppo futuro della penisola non può essere fermato da dinieghi locali dettati solo da particolarismi,bizantinismi e romanticismi ecologico localistici.
Notare bene infatti che gli scontri dei manifestanti con le forze dell'ordine, che nel nord del paese pochi mesi fa avevano viste schierate contrapposte popolazioni e governo su temi quali i no tav,fortunatamente quasi del tutto incruenti,appena si sono trasferiti al Sud per il problema delle discariche sono diventati particolarmente duri e contemporaneamente sono finiti pericolosamente nel limbo del disinteresse mediatico,causato anche da una visione razzistico qualunquistica di giusta "pena del contrappasso" per le carenze di una corretta gestione del problema rifiuti in Campania,ignorando colpevolmente che le vere colpe non sono certamente della popolazione che si ritrova così "mazziata e cornuta".

Contemporaneamente il problema rifiuti ha aperto e aprirà la porta alla costruzione,ovviamente per il "bene" della popolazione stessa, e soprattutto malgrado il diniego della stessa,di mega-inceneritori e discariche a tutto spiano,sempre a danno della salute della popolazione e delle colture.
Inoltre da tempo è ripartita la grancassa,favorita dall'oggetiva crisi energetica,della necessità di dotare il paese di proprie centrali nucleari.
Naturalmente i "soliti noti", sono meno solleciti nello spiegare i tempi di messa in funzione degli impianti nucleari (15 anni) e del problema dello stoccaggio delle scorie radioattive.
Inoltre sicuramente tacciono sul fatto che in tutto il mondo oramai le centrali nucleari sono considerate una tecnologia obsoleta e vetusta e che tutti i paesi più avanzati si stanno rivolgendo a fonti alternative quali il fotovoltaico,l'eolico,l'azoto,il moto marino ecc.

A prescindere da questa considerazione,la domanda più importante per noi,vista la forza della lega al nord,visto che la lega sicuramente dovrà concedere qualcosa agli alleati sul federalismo, che alcuni di questi non vedono di buon occhio..., e perciò sarà sicuramente inflessibile sulla localizzazione dei siti dove costruire le centrali nucleari e di stoccaggio rifiuti radiattivi prodotti dalle stesse;
la domanda dicevo è:secondo voi dove saranno collocati questi strumenti di contaminazione?

Ovviamente nella colonia interna,tanto le sue popolazioni sono già abituate a vivere nella monnezza e nell'abbruttimento!

Ora ,a chiusura del cerchio, si apprende del decreto varato dal governo Prodi ,entrato in vigore il primo Maggio che prevede fra le altre cose queste:

"Nei luoghi coperti dal segreto di Stato le funzioni di controllo ordinariamente svolte dalle aziende sanitarie locali e dal Corpo nazionale dei vigili del fuoco, sono svolte da autonomi uffici di controllo collocati a livello centrale dalle amministrazioni interessate che li costituiscono con proprio provvedimento".
"Le amministrazioni non sono tenute agli obblighi di comunicazione verso le aziende sanitarie locali e il Corpo nazionale dei vigili del fuoco a cui hanno, comunque, facoltà di rivolgersi per ausilio o consultazione"."Sono suscettibili di essere oggetto di segreto di Stato le informazioni, le notizie, i documenti, gli atti, le attività, i luoghi e le cose attinenti alle materie di riferimento".

In altre parole segreto di stato su ogni possibile localizzazione di impianti di stoccaggio di scorie nucleari,centrali nucleari,depositi di veleni vari e assortiti al fine di lasciare nell'ignoranza il popolo sempre più suddito e bue,al fine di evitare ogni possibile protesta.

Ai cittadini resta solo la possibilità di crepare di tumore,però possibilmente in silenzio,non è bene disturbare o intristire con i propri lamenti il manovratore.

L'essenza della democrazia !!

Non a caso,appena conosciuti i risultati elettorali , gli americani hanno subito esultato ,rilasciando dichiarazioni per mezzo di politici e ambasciatori improntate alla sicura ripresa vigorosa negli affari fra i due paesi .......Indovinate ora di quale paese sono le maggiori aziende costruttrici di inceneritori e centrali nucleari nel mondo,impianti che oramai nessuno vuole più...

Ultimo aspetto la costruzione del Ponte sullo stretto.

Qui poche considerazioni,aspetti ambientali paesaggistici sconvolgenti,assenza di infrastrutture stradali ferroviari da e per la Sicilia,possibili infiltrazioni malavitose negli appalti dell'opera .
Eppure anche questa si farà.
Cheope ebbe la sua piramide,Berlusconi il suo ponte.

Pertanto la nostra preoccupazione maggiore non dovrebbe essere ,comunque non solo, il federalismo in salsa leghista,infatti una pessima legge si può prima o poi cambiare;
la nostra preoccupazione dovrà essere impedire l'ulteriore scempio dell'ambiente e delle popolazioni del nostro meridione.

Per questo bisognerà assolutamente partecipare al fianco delle lotte locali delle popolazioni,aiutarle,unire sollecitamente i movimenti affinchè sia unita e coordinata la protesta delle popolazioni dei vari paesi in lotta per i propri diritti naturali ad un ambiente pulito, anche per le prossime generazioni.
In poche parole:Urge più che mai l'unione dei Movimenti Meridionalisti.

Nella bruma mattutina ,nelle campagne napolitane già si sentono suonare a martello le campane,attenzione è l'ultima chiamata,se non li fermiamo non vi sarà un domani.

L'Italia ripiomba nel tunnel del nucleare. La Francia fa affari e vende a Berlusconi il pacchetto nucleare antiquato e costoso


Ennesimo contraccolpo per il futuro energetico pulito dell’Italia, dopo il vertice italo-francese di oggi. Questa mattina, infatti, Berlusconi e Sarkozy hanno firmato un accordo che prevede la realizzazione di almeno quattro centrali nucleari di terza generazione (la prima operativa – dicono - nel 2020) nel territorio italiano, gettando le basi per “un’ampia collaborazione” tra i due Paesi in tutti i settori della filiera – dalla ricerca allo stoccaggio delle scorie -.

Definitosi soddisfatto per il “risultato concreto” ottenuto e per la disponibilità francese a facilitare l’Italia con il proprio “know how” (dietro cui si cela - ovviamente - l’interesse di Sarkozy a trovare un nuovo mercato per la sua industria nucleare in difficoltà, a causa della mancanza di ordini sufficienti a livello mondiale), il premier, ancora una volta, intende passare sopra non solo al referendum con cui gli italiani dissero di no al nucleare nell’87 (un plebiscito di voti, oltre l'80%), ma anche alla legge (a sua volta cuscinetto tra il verdetto del referendum e la volontà del Governo) che prevede la creazione di un’Agenzia per la Sicurezza Nucleare, attualmente ancora in discussione al Senato. Ma soprattutto, il capo del governo, insieme alla sua maggioranza, sembrano continuare ad ignorare la natura oggettivamente costosa dell’energia ottenuta per fissione (in termini di investimento economico, il cui esempio è la vicenda dell'EPR in Finlandia - ufficialmente in ritardo di 3 anni sui tempi di costruzione e costato almeno 2 miliardi di Euro in più di quanto preventivato – ma anche considerando lo smantellamento e la messa in sicurezza degli impianti, senza fermarsi alla sola fase iniziale), la pericolosità dell’ancora irrisolto problema delle scorie radioattive (l’Italia non è stata ancora capace di trovare un deposito per i rifiuti atomici del passato), la disponibilità limitata (non più di 50 anni) di uranio e, non ad ultimo, la – costosa - necessità di sicurezza degli impianti da possibili incidenti e da attacchi “terroristici”.

L’accordo, infine, sembra non tenere minimamente conto della tendenza mondiale (da Obama a gran parte dell’Europa) e degli studi internazionali riguardo al nucleare: considerato un passo indietro, una tecnologia obsoleta che non guarda al futuro e alla necessità di porre immediatamente (e quindi non con i decennali tempi richiesti dal nucleare) rimedio al riscaldamento globale, assicurando un futuro senza scorie e con una tecnologia non antiquata ma orientata alla sostenibilità e alla riduzione dei consumi. Ovvero alle fonti rinnovabili e ad una maggiore educazione al risparmio energetico (a cui il nucleare, apparentemente facile e abbondante, oppone la cultura del consumo e dell’insaziabile richiesta di energia).

Nel giorno in cui Italia e Francia firmano un accordo “storico” di assoluta regressione, mentale e tecnologica, nei confronti del futuro del nostro pianeta, su The Indipendent esce un’inchiesta che, forse, il premier e il capo dello stato francese, dovrebbero leggere con attenzione. Qui di sotto, tratto da ansa ambiente:

“Le centrali nucleari di nuova generazione - che la Gran Bretagna sta progettando di costruire e che sono già in fase di realizzazione in Francia e in Finlandia - sono più pericolose, in caso di incidente, di quelle vecchie che andrebbero a sostituire. A rivelarlo è un'inchiesta del quotidiano britannico 'The Independent', che ha ottenuto una serie di documenti interni all'industria del nucleare dai quali emerge che, sebbene i nuovi European Pressurised Reactors (Epr) siano meno esposti al rischio di guasti, nel caso si verificasse un incidente la fuoriuscita di radiazioni sarebbe molto maggiore e potrebbe fare anche il doppio delle vittime. Un rapporto redatto dalla società francese Edf rivela che l'emissione di isotopi radioattivi di bromo, rubidio, iodio e cesio sarebbe quattro volte maggiore rispetto alla fuoriuscita che si verificherebbe in un reattore tradizionale.

Un altro studio della società di smaltimento di scorie radioattive Posiva Oy sostiene invece che l'emissione dell'isotopo iodio 129 sarebbe addirittura sette volte maggiore.

Un terzo dossier, redatto dalla Swiss National Co-operative for the Disposal of Radioactive Waste conclude invece che la fuoriuscita di cesio 135 e cesio 137 sarebbe maggiore di 11 volte. A rendere i nuovi Epr più pericolosi in caso di incidente, spiega il giornale, è il fatto che sono stati progettati per bruciare il combustibile nucleare ad una velocità doppia rispetto a quelli attuali, modificando la natura stessa del carburante. Oltre alla Finlandia e alla Francia, dove due reattori di nuova generazione saranno realizzati in Normandia, ad essere interessate alla costruzione degli Epr sono la Gran Bretagna, dove quattro reattori verrebbero realizzati dalla Edf in Somerset e nel Suffolk e l'India, che ne vorrebbe costruire sei.”

Energia pulita e sicura? Certamente quella ottenuta da fonti rinnovabili, sostenibili anche per le generazioni future. Sempre meno, a quanto pare, l’energia “usa e getta” del nucleare.

Fonte:
Fare Verde
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Ennesimo contraccolpo per il futuro energetico pulito dell’Italia, dopo il vertice italo-francese di oggi. Questa mattina, infatti, Berlusconi e Sarkozy hanno firmato un accordo che prevede la realizzazione di almeno quattro centrali nucleari di terza generazione (la prima operativa – dicono - nel 2020) nel territorio italiano, gettando le basi per “un’ampia collaborazione” tra i due Paesi in tutti i settori della filiera – dalla ricerca allo stoccaggio delle scorie -.

Definitosi soddisfatto per il “risultato concreto” ottenuto e per la disponibilità francese a facilitare l’Italia con il proprio “know how” (dietro cui si cela - ovviamente - l’interesse di Sarkozy a trovare un nuovo mercato per la sua industria nucleare in difficoltà, a causa della mancanza di ordini sufficienti a livello mondiale), il premier, ancora una volta, intende passare sopra non solo al referendum con cui gli italiani dissero di no al nucleare nell’87 (un plebiscito di voti, oltre l'80%), ma anche alla legge (a sua volta cuscinetto tra il verdetto del referendum e la volontà del Governo) che prevede la creazione di un’Agenzia per la Sicurezza Nucleare, attualmente ancora in discussione al Senato. Ma soprattutto, il capo del governo, insieme alla sua maggioranza, sembrano continuare ad ignorare la natura oggettivamente costosa dell’energia ottenuta per fissione (in termini di investimento economico, il cui esempio è la vicenda dell'EPR in Finlandia - ufficialmente in ritardo di 3 anni sui tempi di costruzione e costato almeno 2 miliardi di Euro in più di quanto preventivato – ma anche considerando lo smantellamento e la messa in sicurezza degli impianti, senza fermarsi alla sola fase iniziale), la pericolosità dell’ancora irrisolto problema delle scorie radioattive (l’Italia non è stata ancora capace di trovare un deposito per i rifiuti atomici del passato), la disponibilità limitata (non più di 50 anni) di uranio e, non ad ultimo, la – costosa - necessità di sicurezza degli impianti da possibili incidenti e da attacchi “terroristici”.

L’accordo, infine, sembra non tenere minimamente conto della tendenza mondiale (da Obama a gran parte dell’Europa) e degli studi internazionali riguardo al nucleare: considerato un passo indietro, una tecnologia obsoleta che non guarda al futuro e alla necessità di porre immediatamente (e quindi non con i decennali tempi richiesti dal nucleare) rimedio al riscaldamento globale, assicurando un futuro senza scorie e con una tecnologia non antiquata ma orientata alla sostenibilità e alla riduzione dei consumi. Ovvero alle fonti rinnovabili e ad una maggiore educazione al risparmio energetico (a cui il nucleare, apparentemente facile e abbondante, oppone la cultura del consumo e dell’insaziabile richiesta di energia).

Nel giorno in cui Italia e Francia firmano un accordo “storico” di assoluta regressione, mentale e tecnologica, nei confronti del futuro del nostro pianeta, su The Indipendent esce un’inchiesta che, forse, il premier e il capo dello stato francese, dovrebbero leggere con attenzione. Qui di sotto, tratto da ansa ambiente:

“Le centrali nucleari di nuova generazione - che la Gran Bretagna sta progettando di costruire e che sono già in fase di realizzazione in Francia e in Finlandia - sono più pericolose, in caso di incidente, di quelle vecchie che andrebbero a sostituire. A rivelarlo è un'inchiesta del quotidiano britannico 'The Independent', che ha ottenuto una serie di documenti interni all'industria del nucleare dai quali emerge che, sebbene i nuovi European Pressurised Reactors (Epr) siano meno esposti al rischio di guasti, nel caso si verificasse un incidente la fuoriuscita di radiazioni sarebbe molto maggiore e potrebbe fare anche il doppio delle vittime. Un rapporto redatto dalla società francese Edf rivela che l'emissione di isotopi radioattivi di bromo, rubidio, iodio e cesio sarebbe quattro volte maggiore rispetto alla fuoriuscita che si verificherebbe in un reattore tradizionale.

Un altro studio della società di smaltimento di scorie radioattive Posiva Oy sostiene invece che l'emissione dell'isotopo iodio 129 sarebbe addirittura sette volte maggiore.

Un terzo dossier, redatto dalla Swiss National Co-operative for the Disposal of Radioactive Waste conclude invece che la fuoriuscita di cesio 135 e cesio 137 sarebbe maggiore di 11 volte. A rendere i nuovi Epr più pericolosi in caso di incidente, spiega il giornale, è il fatto che sono stati progettati per bruciare il combustibile nucleare ad una velocità doppia rispetto a quelli attuali, modificando la natura stessa del carburante. Oltre alla Finlandia e alla Francia, dove due reattori di nuova generazione saranno realizzati in Normandia, ad essere interessate alla costruzione degli Epr sono la Gran Bretagna, dove quattro reattori verrebbero realizzati dalla Edf in Somerset e nel Suffolk e l'India, che ne vorrebbe costruire sei.”

Energia pulita e sicura? Certamente quella ottenuta da fonti rinnovabili, sostenibili anche per le generazioni future. Sempre meno, a quanto pare, l’energia “usa e getta” del nucleare.

Fonte:
Fare Verde

Presentazione a Matera del libro "Brigantesse"

Ricevo e posto:


Valentino Romano, dopo il successo ottenuto a Bari il 20 febbraio all'Hotel Park nel corso del convegno su Legge Pica e Leggi Razziali organizzato dalla Prof.ssa Musitano, sarà a Matera il 7 marzo alle ore 17.30
per la presentazione del libro "Brigantesse" presso la Biblioteca Provinciale su invito dell'Associazione Indipendente Donne Europee.
In allegato il depliant della manifestazione.
E' senza dubbio una forma intelligente di ricordare la partecipazione delle donne, senza mimose, accanto ai combattenti per la propria terra.

Un saluto
Francesco Laricchia
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Ricevo e posto:


Valentino Romano, dopo il successo ottenuto a Bari il 20 febbraio all'Hotel Park nel corso del convegno su Legge Pica e Leggi Razziali organizzato dalla Prof.ssa Musitano, sarà a Matera il 7 marzo alle ore 17.30
per la presentazione del libro "Brigantesse" presso la Biblioteca Provinciale su invito dell'Associazione Indipendente Donne Europee.
In allegato il depliant della manifestazione.
E' senza dubbio una forma intelligente di ricordare la partecipazione delle donne, senza mimose, accanto ai combattenti per la propria terra.

Un saluto
Francesco Laricchia

De Magistris a Firenze, prima parte



Intervento di Luigi De Magistris al Convegno "Giustizia e Informazione sotto assedio" organizzato da Liberacittadinanza a Firense il 14 febbraio 2009. In questa prima parte il magistrato analizza in particolare l'attacco alla Costituzione italiana portato avanti attraverso la legislazione ordinaria.
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Intervento di Luigi De Magistris al Convegno "Giustizia e Informazione sotto assedio" organizzato da Liberacittadinanza a Firense il 14 febbraio 2009. In questa prima parte il magistrato analizza in particolare l'attacco alla Costituzione italiana portato avanti attraverso la legislazione ordinaria.

giovedì 26 febbraio 2009

Sciopero virtuale....


Fonte:L'Unità
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Fonte:L'Unità

Grasso: con Ddl Provenzano ancora libero?


Ascolta l'audizione del procuratore nazionale antimafia Piero Grasso: Clicca!

A seguire il seguito dell'audizione del ministro della giustizia: Clicca!



ANSA: Roma. "Lo avremo preso Provenzano, lo storico capo latitante di Cosa Nostra, se avessimo avuto in vigore norme come quelle previste dall'attuale ddl sulle intercettazioni che appesantiscono moltissimo il ricorso alle riprese visive che ci hanno consentito, con telecamere piazzate in tutta Corleone, di arrivare al rifugio del boss?".

La domanda retorica viene dal Procuratore nazionale antimafia Piero Grasso al termine dell'audizione svoltasi oggi in Commissione Antimafia nell'ambito della quale "da tecnico" ha evidenziato molte criticità del ddl con il quale il governo vuole modificare il regime delle captazioni visive e ambientali.
"Nonostante i tanti passi in avanti fatti con le modifiche al ddl - ha detto Grasso - mi pare che ci siano problemi generali che continuano a rimanere".
Tra questi, con diretta incidenza sulle indagini di criminalità organizzata, c'é appunto quello della "perfetta equiparazione tra riprese visive e acquisizione dei tabulati: saranno utilizzabili le riprese, fatte con telecamere piazzate dalla polizia, dal momento che ora é richiesta una autorizzazione equipollente a quella per le intercettazioni?".
Secondo Grasso il ddl avrà una "refluenza sui reati di mafia e terrorismo".
"Già abbiamo molti problemi perché sempre più i clan comunicano con Skype e altri mezzi che non sono intercettabili - ha aggiunto il capo della procura antimafia - se poi ci limitano anche l'uso degli strumenti che abbiamo, come appunto le intercettazioni, allora diventa una contraddizione invocare la necessità di dare maggiore sicurezza ai cittadini e poi togliere agli inquirenti gli strumenti per la prevenzione dei reati. Vanno puniti gli eccessi nel ricorso alle intercettazioni, ma non si possono togliere le intercettazioni".

Fonte:
Antimafiaduemila
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Ascolta l'audizione del procuratore nazionale antimafia Piero Grasso: Clicca!

A seguire il seguito dell'audizione del ministro della giustizia: Clicca!



ANSA: Roma. "Lo avremo preso Provenzano, lo storico capo latitante di Cosa Nostra, se avessimo avuto in vigore norme come quelle previste dall'attuale ddl sulle intercettazioni che appesantiscono moltissimo il ricorso alle riprese visive che ci hanno consentito, con telecamere piazzate in tutta Corleone, di arrivare al rifugio del boss?".

La domanda retorica viene dal Procuratore nazionale antimafia Piero Grasso al termine dell'audizione svoltasi oggi in Commissione Antimafia nell'ambito della quale "da tecnico" ha evidenziato molte criticità del ddl con il quale il governo vuole modificare il regime delle captazioni visive e ambientali.
"Nonostante i tanti passi in avanti fatti con le modifiche al ddl - ha detto Grasso - mi pare che ci siano problemi generali che continuano a rimanere".
Tra questi, con diretta incidenza sulle indagini di criminalità organizzata, c'é appunto quello della "perfetta equiparazione tra riprese visive e acquisizione dei tabulati: saranno utilizzabili le riprese, fatte con telecamere piazzate dalla polizia, dal momento che ora é richiesta una autorizzazione equipollente a quella per le intercettazioni?".
Secondo Grasso il ddl avrà una "refluenza sui reati di mafia e terrorismo".
"Già abbiamo molti problemi perché sempre più i clan comunicano con Skype e altri mezzi che non sono intercettabili - ha aggiunto il capo della procura antimafia - se poi ci limitano anche l'uso degli strumenti che abbiamo, come appunto le intercettazioni, allora diventa una contraddizione invocare la necessità di dare maggiore sicurezza ai cittadini e poi togliere agli inquirenti gli strumenti per la prevenzione dei reati. Vanno puniti gli eccessi nel ricorso alle intercettazioni, ma non si possono togliere le intercettazioni".

Fonte:
Antimafiaduemila

Viva Zapata !


Di Claudio Albertani




A differenza di molti altri rivoluzionari del ventesimo secolo, Emiliano Zapata (1879-1919) non è stato un intellettuale nè un transfuga della classe dominante, ma un leader popolare di origine indigena.

Nato l'8 agosto del 1879 nel villaggio di Anenecuilco, frazione di Villa de Ayala, Stato di Morelos, Emiliano è il penultimo dei dieci figli di una delle tante famiglie impoverite dalle haciendas, le grandi aziende agricole divoratrici di terre che sono l'asse della modernizzazione promossa dal dittatore Porfirio Diaz.
Nel Morelos, terra di paradossi e di contraddizioni, si scontrano allora due civiltà: quella degli imprenditori capitalisti imbevuti di positivismo e quella degli indigeni legati alla terra e al villaggio (pueblo) che conservano uno spirito indomito e un forte senso della solidarietà.
Emiliano, che parla spagnolo e nahuatl, la lingua degli antichi messicani, riceve l'istruzione elementare fino a quando, rimasto orfano all'età di 16 anni, comincia a lavorare distinguendosi ben presto come buon agricoltore e gran conoscitore di cavalli. Dotato di una mente inquieta e di una natura indipendente, non tarda a conquistarsi una posizione di prestigio all'interno della comunità, diventandone al tempo stesso la sua memoria vivente. All'inizio del secolo, lo troviamo chino su antichi documenti coloniali che dimostrano la legittimità delle rivendicazioni del pueblo.

Negli stessi anni, conosce due personaggi che giocheranno un ruolo importante nella sua vita: Pablo Torres Burgos e Otilio Montano. Entrambi sono maestri di scuola, entrambi divoratori di letteratura incendiaria. Il primo gli mette a disposizione la propria biblioteca dove vi può leggere anche "Regeneracièn", la rivista clandestina dei fratelli Flores Magùn; il secondo lo introduce alla letteratura libertaria e in particolare all'opera di Kropotkin.

Il battesimo politico avviene nel febbraio 1909 quando, eletto sindaco di Anenecuilco, Zapata appoggia il candidato a governatore dell'opposizione, Patricio Leyva. La vittoria dell'aspirante ufficiale, Pablo Escandèn, provoca ad Anenecuilco dure rappresaglie e nuove perdite di terre. Verso la metà del 1910, dopo un'infruttuosa intervista con il presidente Diaz e vari tentativi di risolvere i problemi del pueblo per la via legale, Zapata e i suoi cominciano a occupare e a distribuire terre.

Nel frattempo, il 20 novembre 1910, un gruppo di liberali democratici ostili a Dìaz, capeggiato da Francisco Madero, fa appello alla resistenza contro la dittatura, promettendo fra l'altro la restituzione delle terre usurpate.
Nel Morelos i tempi sono maturi: passato un primo momento di esitazione, Zapata si lancia nella lotta armata.

Dopo la morte di Torres Burgos per mano dei federales, egli diventa il capo indiscusso della rivoluzione del sud. Appoggiato dai pueblos, riesce a tenere in scacco le truppe governative fino alla rinuncia del dittatore nel maggio del 1911. Il 7 giugno ha un deludente incontro con Madero il quale, venendo meno alle promesse, si mostra insensibile alle rivendicazioni contadine. L'inevitabile rottura si produce in novembre quando, ormai esasperato, Zapata riprende le armi, lanciando il Plan de Ayala dove si definisce Madero un traditore e si decreta la restituzione delle terre. La rivoluzione del sud ha ormai una bandiera: "sono disposto a lottare contro tutti e contro tutto" scrive Zapata a Gildardo Magana, suo futuro successore.

Ha inizio una guerra lunga e difficile, prima contro Madero, poi contro Huerta e infine contro Carranza. I soldati dell'Ejèrcito Libertador del Sur combattono in unità mobili di due o trecento uomini comandati da un ufficiale con il grado di "colonnello" o "generale". Applicando la tecnica della guerriglia, colpiscono i distaccamenti militari per poi abbandonare la carabina 30/30 e scomparire nel nulla. Invano, i federales mettono il Morelos a ferro e fuoco: gli zapatisti sono inafferrabili.

Verso la fine del 1913, grazie anche alle spettacolari vittorie di Villa al nord, l'antico regime traballa. Dopo la fuga di Huerta (15 luglio), nell'autunno 1914 si celebra ad Aguascalientes una Convenzione tra le differenti frazioni rivoluzionarie che però non riescono a trovare l'accordo.
Tra la costernazione dei presenti, il delegato zapatista, Antonio Dìaz Soto y Gama, strappa la bandiera nazionale proclamando la necessità di "farla finita con tutte le astrazioni che opprimono il popolo".

In dicembre, in seguito alla rottura con Carranza, che rappresenta la borghesia agraria del nord, le truppe contadine di Villa e Zapata entrano trionfanti a Città del Messico inalberando i vessilli della vergine della Guadalupe, patrona dei popoli indigeni. Gli abitanti della capitale hanno paura dell'Attila del Sud, però i rivoluzionari non commettono saccheggi nè atti di violenza.
In un gesto poi diventato famoso, Zapata rifiuta l'invito a sedere sulla poltrona presidenziale: "non combatto per questo. Combatto per le terre, perchè le restituiscano". E torna nel Morelos, territorio libero dopo la fuga dei proprietari terrieri e dei federales.

Nel 1915, prende forma quel grande esperimento di democrazia diretta che è stato chiamato la Comune di Morelos. Affiancati da una generazione di giovani intellettuali e studenti provenienti da Città del Messico, gli zapatisti distribuiscono terre e promulgano leggi per restituire il potere ai pueblos. Tuttavia il loro destino si gioca più a nord, nella regione del Bajìo, dove le strepitose vittorie di Obregòn su Villa capovolgono nuovamente la situazione.
A quel punto, la rivoluzione contadina entra in una fase di declino progressivo da cui, salvo per brevi momenti, non si riprenderà più. Quasi invincibile sul piano militare, Zapata è attirato in un'imboscata - lui, che aveva sempre temuto il tradimento - e assassinato il 10 aprile 1919, presso l'hacienda di Chinameca.
Non ha compiuto 40 anni.

La storia non finisce qui.
Ancora forti, gli zapatisti eleggono loro capo Gildardo Magana, giovane e abile intellettuale con doti di conciliatore. Questi continua la lotta fino al 1920, quando aderisce al Plan de Agua Prieta, lanciato contro Carranza da un gruppo di generali del Sonora. Ormai stremati, i guerriglieri del Morelos accettano di deporre le armi in cambio della promessa di una riforma agraria.
La pace è fatta: sorge così un regime che considera Zapata tra i propri fondatori accanto a coloro che lo hanno assassinato.
Tuttora i militari messicani - gli stessi che combattono i neozapatisti del Chiapas - venerano il caudillo del sur, il cui ritratto si può vedere in ogni caserma.
Quale può essere, oggi, il bilancio dello zapatismo?
Più volte, gli storici si sono chiesti se quella del Morelos sia stata un'autentica rivoluzione sociale. Alla domanda molti, sia marxisti che liberali, hanno risposto di no, etichettandola come una ribellione conservatrice, localista e perfino reazionaria. Tuttavia, è facile osservare che il movimento andava oltre la semplice rivendicazione delle terre.
Possedeva, ad esempio, una chiara concezione del potere e del governo.
Secondo il caudillo del sur, la nazione si doveva costruire a partire da un'organizzazione decentralizzata di pueblos liberamente federati, sovrani ed autonomi nelle decisioni politiche, amministrative e finanziarie.
Altro aspetto importante era la preminenza delle autorità civili su quelle militari, una concezione assai avanzata per il Messico di quel tempo.

Al contrario di quanto sostengono i suoi detrattori, Zapata comprese anche la necessità di non rimanere isolato. Per questo mandò rappresentanti all'estero (tra gli altri, Octavio Paz Solorzano, padre del poeta) e aprì le porte del Morelos a tutti coloro che erano disposti a unirsi alla sua lotta.
Nel 1913, chiamò anche Ricardo Flores Magòn, allora esiliato negli USA, il quale, per motivi mai del tutto chiariti, non potè accettare l'invito.

Combinazione contraddittoria di passato, presente e futuro, il movimento zapatista marca l'irruzione delle civiltà indigena nel Messico contemporaneo:
la sua sconfitta ha solo rimandato il problema. A fine secolo, Zapata cavalca di nuovo, rivendicando i diritti dei più piccoli.


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Di Claudio Albertani




A differenza di molti altri rivoluzionari del ventesimo secolo, Emiliano Zapata (1879-1919) non è stato un intellettuale nè un transfuga della classe dominante, ma un leader popolare di origine indigena.

Nato l'8 agosto del 1879 nel villaggio di Anenecuilco, frazione di Villa de Ayala, Stato di Morelos, Emiliano è il penultimo dei dieci figli di una delle tante famiglie impoverite dalle haciendas, le grandi aziende agricole divoratrici di terre che sono l'asse della modernizzazione promossa dal dittatore Porfirio Diaz.
Nel Morelos, terra di paradossi e di contraddizioni, si scontrano allora due civiltà: quella degli imprenditori capitalisti imbevuti di positivismo e quella degli indigeni legati alla terra e al villaggio (pueblo) che conservano uno spirito indomito e un forte senso della solidarietà.
Emiliano, che parla spagnolo e nahuatl, la lingua degli antichi messicani, riceve l'istruzione elementare fino a quando, rimasto orfano all'età di 16 anni, comincia a lavorare distinguendosi ben presto come buon agricoltore e gran conoscitore di cavalli. Dotato di una mente inquieta e di una natura indipendente, non tarda a conquistarsi una posizione di prestigio all'interno della comunità, diventandone al tempo stesso la sua memoria vivente. All'inizio del secolo, lo troviamo chino su antichi documenti coloniali che dimostrano la legittimità delle rivendicazioni del pueblo.

Negli stessi anni, conosce due personaggi che giocheranno un ruolo importante nella sua vita: Pablo Torres Burgos e Otilio Montano. Entrambi sono maestri di scuola, entrambi divoratori di letteratura incendiaria. Il primo gli mette a disposizione la propria biblioteca dove vi può leggere anche "Regeneracièn", la rivista clandestina dei fratelli Flores Magùn; il secondo lo introduce alla letteratura libertaria e in particolare all'opera di Kropotkin.

Il battesimo politico avviene nel febbraio 1909 quando, eletto sindaco di Anenecuilco, Zapata appoggia il candidato a governatore dell'opposizione, Patricio Leyva. La vittoria dell'aspirante ufficiale, Pablo Escandèn, provoca ad Anenecuilco dure rappresaglie e nuove perdite di terre. Verso la metà del 1910, dopo un'infruttuosa intervista con il presidente Diaz e vari tentativi di risolvere i problemi del pueblo per la via legale, Zapata e i suoi cominciano a occupare e a distribuire terre.

Nel frattempo, il 20 novembre 1910, un gruppo di liberali democratici ostili a Dìaz, capeggiato da Francisco Madero, fa appello alla resistenza contro la dittatura, promettendo fra l'altro la restituzione delle terre usurpate.
Nel Morelos i tempi sono maturi: passato un primo momento di esitazione, Zapata si lancia nella lotta armata.

Dopo la morte di Torres Burgos per mano dei federales, egli diventa il capo indiscusso della rivoluzione del sud. Appoggiato dai pueblos, riesce a tenere in scacco le truppe governative fino alla rinuncia del dittatore nel maggio del 1911. Il 7 giugno ha un deludente incontro con Madero il quale, venendo meno alle promesse, si mostra insensibile alle rivendicazioni contadine. L'inevitabile rottura si produce in novembre quando, ormai esasperato, Zapata riprende le armi, lanciando il Plan de Ayala dove si definisce Madero un traditore e si decreta la restituzione delle terre. La rivoluzione del sud ha ormai una bandiera: "sono disposto a lottare contro tutti e contro tutto" scrive Zapata a Gildardo Magana, suo futuro successore.

Ha inizio una guerra lunga e difficile, prima contro Madero, poi contro Huerta e infine contro Carranza. I soldati dell'Ejèrcito Libertador del Sur combattono in unità mobili di due o trecento uomini comandati da un ufficiale con il grado di "colonnello" o "generale". Applicando la tecnica della guerriglia, colpiscono i distaccamenti militari per poi abbandonare la carabina 30/30 e scomparire nel nulla. Invano, i federales mettono il Morelos a ferro e fuoco: gli zapatisti sono inafferrabili.

Verso la fine del 1913, grazie anche alle spettacolari vittorie di Villa al nord, l'antico regime traballa. Dopo la fuga di Huerta (15 luglio), nell'autunno 1914 si celebra ad Aguascalientes una Convenzione tra le differenti frazioni rivoluzionarie che però non riescono a trovare l'accordo.
Tra la costernazione dei presenti, il delegato zapatista, Antonio Dìaz Soto y Gama, strappa la bandiera nazionale proclamando la necessità di "farla finita con tutte le astrazioni che opprimono il popolo".

In dicembre, in seguito alla rottura con Carranza, che rappresenta la borghesia agraria del nord, le truppe contadine di Villa e Zapata entrano trionfanti a Città del Messico inalberando i vessilli della vergine della Guadalupe, patrona dei popoli indigeni. Gli abitanti della capitale hanno paura dell'Attila del Sud, però i rivoluzionari non commettono saccheggi nè atti di violenza.
In un gesto poi diventato famoso, Zapata rifiuta l'invito a sedere sulla poltrona presidenziale: "non combatto per questo. Combatto per le terre, perchè le restituiscano". E torna nel Morelos, territorio libero dopo la fuga dei proprietari terrieri e dei federales.

Nel 1915, prende forma quel grande esperimento di democrazia diretta che è stato chiamato la Comune di Morelos. Affiancati da una generazione di giovani intellettuali e studenti provenienti da Città del Messico, gli zapatisti distribuiscono terre e promulgano leggi per restituire il potere ai pueblos. Tuttavia il loro destino si gioca più a nord, nella regione del Bajìo, dove le strepitose vittorie di Obregòn su Villa capovolgono nuovamente la situazione.
A quel punto, la rivoluzione contadina entra in una fase di declino progressivo da cui, salvo per brevi momenti, non si riprenderà più. Quasi invincibile sul piano militare, Zapata è attirato in un'imboscata - lui, che aveva sempre temuto il tradimento - e assassinato il 10 aprile 1919, presso l'hacienda di Chinameca.
Non ha compiuto 40 anni.

La storia non finisce qui.
Ancora forti, gli zapatisti eleggono loro capo Gildardo Magana, giovane e abile intellettuale con doti di conciliatore. Questi continua la lotta fino al 1920, quando aderisce al Plan de Agua Prieta, lanciato contro Carranza da un gruppo di generali del Sonora. Ormai stremati, i guerriglieri del Morelos accettano di deporre le armi in cambio della promessa di una riforma agraria.
La pace è fatta: sorge così un regime che considera Zapata tra i propri fondatori accanto a coloro che lo hanno assassinato.
Tuttora i militari messicani - gli stessi che combattono i neozapatisti del Chiapas - venerano il caudillo del sur, il cui ritratto si può vedere in ogni caserma.
Quale può essere, oggi, il bilancio dello zapatismo?
Più volte, gli storici si sono chiesti se quella del Morelos sia stata un'autentica rivoluzione sociale. Alla domanda molti, sia marxisti che liberali, hanno risposto di no, etichettandola come una ribellione conservatrice, localista e perfino reazionaria. Tuttavia, è facile osservare che il movimento andava oltre la semplice rivendicazione delle terre.
Possedeva, ad esempio, una chiara concezione del potere e del governo.
Secondo il caudillo del sur, la nazione si doveva costruire a partire da un'organizzazione decentralizzata di pueblos liberamente federati, sovrani ed autonomi nelle decisioni politiche, amministrative e finanziarie.
Altro aspetto importante era la preminenza delle autorità civili su quelle militari, una concezione assai avanzata per il Messico di quel tempo.

Al contrario di quanto sostengono i suoi detrattori, Zapata comprese anche la necessità di non rimanere isolato. Per questo mandò rappresentanti all'estero (tra gli altri, Octavio Paz Solorzano, padre del poeta) e aprì le porte del Morelos a tutti coloro che erano disposti a unirsi alla sua lotta.
Nel 1913, chiamò anche Ricardo Flores Magòn, allora esiliato negli USA, il quale, per motivi mai del tutto chiariti, non potè accettare l'invito.

Combinazione contraddittoria di passato, presente e futuro, il movimento zapatista marca l'irruzione delle civiltà indigena nel Messico contemporaneo:
la sua sconfitta ha solo rimandato il problema. A fine secolo, Zapata cavalca di nuovo, rivendicando i diritti dei più piccoli.


Poli Bortone: Movimento per il Sud, ecco le prime nomine - Il partito del Sud saluta il Movimento del Sud, speriamo di crescere assieme


Lecce (salento) - Subito dopo l’assemblea di AN, svoltasi sotto la guida del Commissario Regionale Francesco Amoroso, Adriana Poli Bortone incontra i giornalisti per annunciare a Lecce il neonato movimento “SUD”. Una conferenza per spiegare che ad appena 10 giorni dalla nascita “Sud” sta riscontrando larghissimo interesse.
E proprio in tema di interesse Adriana ha sottolineato: “La gente non ci chiede con chi intendiamo stare, la gente ci chiede che cosa intendiamo fare, che è un fatto molto più concreto in termini di obiettivo.” Con “chi” invece “Sud” vorrà stare lo si vedrà in un secondo momento e sarà dettato dagli obiettivi e dalle convergenze che si troveranno sugli obiettivi concreti.
Il movimento del sud rivendica una propria autonomia forte di pensiero e di azione e proprio con questa autonomia potrà crescere sempre di più perché sempre di più si potranno ritrovare le diverse anime che convergono su un tema: l’obiettivo di far rinascere realmente il mezzogiorno d’Italia attraverso le sue capacità auto propulsive. Adriana Poli Bortone ritiene che il movimento sud possa avere degli spazi politici larghi e talmente tanti che il movimento sta riscuotendo apprezzamenti pur non avendo fatto nessuna campagna pubblicitaria ma soltanto una presentazione a livello regionale a Bari ed attivato un portale web che nella sola serata di ieri ha registrato 370 iscritti.

L’interesse verso il “Sud” è tanto grande che varca i confini regionali tant’è che ci sono stati già incontri nella provincia di Matera e che nei prossimi giorni sono previsti altri incontri in Calabria con associazioni che hanno lo stesso spirito meridionalista e con cui il movimento della Poli si confronterà. Contatti si sono avuti anche dalla Campania e dalla Sicilia.
“Il movimento per il Sud – ha commentato il sen. Poli – è una pietra nello stagno che è stata lanciata e che sta riscuotendo notevolissimo successo. Tutto questo ci conforta nel fatto che vogliamo sottolineare la nostra autonomia nella formazione del movimento stesso. Un’autonomia che non vuole essere la presunzione di ritenere che da soli si possa andare avanti fino in fondo per conseguire poi dei risultati politici ma non partitici sul territorio, ma ci conforta nel fatto che proprio il movimento da una forte agibilità politica perché nell’ambito del movimento, una volta che sono individuati degli obiettivi territoriali, su quelli obiettivi ci si può facilmente ritrovare con altri che hanno avuto delle altre esperienze di parte e che tuttavia avvertono anche loro così come stiamo avvertendo noi l’esigenza di trovare degli spazi più ampi, di maggiore democrazia interna e di maggiore agibilità politica.”

Il movimento per il sud sta lavorando e si sta strutturando sul territorio ed a questo proposito Adriana Poli Bortone ha presentato un primo organigramma del nuovo movimento: Nicola Frugis insieme ad altri darà l’organizzazione territoriale per Brindisi, Antonio Lia sindaco di Specchia per il sud salento, Angelo Tondo responsabile provinciale per Lecce, Fausto Giancane responsabile per la Città di Lecce, per quanto riguarda Taranto, questa mattina è stato nominato responsabile provinciale il dr. Savino Torraco.
Ed a proposito di adesioni il senatore Poli Bortone ha ribadito “non è che aderiscono gli scontenti di qualche cosa, ma nel movimento ci sono anche tanti i quali si erano completamente allontanati dalla politica. Perché noi qui, nel meridione, abbiamo tutta quell’aria del malessere che è l’aria del malessere interna ai partiti che si stanno in qualche modo costruendo, perchè non possiamo parlare di partiti tradizionali in quanto stiamo assistendo ad una composizione e già ad una scomposizione dei partiti.”
Esplicito il riferimento di Adriana all’area del centrosinistra che si è composta nel tempo e si sta scomponendo in questo periodo.

“Il nostro movimento - ha concluso la fondatrice del movimento per il sud – trova consenso in quelle persone che fanno parte dell’’area dei malesseri’, del malessere personale e collettivo, di coloro che appartenevano ad una parte politica e non si riconoscono più in quella parte perché quella parte sta facendo dei percorsi che non sono dei percorsi condivisi o condivisibili. Ma anche l’area di tutti quanti coloro che si sono sentiti espropriati della preferenza, espropriati del voto, espropriati della loro capacità di poter individuare la persona che secondo loro li potesse al meglio rappresentare sul territorio.”


Fonte:Il Paese Nuovo
Mercoledì 25 Febbraio 2009
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Lecce (salento) - Subito dopo l’assemblea di AN, svoltasi sotto la guida del Commissario Regionale Francesco Amoroso, Adriana Poli Bortone incontra i giornalisti per annunciare a Lecce il neonato movimento “SUD”. Una conferenza per spiegare che ad appena 10 giorni dalla nascita “Sud” sta riscontrando larghissimo interesse.
E proprio in tema di interesse Adriana ha sottolineato: “La gente non ci chiede con chi intendiamo stare, la gente ci chiede che cosa intendiamo fare, che è un fatto molto più concreto in termini di obiettivo.” Con “chi” invece “Sud” vorrà stare lo si vedrà in un secondo momento e sarà dettato dagli obiettivi e dalle convergenze che si troveranno sugli obiettivi concreti.
Il movimento del sud rivendica una propria autonomia forte di pensiero e di azione e proprio con questa autonomia potrà crescere sempre di più perché sempre di più si potranno ritrovare le diverse anime che convergono su un tema: l’obiettivo di far rinascere realmente il mezzogiorno d’Italia attraverso le sue capacità auto propulsive. Adriana Poli Bortone ritiene che il movimento sud possa avere degli spazi politici larghi e talmente tanti che il movimento sta riscuotendo apprezzamenti pur non avendo fatto nessuna campagna pubblicitaria ma soltanto una presentazione a livello regionale a Bari ed attivato un portale web che nella sola serata di ieri ha registrato 370 iscritti.

L’interesse verso il “Sud” è tanto grande che varca i confini regionali tant’è che ci sono stati già incontri nella provincia di Matera e che nei prossimi giorni sono previsti altri incontri in Calabria con associazioni che hanno lo stesso spirito meridionalista e con cui il movimento della Poli si confronterà. Contatti si sono avuti anche dalla Campania e dalla Sicilia.
“Il movimento per il Sud – ha commentato il sen. Poli – è una pietra nello stagno che è stata lanciata e che sta riscuotendo notevolissimo successo. Tutto questo ci conforta nel fatto che vogliamo sottolineare la nostra autonomia nella formazione del movimento stesso. Un’autonomia che non vuole essere la presunzione di ritenere che da soli si possa andare avanti fino in fondo per conseguire poi dei risultati politici ma non partitici sul territorio, ma ci conforta nel fatto che proprio il movimento da una forte agibilità politica perché nell’ambito del movimento, una volta che sono individuati degli obiettivi territoriali, su quelli obiettivi ci si può facilmente ritrovare con altri che hanno avuto delle altre esperienze di parte e che tuttavia avvertono anche loro così come stiamo avvertendo noi l’esigenza di trovare degli spazi più ampi, di maggiore democrazia interna e di maggiore agibilità politica.”

Il movimento per il sud sta lavorando e si sta strutturando sul territorio ed a questo proposito Adriana Poli Bortone ha presentato un primo organigramma del nuovo movimento: Nicola Frugis insieme ad altri darà l’organizzazione territoriale per Brindisi, Antonio Lia sindaco di Specchia per il sud salento, Angelo Tondo responsabile provinciale per Lecce, Fausto Giancane responsabile per la Città di Lecce, per quanto riguarda Taranto, questa mattina è stato nominato responsabile provinciale il dr. Savino Torraco.
Ed a proposito di adesioni il senatore Poli Bortone ha ribadito “non è che aderiscono gli scontenti di qualche cosa, ma nel movimento ci sono anche tanti i quali si erano completamente allontanati dalla politica. Perché noi qui, nel meridione, abbiamo tutta quell’aria del malessere che è l’aria del malessere interna ai partiti che si stanno in qualche modo costruendo, perchè non possiamo parlare di partiti tradizionali in quanto stiamo assistendo ad una composizione e già ad una scomposizione dei partiti.”
Esplicito il riferimento di Adriana all’area del centrosinistra che si è composta nel tempo e si sta scomponendo in questo periodo.

“Il nostro movimento - ha concluso la fondatrice del movimento per il sud – trova consenso in quelle persone che fanno parte dell’’area dei malesseri’, del malessere personale e collettivo, di coloro che appartenevano ad una parte politica e non si riconoscono più in quella parte perché quella parte sta facendo dei percorsi che non sono dei percorsi condivisi o condivisibili. Ma anche l’area di tutti quanti coloro che si sono sentiti espropriati della preferenza, espropriati del voto, espropriati della loro capacità di poter individuare la persona che secondo loro li potesse al meglio rappresentare sul territorio.”


Fonte:Il Paese Nuovo
Mercoledì 25 Febbraio 2009

Storie di scorie




E' una storia italiana dolorosa, che coinvolge un'intera parte d'italia, tra Garigliano (vicino a Napoli) e Latina (nei pressi di Roma) e ci fa riflettere sui rischi del nucleare per il gravissimo problema delle scorie non ancora risolto. La popolazione sostiene che durante l'esondazione del fiume Garigliano e l'inondazione della centrale nucleare adiacente, magazzino allora di scorie radioattive, ci fosse stata un fuoriuscita e una contaminazione del territorio. Le autorità negano, medici e popolazione invece non riescono a spiegarsi l'incremento delle malattie tumorali. In Italia le scorie nucleari sono stoccate in modo molto provvisorio ed è impossibile trovare, per la conformazione geofisica del nostro paese, un sito sicuro per stoccare le scorie nucleari.
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E' una storia italiana dolorosa, che coinvolge un'intera parte d'italia, tra Garigliano (vicino a Napoli) e Latina (nei pressi di Roma) e ci fa riflettere sui rischi del nucleare per il gravissimo problema delle scorie non ancora risolto. La popolazione sostiene che durante l'esondazione del fiume Garigliano e l'inondazione della centrale nucleare adiacente, magazzino allora di scorie radioattive, ci fosse stata un fuoriuscita e una contaminazione del territorio. Le autorità negano, medici e popolazione invece non riescono a spiegarsi l'incremento delle malattie tumorali. In Italia le scorie nucleari sono stoccate in modo molto provvisorio ed è impossibile trovare, per la conformazione geofisica del nostro paese, un sito sicuro per stoccare le scorie nucleari.

Secco "No" del presidente Antoci al nucleare nel Ragusano


Il territorio ibleo risulterebbe tra gli 11 siti in Italia dove potrebbero essere costruite quattro centrali nucleari


Di Duccio Gennaro


Franco Antoci dice no al nucleare. Il presidente della provincia ha espresso il suo netto diniego all´ipotesi che sarebbe prevista nell’accordo Italia-Francia siglato dai due presidenti Berlusconi e Sarkozy, per la realizzazione di centrali nucleari in provincia di Ragusa o, comunque, nel Sud-Est siciliano.

"Circa una presunta installazione di una centrale nucleare (nella foto di repertorio) nel nostro territorio - dichiara Antoci - devo rilevare che la notizia non trova alcuna conferma ufficiale, almeno per quanto mi riguarda. Non sono a conoscenza di una decisione o di una intenzione in tal senso del governo nazionale. E ad ogni buon conto mi sento di esprimere, a nome della comunità iblea che rappresento, il mio secco e totale «no», perché una tale realizzazione sarebbe nettamente in contrasto con la specificità e la vocazione del nostro territorio fortemente improntato alla valorizzazione turistica e ad un’economia che si vanta di avere diverse eccellenze tra le produzioni tipiche locali.

La Sicilia - prosegue Antoci - con le sue centrali termoelettriche e la provincia di Ragusa in particolare con i suoi impianti di energia alternativa, riescono ad avere una piena autosufficienza energetica, pertanto, non hanno alcun bisogno di sopportare l’onere di una centrale nucleare. In termini di penalizzazione, il territorio ibleo ha già pagato in passato un costo altissimo al suo sviluppo, sopportando l’onere di ospitare la base missilistica di Comiso. Ora invece - cocnlude il presidente della provincia - chiediamo una maggiore attenzione per annullare il gap infrastrutturale che la penalizza fortemente lo sviluppo di un territorio splendido e dalle spiccate potenzialità".

Per quanto riguarda i sindaci dei 12 comuni iblei, finora si sono espressi sull´argomento solo il primo cittadino di Ragusa Nello Dipasquale e il suo omologo di Vittoria Giuseppe Nicosia. Mentre quest´ultimo è della stessa opinione del presidente della provincia, più possibilista si dichiara Dipasquale, anche se ancora è troppo presto per pronunciarsi in maniera definitiva.

Oltre a Trino Vercellese, Caorso, Montalto di Castro, Garigliano e Latina il dossier allo studio del ministro Scajola comprende quindi anche un’area individuata in Sicilia.

Secondo una fonte rilanciata dal quotidiano La Repubblica l’impianto siciliano potrebbe essere nella Sicilia sud orientale ed in particolare in provincia di Ragusa. La vicinanza del mare e di un porto, nel caso specifico Pozzallo, fanno pensare proprio al ragusano anche se l’alta concentrazione urbana e una viabilità precaria sono i fattori contro questa indicazione. Tra le altre aree possibili in Sicilia quella di Agrigento.

L’area siciliana tuttavia si fa escludere per il rischio sismico visto che la Sicilia sud orientale e quella occidentale sono classificate nella mappa nazionale come zone rosse. Il governo da parte sua pensa ad incentivi per fare accettare alle comunità locali i nuovi impianti; l’ipotesi più probabile tuttavia, come riferiscono fonti ministeriali, è quella di rilanciare intanto i quattro siti dove sono state già costruite le centrali nucleari ora dismesse.
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Il territorio ibleo risulterebbe tra gli 11 siti in Italia dove potrebbero essere costruite quattro centrali nucleari


Di Duccio Gennaro


Franco Antoci dice no al nucleare. Il presidente della provincia ha espresso il suo netto diniego all´ipotesi che sarebbe prevista nell’accordo Italia-Francia siglato dai due presidenti Berlusconi e Sarkozy, per la realizzazione di centrali nucleari in provincia di Ragusa o, comunque, nel Sud-Est siciliano.

"Circa una presunta installazione di una centrale nucleare (nella foto di repertorio) nel nostro territorio - dichiara Antoci - devo rilevare che la notizia non trova alcuna conferma ufficiale, almeno per quanto mi riguarda. Non sono a conoscenza di una decisione o di una intenzione in tal senso del governo nazionale. E ad ogni buon conto mi sento di esprimere, a nome della comunità iblea che rappresento, il mio secco e totale «no», perché una tale realizzazione sarebbe nettamente in contrasto con la specificità e la vocazione del nostro territorio fortemente improntato alla valorizzazione turistica e ad un’economia che si vanta di avere diverse eccellenze tra le produzioni tipiche locali.

La Sicilia - prosegue Antoci - con le sue centrali termoelettriche e la provincia di Ragusa in particolare con i suoi impianti di energia alternativa, riescono ad avere una piena autosufficienza energetica, pertanto, non hanno alcun bisogno di sopportare l’onere di una centrale nucleare. In termini di penalizzazione, il territorio ibleo ha già pagato in passato un costo altissimo al suo sviluppo, sopportando l’onere di ospitare la base missilistica di Comiso. Ora invece - cocnlude il presidente della provincia - chiediamo una maggiore attenzione per annullare il gap infrastrutturale che la penalizza fortemente lo sviluppo di un territorio splendido e dalle spiccate potenzialità".

Per quanto riguarda i sindaci dei 12 comuni iblei, finora si sono espressi sull´argomento solo il primo cittadino di Ragusa Nello Dipasquale e il suo omologo di Vittoria Giuseppe Nicosia. Mentre quest´ultimo è della stessa opinione del presidente della provincia, più possibilista si dichiara Dipasquale, anche se ancora è troppo presto per pronunciarsi in maniera definitiva.

Oltre a Trino Vercellese, Caorso, Montalto di Castro, Garigliano e Latina il dossier allo studio del ministro Scajola comprende quindi anche un’area individuata in Sicilia.

Secondo una fonte rilanciata dal quotidiano La Repubblica l’impianto siciliano potrebbe essere nella Sicilia sud orientale ed in particolare in provincia di Ragusa. La vicinanza del mare e di un porto, nel caso specifico Pozzallo, fanno pensare proprio al ragusano anche se l’alta concentrazione urbana e una viabilità precaria sono i fattori contro questa indicazione. Tra le altre aree possibili in Sicilia quella di Agrigento.

L’area siciliana tuttavia si fa escludere per il rischio sismico visto che la Sicilia sud orientale e quella occidentale sono classificate nella mappa nazionale come zone rosse. Il governo da parte sua pensa ad incentivi per fare accettare alle comunità locali i nuovi impianti; l’ipotesi più probabile tuttavia, come riferiscono fonti ministeriali, è quella di rilanciare intanto i quattro siti dove sono state già costruite le centrali nucleari ora dismesse.

Lotta alla Mafia:6 milioni dalla Ragione Lazio per riconvertire e riattare beni immobili confiscati



I Casali della Borgata Finocchio confiscati al boss Enrico Nicoletti trasformati in biblioteca e centro culturale, un immobile di 1.600 mq (VI Municipio) che ospiterà un centro per i senza tetto, un edificio (a Gaeta) che diventerà un centro per anziani, una villa a Pantanelle (Ciampino) che sarà trasformata in una casa famiglia per ex prostitute, un casale a Valmontone che diventerà uno sportello comunale per la sicurezza. Sono solo alcuni degli immobili confiscati alla mafia che la Regione ha deciso di riconvertire in strutture dedicate al sociale e alla cultura. Per un totale di 329 immobili presenti in 37 Comuni del Lazio.

L’impegno della Regione Lazio per il riutilizzo a fini sociali di questi beni è concreto: 6 milioni di euro nel triennio 2009-2011, a cui si aggiungeranno 300.000 euro l’anno destinati a iniziative per la legalità, da tenersi proprio in queste strutture. Non solo. Nella giunta regionale, che si terrà venerdì prossimo, sarà approvato un protocollo d’intesa tra la Regione Lazio e l’ufficio del Commissario straordinario di governo per la gestione e la destinazione dei beni confiscati alle organizzazioni criminali. Obiettivo: stabilire un costante flusso di informazione sulle confische e un coordinamento istituzionale per semplificare tutto il processo di assegnazione dei beni. Le iniziative sono state presentate a Roma nel corso della ‘Prima Giornata Regionale per la Fruizione dei Beni confiscati’ dal presidente della Regione Lazio, Piero Marrazzo e dall’assessore regionale alla Sicurezza, Daniele Fichera. All’evento hanno partecipato, tra gli altri, anche il Presidente dell’associazione Libera, Don Luigi Ciotti, il Commissario straordinario di governo per la gestione e la destinazione dei beni confiscati alle organizzazioni criminali, Antonio Maruccia, il Prefetto di Roma, Giuseppe Pecoraro.

“Sulla lotta alla criminalità organizzata – ha detto Marrazzo – c’è bisogno di una forte coesione. Non tutti in questa regione avevano consapevolezza della pervasività della criminalità: con l’Osservatorio regionale sulla sicurezza e legalità abbiamo finalmente collocato il fenomeno nella sua giusta dimensione”. “Nel prossimo anno – ha annunciato Marrazzo – la regione Lazio proseguirà con queste attività e lo faremo in tutti i settori della sicurezza, dalla microcriminalità alla delinquenza da emarginazione sociale. Perché bisogna dire che la criminalità più pericolosa che c’è è proprio quella organizzata”. Il Governatore ha ricordato che il Lazio “è la seconda regione a firmare un protocollo d’intesa con l’Ufficio di governo per i beni confiscati. Ora è venuto il tempo di fare nomi e cognomi delle mafie. E’ evidente che non siamo a Reggio Calabria o in Campania, ma loro, i criminali, ci sono e per questo , più che nel passato , non daremo tregua alla criminalità. E a noi, più delle ronde, interessano le volanti”. Marrazzo ha poi avvertito: “ Sta arrivando una crisi economica senza precedenti e dove c’è una crisi economica, la criminalità arriva come uno sciacallo a disarticolare la società”.

L’assessore Fichera ha ricordato che nel Lazio operano “70 cosche e che dei 329 immobili confiscati in regione, 223 sono stati già assegnati”. “I progetti di ristrutturazione di beni presentati sono 13: 8 dai Comuni e 5 dalle associazioni e nel 2008 sono stati investiti 1,3 milioni di euro”. “Il valore di questo intervento – ha detto - va al di là del suo pur importante effetto pratico. E’ il segno simbolico della contrapposizione delle istituzioni e della società civile alla cultura e al modo di essere e agire della criminalità organizzata”.

“I cittadini – ha spiegato il Prefetto Pecoraro – avvertono e denunciano di più la microcriminalità, mentre la criminalità organizzata si muove in modo sotterraneo ed è più difficile da cogliere”. “Per combattere la mafia –ha commentato- non basta solo arrestare Brusca o Nicoletti, ma bisogna colpire il patrimonio delle mafie per non dare ulteriore linfa a chi vive coi guadagni illeciti”.

Sulla necessità di semplificare le procedure di assegnazione, ha insistito anche Don Luigi Ciotti di ‘Libera’.

“Molti beni confiscati – ha detto – sono sotto blocco per via di ipoteche bancarie. Bisognerebbe – ha auspicato – che le banche dessero un segno forte di legalità, risolvendo queste situazioni”.”Questi beni – ha aggiunto Don Ciotti – sono davvero ‘cosa nostra’ e vengono da signori che li hanno ottenuti con il sangue e la violenza. Oggi restituirli ai cittadini, non solo con la formalità, ma con l’utilizzazione effettiva, è una delle cose più belle che possa accadere”.

Fonte:
ReteSud
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I Casali della Borgata Finocchio confiscati al boss Enrico Nicoletti trasformati in biblioteca e centro culturale, un immobile di 1.600 mq (VI Municipio) che ospiterà un centro per i senza tetto, un edificio (a Gaeta) che diventerà un centro per anziani, una villa a Pantanelle (Ciampino) che sarà trasformata in una casa famiglia per ex prostitute, un casale a Valmontone che diventerà uno sportello comunale per la sicurezza. Sono solo alcuni degli immobili confiscati alla mafia che la Regione ha deciso di riconvertire in strutture dedicate al sociale e alla cultura. Per un totale di 329 immobili presenti in 37 Comuni del Lazio.

L’impegno della Regione Lazio per il riutilizzo a fini sociali di questi beni è concreto: 6 milioni di euro nel triennio 2009-2011, a cui si aggiungeranno 300.000 euro l’anno destinati a iniziative per la legalità, da tenersi proprio in queste strutture. Non solo. Nella giunta regionale, che si terrà venerdì prossimo, sarà approvato un protocollo d’intesa tra la Regione Lazio e l’ufficio del Commissario straordinario di governo per la gestione e la destinazione dei beni confiscati alle organizzazioni criminali. Obiettivo: stabilire un costante flusso di informazione sulle confische e un coordinamento istituzionale per semplificare tutto il processo di assegnazione dei beni. Le iniziative sono state presentate a Roma nel corso della ‘Prima Giornata Regionale per la Fruizione dei Beni confiscati’ dal presidente della Regione Lazio, Piero Marrazzo e dall’assessore regionale alla Sicurezza, Daniele Fichera. All’evento hanno partecipato, tra gli altri, anche il Presidente dell’associazione Libera, Don Luigi Ciotti, il Commissario straordinario di governo per la gestione e la destinazione dei beni confiscati alle organizzazioni criminali, Antonio Maruccia, il Prefetto di Roma, Giuseppe Pecoraro.

“Sulla lotta alla criminalità organizzata – ha detto Marrazzo – c’è bisogno di una forte coesione. Non tutti in questa regione avevano consapevolezza della pervasività della criminalità: con l’Osservatorio regionale sulla sicurezza e legalità abbiamo finalmente collocato il fenomeno nella sua giusta dimensione”. “Nel prossimo anno – ha annunciato Marrazzo – la regione Lazio proseguirà con queste attività e lo faremo in tutti i settori della sicurezza, dalla microcriminalità alla delinquenza da emarginazione sociale. Perché bisogna dire che la criminalità più pericolosa che c’è è proprio quella organizzata”. Il Governatore ha ricordato che il Lazio “è la seconda regione a firmare un protocollo d’intesa con l’Ufficio di governo per i beni confiscati. Ora è venuto il tempo di fare nomi e cognomi delle mafie. E’ evidente che non siamo a Reggio Calabria o in Campania, ma loro, i criminali, ci sono e per questo , più che nel passato , non daremo tregua alla criminalità. E a noi, più delle ronde, interessano le volanti”. Marrazzo ha poi avvertito: “ Sta arrivando una crisi economica senza precedenti e dove c’è una crisi economica, la criminalità arriva come uno sciacallo a disarticolare la società”.

L’assessore Fichera ha ricordato che nel Lazio operano “70 cosche e che dei 329 immobili confiscati in regione, 223 sono stati già assegnati”. “I progetti di ristrutturazione di beni presentati sono 13: 8 dai Comuni e 5 dalle associazioni e nel 2008 sono stati investiti 1,3 milioni di euro”. “Il valore di questo intervento – ha detto - va al di là del suo pur importante effetto pratico. E’ il segno simbolico della contrapposizione delle istituzioni e della società civile alla cultura e al modo di essere e agire della criminalità organizzata”.

“I cittadini – ha spiegato il Prefetto Pecoraro – avvertono e denunciano di più la microcriminalità, mentre la criminalità organizzata si muove in modo sotterraneo ed è più difficile da cogliere”. “Per combattere la mafia –ha commentato- non basta solo arrestare Brusca o Nicoletti, ma bisogna colpire il patrimonio delle mafie per non dare ulteriore linfa a chi vive coi guadagni illeciti”.

Sulla necessità di semplificare le procedure di assegnazione, ha insistito anche Don Luigi Ciotti di ‘Libera’.

“Molti beni confiscati – ha detto – sono sotto blocco per via di ipoteche bancarie. Bisognerebbe – ha auspicato – che le banche dessero un segno forte di legalità, risolvendo queste situazioni”.”Questi beni – ha aggiunto Don Ciotti – sono davvero ‘cosa nostra’ e vengono da signori che li hanno ottenuti con il sangue e la violenza. Oggi restituirli ai cittadini, non solo con la formalità, ma con l’utilizzazione effettiva, è una delle cose più belle che possa accadere”.

Fonte:
ReteSud

Cellulari e pop corn


Il video mostra l'effetto delle onde radio dei telefonini....pensate che succede ad averlo in tasca!

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mercoledì 25 febbraio 2009

Rifiuti, scontro Bertolaso-Procura - I magistrati negano il dissequestro delle balle rimaste in alcuni siti


Di Conchita Sannino


Per il pool del procuratore De Chiara quel materiale non va gestito come discarica ma deve essere rimosso È ancora braccio di ferro tra il pool reati ambientali della Procura di Napoli e lo staff del sottosegretario ai rifiuti Guido Bertolaso, finito sotto inchiesta da parte degli stessi magistrati.


L´ultimo schiaffo arriva poche ore fa. Gli esperti incaricati dal capo della Protezione civile chiedevano al Tribunale di Napoli - dinanzi al quale è in corso il processo contro Bassolino, vertici Fibe e altri 25 imputati - un temporaneo dissequestro delle balle fuorilegge rimaste sotto sigilli in alcuni siti, da Villa Literno a Caivano, da Ponte Riccio di Giugliano a Marcianise.

I motivi? Nella richiesta inoltrata dai rispettivi "commissari ad acta", cioè gli ufficiali dell´esercito posti da Bertolaso alla guida degli Stir (stabilimenti di tritovagliatura e imballaggio dei rifiuti) si paventano «rischi sanitari» per balle e percolato abbandonati da anni; si promettono «strategie di intervento» e «messa in sicurezza», così «come prescritto da Ministero dell´Ambiente e sub commissario alle bonifiche».

Ma il parere espresso, di diritto, dalla Procura è netto e tranciante contro la richiesta dei collaboratori di Bertolaso.

Tale domanda, replica la Procura, è irricevibile. Quella roba, rispondono in sintesi i magistrati, non va «gestita come discarica, non va "messa in sicurezza", ma rimossa».

E soprattutto: responsabilità e costi di tali operazioni sono oneri che devono ricadere su Fibe, non sullo Stato.

I magistrati Giuseppe Noviello e Paolo Sirleo, della sezione coordinata dal procuratore aggiunto Aldo De Chiara, non si limitano dunque a dire no.

Ma analizzano duramente una tale iniziativa, censurandola.

Scrivono: «Si propone di sperperare denaro pubblico in sostituzione di privati», ovvero della affidataria di quegli impianti, il gruppo Fibe, tuttora sotto processo. Gli stessi pm evocano, nero su bianco, «un contesto a dir poco volutamente ambiguo e grigio».

In cui si adombra l´ipotesi di voler favorire, più o meno consapevolmente, l´«ati affidataria», ovvero Fibe, «nel compiere un´attività eventualmente spettante solo ad essa». Non serve, a quanto pare, che in calce alla richiesta di dissequestro avanzata dallo staff Bertolaso si precisi che «gli interventi tesi ad evitare pregiudizi all´ambiente e rischi di carattere sanitario» saranno seguiti «da iniziative di carattere recuperatorio a carico delle società ex affidatarie».


La guerra dei rifiuti continua.

E diventa ormai guerra di nervi: tra un "pezzo" di Procura e lo staff del sottosegretario. Un nuovo round che scandisce la vigilia di una decisione importante: cioè l´attesa valutazione che il procuratore capo Giandomenico Lepore, con il pm Maurizio De Marco, dovranno compiere sulla posizione degli indagati eccellenti come il sottosegretario Bertolaso, il prefetto Pansa, l´ex commissario Corrado Catenacci, prima di chiedere per loro il rinvio a giudizio o l´archiviazione. I loro nomi sono infatti finiti in uno stralcio dell´inchiesta "Rompiballe", che ha già provocato uno strappo in Procura, finendo anche dinanzi al Consiglio giudiziario e al Csm.

Fonte:L'Espresso del 24 febbraio 2009
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Di Conchita Sannino


Per il pool del procuratore De Chiara quel materiale non va gestito come discarica ma deve essere rimosso È ancora braccio di ferro tra il pool reati ambientali della Procura di Napoli e lo staff del sottosegretario ai rifiuti Guido Bertolaso, finito sotto inchiesta da parte degli stessi magistrati.


L´ultimo schiaffo arriva poche ore fa. Gli esperti incaricati dal capo della Protezione civile chiedevano al Tribunale di Napoli - dinanzi al quale è in corso il processo contro Bassolino, vertici Fibe e altri 25 imputati - un temporaneo dissequestro delle balle fuorilegge rimaste sotto sigilli in alcuni siti, da Villa Literno a Caivano, da Ponte Riccio di Giugliano a Marcianise.

I motivi? Nella richiesta inoltrata dai rispettivi "commissari ad acta", cioè gli ufficiali dell´esercito posti da Bertolaso alla guida degli Stir (stabilimenti di tritovagliatura e imballaggio dei rifiuti) si paventano «rischi sanitari» per balle e percolato abbandonati da anni; si promettono «strategie di intervento» e «messa in sicurezza», così «come prescritto da Ministero dell´Ambiente e sub commissario alle bonifiche».

Ma il parere espresso, di diritto, dalla Procura è netto e tranciante contro la richiesta dei collaboratori di Bertolaso.

Tale domanda, replica la Procura, è irricevibile. Quella roba, rispondono in sintesi i magistrati, non va «gestita come discarica, non va "messa in sicurezza", ma rimossa».

E soprattutto: responsabilità e costi di tali operazioni sono oneri che devono ricadere su Fibe, non sullo Stato.

I magistrati Giuseppe Noviello e Paolo Sirleo, della sezione coordinata dal procuratore aggiunto Aldo De Chiara, non si limitano dunque a dire no.

Ma analizzano duramente una tale iniziativa, censurandola.

Scrivono: «Si propone di sperperare denaro pubblico in sostituzione di privati», ovvero della affidataria di quegli impianti, il gruppo Fibe, tuttora sotto processo. Gli stessi pm evocano, nero su bianco, «un contesto a dir poco volutamente ambiguo e grigio».

In cui si adombra l´ipotesi di voler favorire, più o meno consapevolmente, l´«ati affidataria», ovvero Fibe, «nel compiere un´attività eventualmente spettante solo ad essa». Non serve, a quanto pare, che in calce alla richiesta di dissequestro avanzata dallo staff Bertolaso si precisi che «gli interventi tesi ad evitare pregiudizi all´ambiente e rischi di carattere sanitario» saranno seguiti «da iniziative di carattere recuperatorio a carico delle società ex affidatarie».


La guerra dei rifiuti continua.

E diventa ormai guerra di nervi: tra un "pezzo" di Procura e lo staff del sottosegretario. Un nuovo round che scandisce la vigilia di una decisione importante: cioè l´attesa valutazione che il procuratore capo Giandomenico Lepore, con il pm Maurizio De Marco, dovranno compiere sulla posizione degli indagati eccellenti come il sottosegretario Bertolaso, il prefetto Pansa, l´ex commissario Corrado Catenacci, prima di chiedere per loro il rinvio a giudizio o l´archiviazione. I loro nomi sono infatti finiti in uno stralcio dell´inchiesta "Rompiballe", che ha già provocato uno strappo in Procura, finendo anche dinanzi al Consiglio giudiziario e al Csm.

Fonte:L'Espresso del 24 febbraio 2009

Radiomafiopoli 22a puntata : Pino Maniaci per fortuna non c'ha la camorra





TESTO PUNTATA:


Pino è un Don Quijote ma i mulini sono cambiati come cambiano i tempi: hanno facce, mani, testa, voce, ferro in tasca, soldi in borsa e avvocati.

Avvocati bravi, pagati bene. Il mulino che gli è rimasto più di traverso è la Distilleria Bertolino: una distilleria che inquina come vomito di Polifemo sopra Partinico.
Pino è come il calcare, ostinato fino ad indurirsi tanto da fargli male.

Di quelli che sorseggiano il gusto di "battersi" come all'inizio di un aperitivo che probabilmente finirà male. Pino appena fuori dal cancello della Bertolino, a fotografarlo dall'alto, è piccolo come un tombino.
Pino è un rubinetto rotto: lavora per erosione, ai fianchi e alle spalle con una televisione larga come un cesso ma che suona martellate di artigianato fino e continuo.
Pino è un immoderabile: nel dubbio getta l'amo ma sempre con la sua faccia in mano.
Pino è la zucca di Cenerentola: si veste sguincio da cerimonia ma non si appiattisce al diktat del valzer della moderocrazìa.
Pino è mezzo nei guai, per una condanna che aggiunta alle altre lo fa arrivare lungo. Ma nei guai ci nuota bene. Perché a mare ci buttiamo in tanti che, poco poco, organizziamo un quadrangolare di pallanuoto.
Perché a raccogliere palle in rete ci abbiamo fatto il callo, ma siamo forti nel contropiede.
Pino qualcuno vorrebbe farlo stare zitto. Coprirlo, magari con le ingiurie o magari con il cemento.
[CEMENTO dal libro di Sergio Nazzaro IO, PER FORTUNA C’HO LA CAMORRA Fazi Editore]

Se ti è sfuggito qualcosa eccoti i link con le relative notizie:

Io per fortuna c'ho la camorra
Distilleria Bertolino: ridotta la condanna a Pino Maniaci

.

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TESTO PUNTATA:


Pino è un Don Quijote ma i mulini sono cambiati come cambiano i tempi: hanno facce, mani, testa, voce, ferro in tasca, soldi in borsa e avvocati.

Avvocati bravi, pagati bene. Il mulino che gli è rimasto più di traverso è la Distilleria Bertolino: una distilleria che inquina come vomito di Polifemo sopra Partinico.
Pino è come il calcare, ostinato fino ad indurirsi tanto da fargli male.

Di quelli che sorseggiano il gusto di "battersi" come all'inizio di un aperitivo che probabilmente finirà male. Pino appena fuori dal cancello della Bertolino, a fotografarlo dall'alto, è piccolo come un tombino.
Pino è un rubinetto rotto: lavora per erosione, ai fianchi e alle spalle con una televisione larga come un cesso ma che suona martellate di artigianato fino e continuo.
Pino è un immoderabile: nel dubbio getta l'amo ma sempre con la sua faccia in mano.
Pino è la zucca di Cenerentola: si veste sguincio da cerimonia ma non si appiattisce al diktat del valzer della moderocrazìa.
Pino è mezzo nei guai, per una condanna che aggiunta alle altre lo fa arrivare lungo. Ma nei guai ci nuota bene. Perché a mare ci buttiamo in tanti che, poco poco, organizziamo un quadrangolare di pallanuoto.
Perché a raccogliere palle in rete ci abbiamo fatto il callo, ma siamo forti nel contropiede.
Pino qualcuno vorrebbe farlo stare zitto. Coprirlo, magari con le ingiurie o magari con il cemento.
[CEMENTO dal libro di Sergio Nazzaro IO, PER FORTUNA C’HO LA CAMORRA Fazi Editore]

Se ti è sfuggito qualcosa eccoti i link con le relative notizie:

Io per fortuna c'ho la camorra
Distilleria Bertolino: ridotta la condanna a Pino Maniaci

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Caso de Magistris: nuovo processo al CSM


Di Monica Centofante

La farsa continua. L’ex pm di Catanzaro Luigi De Magistris, ormai ospite fisso del Consiglio Superiore della Magistratura, è di nuovo di fronte alla Sezione disciplinare del tribunale delle toghe per un nuovo processo a suo carico: quello relativo al cosiddetto “archivio Genchi”, del quale si stanno occupando anche il Copasir e la Procura di Roma.
L’accusa, questa volta, è di aver affidato al suo (ex) consulente tecnico un incarico che “implicava accertamenti e valutazioni del tutto estranei a quelli di un consulente tecnico” sui tabulati telefonici acquisiti nell’ambito delle inchieste Poseidone e Why Not.
Conferendogli “un’abnorme delega di indagini riservate al pm”. Nonché di aver acquisito tabulati telefonici intestati all’allora ministro della Giustizia Clemente Mastella senza aver chiesto la preventiva autorizzazione alla Camera dei Deputati.


Peccato che questo “abnorme” comportamento sia esattamente lo stesso adottato da decine di procure in decine di processi e per diversi di anni e che sia servito ad assicurare alle patrie galere criminali e assassini. Acqua passata.
E ancora peccato che i giudici di Salerno abbiamo già spiegato, dopo approfondite indagini, che la “condotta tenuta dal pubblico ministero nel conferimento dell’incarico consulenziale… è risultata formalmente e sostanzialmente aderente al dettato normativo”. Ai sensi dell’art. 359 del codice di procedura penale. E che gli stessi giudici abbiano appurato che quando Genchi consegnò a De Magistris il numero telefonico riconducibile a Mastella (uno fra decine) non aveva ancora potuto svolgere i relativi accertamenti che ne avrebbero dimostrato l’ascrivibilità al senatore.
Di fatto quel numero, ancora sconosciuto, era emerso tra le migliaia di utenze registrate nei cellulari e negli appunti cartacei di Antonio Saladino, il principale imputato dell’inchiesta Why Not. E insieme a tutti gli altri doveva essere controllato perché, come avviene in qualsiasi indagine di questo mondo, occorreva identificare i soggetti in contatto con l’imputato. Oltre al motivo e alla natura di quei contatti.
L’iter di acquisizione dell’utenza in questione è perfettamente documentato nelle relazioni tecniche inviate dal consulente al pubblico ministero dove, tra le altre cose, si apprende che “nel conflitto delle intestazioni rilevate, della ragione sociale di iniziale attivazione dell’utenza 0335… e di quella di subentro, come nei diversi cambi di profilo e di portabilità rilevati (dalla Tim alla Wind e dalla Wind alla Tim), nessun elemento lasciava presagire che quella sim gsm (come le altre), fosse stata in uso ad un membro del Parlamento e ancora meno al sen. Clemente Mastella” e che “era risultata nel tempo utilizzata (con diverse schede di vari gestori e con diverse intestazioni del tutto diverse, e comunque mai riferite al sen. Clemente Mastella) con almeno 18 cellulari (oltre agli altri cellulari utilizzati in epoca pregressa all’acquisizione dei tabulati)”. Cosa che rendeva necessari degli approfondimenti investigativi.

Allo stesso modo le relazioni dimostrerebbero che una volta constatata la riconducibilità di determinate utenze a soggetti che ricoprivano la carica di membri del Parlamento (non solo Mastella) il consulente aveva segnalato immediatamente al pubblico ministero De Magistris la necessità di chiedere le dovute autorizzazioni. Cosa che i giudici di Salerno - nel provvedimento di perquisizione con cui lo scorso dicembre hanno sequestrato l’inchiesta Why Not ai magistrati di Catanzaro - hanno accertato dopo aver accuratamente analizzato quelle stesse relazioni, riscontrandone i contenuti con altri elementi di prova.
Oggi la Procura generale della Cassazione – che rappresenta l’accusa nel procedimento disciplinare - vorrebbe contrastare questa tesi con le dichiarazioni di una serie di testimoni tra i quali, in prima linea, Pasquale Angelosanto.

Il colonnello che ha firmato la relazione-atto d’accusa contro il consulente Gioacchino Genchi, finito sotto inchiesta da parte della procura di Roma.

Anche di lui parlano le carte di Salerno. Nelle quali si legge: “Sulle attività di acquisizione, studio, elaborazione analitico-relazionale dei dati di traffico telefonico, gli esiti delle indagini tecniche condotte dai Carabinieri del Ros – Reparto Indagini Tecniche su delega del Generale Ufficio avocante e compendiate nella relazione del 12 gennaio 2008 a firma del Colonnello Pasquale Angelosanto, non trovano conferma nelle risultanze investigative acquisite da questo Ufficio”.
Lo abbiamo detto più volte, ma lo ripeteremo fino alla noia: quel documento, agli inizi di gennaio, è stato giudicato perfettamente legittimo dall’unico organo preposto per legge a definirne o meno la correttezza: il tribunale del Riesame di Salerno. Il quale nelle motivazioni depositate lo scorso 30 gennaio scrive che il documento è “logico, preciso, analitico”, “immune da vizi di motivazione”, in linea con il Codice e la “giurisprudenza della Cassazione”, necessario “per l’accertamento dei fatti”.
Inspiegabilmente, il Consiglio Superiore della Magistratura continua però a far finta che quelle carte non siano mai esistite. Salvo che per un unico dettaglio: utilizzarle per trasferire di ufficio e funzioni anche i giudici di Salerno.
Martedì prossimo saranno decise, dallo stesso Csm, le nuove destinazioni per i pm Gabriella Nuzzi e Dionigio Verasani. Quali sedi andranno ad occupare ancora non si sa, ma una cosa è certa: per il momento non potranno più fare i pubblici ministeri, con buona pace degli indagati e di quella politica che il loro trasferimento lo aveva “suggerito”.

Fonte:
www.antimafiaduemila.com
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Di Monica Centofante

La farsa continua. L’ex pm di Catanzaro Luigi De Magistris, ormai ospite fisso del Consiglio Superiore della Magistratura, è di nuovo di fronte alla Sezione disciplinare del tribunale delle toghe per un nuovo processo a suo carico: quello relativo al cosiddetto “archivio Genchi”, del quale si stanno occupando anche il Copasir e la Procura di Roma.
L’accusa, questa volta, è di aver affidato al suo (ex) consulente tecnico un incarico che “implicava accertamenti e valutazioni del tutto estranei a quelli di un consulente tecnico” sui tabulati telefonici acquisiti nell’ambito delle inchieste Poseidone e Why Not.
Conferendogli “un’abnorme delega di indagini riservate al pm”. Nonché di aver acquisito tabulati telefonici intestati all’allora ministro della Giustizia Clemente Mastella senza aver chiesto la preventiva autorizzazione alla Camera dei Deputati.


Peccato che questo “abnorme” comportamento sia esattamente lo stesso adottato da decine di procure in decine di processi e per diversi di anni e che sia servito ad assicurare alle patrie galere criminali e assassini. Acqua passata.
E ancora peccato che i giudici di Salerno abbiamo già spiegato, dopo approfondite indagini, che la “condotta tenuta dal pubblico ministero nel conferimento dell’incarico consulenziale… è risultata formalmente e sostanzialmente aderente al dettato normativo”. Ai sensi dell’art. 359 del codice di procedura penale. E che gli stessi giudici abbiano appurato che quando Genchi consegnò a De Magistris il numero telefonico riconducibile a Mastella (uno fra decine) non aveva ancora potuto svolgere i relativi accertamenti che ne avrebbero dimostrato l’ascrivibilità al senatore.
Di fatto quel numero, ancora sconosciuto, era emerso tra le migliaia di utenze registrate nei cellulari e negli appunti cartacei di Antonio Saladino, il principale imputato dell’inchiesta Why Not. E insieme a tutti gli altri doveva essere controllato perché, come avviene in qualsiasi indagine di questo mondo, occorreva identificare i soggetti in contatto con l’imputato. Oltre al motivo e alla natura di quei contatti.
L’iter di acquisizione dell’utenza in questione è perfettamente documentato nelle relazioni tecniche inviate dal consulente al pubblico ministero dove, tra le altre cose, si apprende che “nel conflitto delle intestazioni rilevate, della ragione sociale di iniziale attivazione dell’utenza 0335… e di quella di subentro, come nei diversi cambi di profilo e di portabilità rilevati (dalla Tim alla Wind e dalla Wind alla Tim), nessun elemento lasciava presagire che quella sim gsm (come le altre), fosse stata in uso ad un membro del Parlamento e ancora meno al sen. Clemente Mastella” e che “era risultata nel tempo utilizzata (con diverse schede di vari gestori e con diverse intestazioni del tutto diverse, e comunque mai riferite al sen. Clemente Mastella) con almeno 18 cellulari (oltre agli altri cellulari utilizzati in epoca pregressa all’acquisizione dei tabulati)”. Cosa che rendeva necessari degli approfondimenti investigativi.

Allo stesso modo le relazioni dimostrerebbero che una volta constatata la riconducibilità di determinate utenze a soggetti che ricoprivano la carica di membri del Parlamento (non solo Mastella) il consulente aveva segnalato immediatamente al pubblico ministero De Magistris la necessità di chiedere le dovute autorizzazioni. Cosa che i giudici di Salerno - nel provvedimento di perquisizione con cui lo scorso dicembre hanno sequestrato l’inchiesta Why Not ai magistrati di Catanzaro - hanno accertato dopo aver accuratamente analizzato quelle stesse relazioni, riscontrandone i contenuti con altri elementi di prova.
Oggi la Procura generale della Cassazione – che rappresenta l’accusa nel procedimento disciplinare - vorrebbe contrastare questa tesi con le dichiarazioni di una serie di testimoni tra i quali, in prima linea, Pasquale Angelosanto.

Il colonnello che ha firmato la relazione-atto d’accusa contro il consulente Gioacchino Genchi, finito sotto inchiesta da parte della procura di Roma.

Anche di lui parlano le carte di Salerno. Nelle quali si legge: “Sulle attività di acquisizione, studio, elaborazione analitico-relazionale dei dati di traffico telefonico, gli esiti delle indagini tecniche condotte dai Carabinieri del Ros – Reparto Indagini Tecniche su delega del Generale Ufficio avocante e compendiate nella relazione del 12 gennaio 2008 a firma del Colonnello Pasquale Angelosanto, non trovano conferma nelle risultanze investigative acquisite da questo Ufficio”.
Lo abbiamo detto più volte, ma lo ripeteremo fino alla noia: quel documento, agli inizi di gennaio, è stato giudicato perfettamente legittimo dall’unico organo preposto per legge a definirne o meno la correttezza: il tribunale del Riesame di Salerno. Il quale nelle motivazioni depositate lo scorso 30 gennaio scrive che il documento è “logico, preciso, analitico”, “immune da vizi di motivazione”, in linea con il Codice e la “giurisprudenza della Cassazione”, necessario “per l’accertamento dei fatti”.
Inspiegabilmente, il Consiglio Superiore della Magistratura continua però a far finta che quelle carte non siano mai esistite. Salvo che per un unico dettaglio: utilizzarle per trasferire di ufficio e funzioni anche i giudici di Salerno.
Martedì prossimo saranno decise, dallo stesso Csm, le nuove destinazioni per i pm Gabriella Nuzzi e Dionigio Verasani. Quali sedi andranno ad occupare ancora non si sa, ma una cosa è certa: per il momento non potranno più fare i pubblici ministeri, con buona pace degli indagati e di quella politica che il loro trasferimento lo aveva “suggerito”.

Fonte:
www.antimafiaduemila.com

ANTI-spot Napoli pulita


Risposta del comitato civico “La Rosa dei Venti” in collaborazione con lo staff di chiaianodiscarica.it allo spot “Napoli pulita” la cui protagonista è Elena Russo che risorge dall’immondizia. Vediamo lo spot e l’anti-spot, quest’ultimo realizzato da Raffaele Manco autore del documentario Una cosa importante da dire

Fonte:Chiaianodiscarica

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Risposta del comitato civico “La Rosa dei Venti” in collaborazione con lo staff di chiaianodiscarica.it allo spot “Napoli pulita” la cui protagonista è Elena Russo che risorge dall’immondizia. Vediamo lo spot e l’anti-spot, quest’ultimo realizzato da Raffaele Manco autore del documentario Una cosa importante da dire

Fonte:Chiaianodiscarica

martedì 24 febbraio 2009

La crisi che può cambiare il capitalismo - Intervista a P. Barucci


Piero Barucci, componente dell’Autorità garante della concorrenza ed ex ministro del Tesoro, analizza le cause del rovescio economico mondiale, guarda con preoccupazione all’Italia e formula alcune proposte per uscire dalla recessione

“La crisi? Colpa del doppio deficit dell’economia statunitense. Se ne esce rispettando il vincolo di bilancio, l’unica soluzione per costruire realtà sociali che combinino crescita e giustizia sociale”. Piero Barucci, oggi componente dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato, e già professore di economia politica all’Università di Siena, e ministro del Tesoro nei governi Amato Ciampi (il suo nome è legato alle prime grandi privatizzazioni degli anni ‘90), rompe il suo tradizionale riserbo per dire la sua sull’attuale crisi economica.

Professor Barucci, innanzitutto ci può spiegare dal suo punto di vista chi sono i “responsabili” della crisi dei subprime? I governi? Le banche centrali? Gli istituti finanziari?

Siamo di fronte ad una crisi di estese e profonde dimensioni. Ha origini lontane, anche se è esplosa nel segmento dei cosiddetti “subprimes”. Il fatto è che ancora non ne conosciamo correttamente la dimensione e che non siano, conseguentemente, in grado di individuare ed in quale proporzione ne è stato colpito. Secondo l’idea che mi sono fatto, la ragione strutturale che ha determinato la grave crisi è da ricercare nel doppio deficit dell’economia statunitense che dura ormai da qualche lustro. Ciò ha provocato degli importanti flussi di valuta che si sono tradotti in anomale riserve valutarie di parecchi paesi oltre che l’esigenza degli USA di creare le condizioni macroeconomiche per trovare qualcuno disposto a comprare i titoli del passivo americano. E siccome i tassi di interesse erano relativamente bassi, bisognava cercare di garantire rendimenti anomali di capitali e favorevoli occasioni per chi andava ad investire sul capitale di imprese basate USA. La condizione di questo scenario era dunque duplice: bisognava mantenere alto il tasso di crescita dell’economia USA e lasciare che gli intermediari finanziari escogitassero dei modi per mantenere elevati i tassi di rendimento delle attività finanziarie creando delle condizioni, e dei mercati, che fossero alternativi rispetto a quelle rintracciabili nei mercati organizzati ufficiali.

E quindi?

Se i tassi di riferimento erano, in ipotesi del 4%, visto che i costi di capitali in gestione erano più o meno di questo livello, strumenti finanziari che garantivano rendimenti del 7 od 8% l’anno, contenevano in realtà alte aliquote di rischio assunte in modo non tanto inconsapevole, quanto non rese note. Ma il risparmiatore aveva tutte le possibilità di rendersi conto che andava ad investire in strumenti finanziari tutt’altro che indenni dal rischio del mercato.
La responsabilità principale dell’attuale stato di cose va ritrovata in chi negli USA ha permesso uno sviluppo non sostenibile. Le autorità di vigilanza, adattando le regole ai nuovi mercati senza l’aspirazione a regolamentarli, hanno avuto le loro responsabilità. Gli intermediari hanno fatto voracemente, e senza una visione lungimirante, il loro mestiere, cercando di cogliere ogni opportunità che l’assetto legislativo esistente loro permetteva. Oggi è relativamente agevole fare valutazioni di questo tipo (od una analoga o diversa) e spartire le responsabilità fra i diversi protagonisti. Mi chiedo quale sarebbe stato il costo, politico e sociale, da sopportare tre o quattro anni fa, quando tutto sembrava andare per il meglio, per una Autorità che avesse deciso apertamente di porre fine ad un ciclo che sembrava dispensare a tutti sviluppo, benessere, occupazione e certezze.

C’è chi paragona la crisi al 1929. Secondo lei quanto è credibile il parallelo? Quali sono le somiglianze, e quali le differenze?

Crisi di questo genere non hanno precedenti, in particolare quando si compiono confronti fra realtà che distano ottanta anni. Cerchiamo di fare i conti con la crisi con cui abbiamo a che fare e lasciamo le comparazioni a chi fa storia. Basterà dire che la dimensione, la struttura degli eventi, il quadro istituzionale di riferimento, l’ampiezza, sono oggi del tutto diversi da quelli del 1929.

C’è chi dice che ha fallito l’ideologia del liberismo, e chi risponde che il capitalismo ha ancora “i secoli contati”. Lei da che parte sta?

In proposito non mi sembra utile abbandonarsi alla voglia di giungere a conclusioni troppo generalizzanti su temi che richiederebbero un libro per essere affrontati. Mi limiterei a due notazioni. La prima: il criterio, ovvero, il principio di rispettare il vincolo di bilancio in strutture altamente concorrenziali mi sembra che rappresenti l’unica soluzione per costruire realtà sociali che riescano a combinare crescita e giustizia sociale. La seconda: seguo con atteggiamento distaccato questa discussione sulla “fine del capitalismo”, non perché si tratti di temi che non meritino attenzione, ma perché mi pare che si debba prestare più riguardo alla vitalità del principio della libera impresa, ai mille modi in cui può manifestarsi, ai sistemi comparati diversi che esso può essere in grado di conseguire: il tutto secondo il ruolo che la politica decide di assegnarsi.

E’ possibile vedere in questa crisi un “declino” dell’economia retta dagli Usa come paese-guida? E all’emersione di nuove potenze economiche?

Quello degli USA e della sua economia è un declino atteso. Tutti i futurologi dicono che nell’ultimo quarto del secolo avverrà il sorpasso. Per quanto mi riguarda azzarderei a prevedere che nel nostro secolo emergano “nuove potenze”. Mi fermerei qui, aggiungendo che c’è un ciclo storico che caratterizza ogni civiltà. Questo accadrà anche per gli USA. Sulla natura e la lunghezza del ciclo non avverto alcun bisogno di fare previsioni.

La crisi in atto è uno spartiacque che cambierà la vita, i paradigmi economici e sociali nel prossimo futuro?

Credo che, come per tutte le crisi rilevanti e profonde, anche in questo caso si avranno dei mutamenti. Non sarebbe male che potesse prendere corpo anche una diversa scala di valori sociali. Ma non mi faccio troppe illusioni. Temo che fra quattro o cinque anni il valore preminente tornerà ad essere quello del massimo profitto e che quello della giustizia sociale continuerà ad essere un obiettivo asintotico al quale tutti vorrebbero tendere, ma con scarsa fortuna.

Passiamo ai piani per affrontare l’emergenza. Ritiene che i salvataggi statunitensi e il Tarp siano la strada giusta da perseguire l’obiettivo?

Mi sembra che anche i suoi autori non abbiano certezza alcuna sulla efficacia delle misure che stanno varando. Ma questo dipende dalle ragioni che ho schematizzato nella prima risposta. Tutti sono alla ricerca della misura opportuna, ma temo che tutti stiano cercando di capire le ragioni originarie ed il sistema delle interdipendenze che da esso ne sono derivate.

I primi passi di Obama sono sostanzialmente in linea con quelli della precedente amministrazione. Pensa che il presidente Usa caratterizzerà in modo più netto, in futuro, le sue scelte?

Sulla carta il Presidente USA in carica aspira ad essere diverso dal precedente. Vedremo che cosa sarà capace di fare. Sono un po’ preoccupato per la valanga per le attese che ha attivato. Gli faccio gli auguri più sinceri.

L’Europa: il sistema economico dei singoli paesi ha risentito, chi più chi meno, alla crisi. Da una parte c’è l’Inghilterra, dall’altra la Germania. Ritiene che sia stato fatto abbastanza, finora, per superare le difficoltà?

Non trascurerei la Conferenza Elvetica, i paesi scandinavi e, naturalmente, l’Islanda. Tutti i paesi le cui banche hanno patrimoni in gestione, banche di investimento, o passività che sono state in qualche modo “trattate” sono state colpite dalla crisi. Ogni paese ha cercato di porre in atto le misure che poteva e che gli erano consentite dalle condizioni del bilancio, dal ruolo della Banca centrale, e così via. Ho idea che ancora, sia in USA, che in Europa, che in Italia si dovrà tornare con un mix di misure diverso caso da caso.

L’Italia e la crisi: il governo usa toni rassicuranti, ma il rischio che gli istituti bancari finiscano nel vortice esiste. Un suo parere.

Non scorgo nessuno che usi toni rassicuranti a proposito della crisi. In Italia non sembra vi siano soverchie preoccupazioni per il nostro sistema bancario, ma per il resto ci sono solo motivi di ansietà.

Nei prossimi mesi sui mercati finanziari arriveranno offerte enormi di titoli di stato (tutti i paesi che fanno politiche di deficit spending lo fanno finanziandosi così..) Ci sarà una forte concorrenza tra i vari paesi, e il mercato privilegerà quelli più solidi: Germania, ad esempio, ma anche Usa (nonostante il fortissimo debito pubblico). Pensa che ci troveremo in difficoltà?

L’anno in corso prevede un ricco programma di emissioni, netto e semplici rinnovi, per imprese e Stati. Ci sarà senza dubbio molta concorrenza, ma azzardo a dire che l’Italia non dovrebbe avvertire grandi difficoltà a rinnovare il proprio passivo. In fondo abbiamo l’euro e non la lira e gli equilibri garantiti a livello europeo dovrebbero essere una garanzia per tutti. La riduzione crescente nello spread fra bund e BTP mi sembra sia una ragione in più per non sottovalutare i rischi, ma anche per non farsi prendere da timori ad oggi non motivati.


Fonte:
Giornalettismo/Pubblicato da Liberal
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Piero Barucci, componente dell’Autorità garante della concorrenza ed ex ministro del Tesoro, analizza le cause del rovescio economico mondiale, guarda con preoccupazione all’Italia e formula alcune proposte per uscire dalla recessione

“La crisi? Colpa del doppio deficit dell’economia statunitense. Se ne esce rispettando il vincolo di bilancio, l’unica soluzione per costruire realtà sociali che combinino crescita e giustizia sociale”. Piero Barucci, oggi componente dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato, e già professore di economia politica all’Università di Siena, e ministro del Tesoro nei governi Amato Ciampi (il suo nome è legato alle prime grandi privatizzazioni degli anni ‘90), rompe il suo tradizionale riserbo per dire la sua sull’attuale crisi economica.

Professor Barucci, innanzitutto ci può spiegare dal suo punto di vista chi sono i “responsabili” della crisi dei subprime? I governi? Le banche centrali? Gli istituti finanziari?

Siamo di fronte ad una crisi di estese e profonde dimensioni. Ha origini lontane, anche se è esplosa nel segmento dei cosiddetti “subprimes”. Il fatto è che ancora non ne conosciamo correttamente la dimensione e che non siano, conseguentemente, in grado di individuare ed in quale proporzione ne è stato colpito. Secondo l’idea che mi sono fatto, la ragione strutturale che ha determinato la grave crisi è da ricercare nel doppio deficit dell’economia statunitense che dura ormai da qualche lustro. Ciò ha provocato degli importanti flussi di valuta che si sono tradotti in anomale riserve valutarie di parecchi paesi oltre che l’esigenza degli USA di creare le condizioni macroeconomiche per trovare qualcuno disposto a comprare i titoli del passivo americano. E siccome i tassi di interesse erano relativamente bassi, bisognava cercare di garantire rendimenti anomali di capitali e favorevoli occasioni per chi andava ad investire sul capitale di imprese basate USA. La condizione di questo scenario era dunque duplice: bisognava mantenere alto il tasso di crescita dell’economia USA e lasciare che gli intermediari finanziari escogitassero dei modi per mantenere elevati i tassi di rendimento delle attività finanziarie creando delle condizioni, e dei mercati, che fossero alternativi rispetto a quelle rintracciabili nei mercati organizzati ufficiali.

E quindi?

Se i tassi di riferimento erano, in ipotesi del 4%, visto che i costi di capitali in gestione erano più o meno di questo livello, strumenti finanziari che garantivano rendimenti del 7 od 8% l’anno, contenevano in realtà alte aliquote di rischio assunte in modo non tanto inconsapevole, quanto non rese note. Ma il risparmiatore aveva tutte le possibilità di rendersi conto che andava ad investire in strumenti finanziari tutt’altro che indenni dal rischio del mercato.
La responsabilità principale dell’attuale stato di cose va ritrovata in chi negli USA ha permesso uno sviluppo non sostenibile. Le autorità di vigilanza, adattando le regole ai nuovi mercati senza l’aspirazione a regolamentarli, hanno avuto le loro responsabilità. Gli intermediari hanno fatto voracemente, e senza una visione lungimirante, il loro mestiere, cercando di cogliere ogni opportunità che l’assetto legislativo esistente loro permetteva. Oggi è relativamente agevole fare valutazioni di questo tipo (od una analoga o diversa) e spartire le responsabilità fra i diversi protagonisti. Mi chiedo quale sarebbe stato il costo, politico e sociale, da sopportare tre o quattro anni fa, quando tutto sembrava andare per il meglio, per una Autorità che avesse deciso apertamente di porre fine ad un ciclo che sembrava dispensare a tutti sviluppo, benessere, occupazione e certezze.

C’è chi paragona la crisi al 1929. Secondo lei quanto è credibile il parallelo? Quali sono le somiglianze, e quali le differenze?

Crisi di questo genere non hanno precedenti, in particolare quando si compiono confronti fra realtà che distano ottanta anni. Cerchiamo di fare i conti con la crisi con cui abbiamo a che fare e lasciamo le comparazioni a chi fa storia. Basterà dire che la dimensione, la struttura degli eventi, il quadro istituzionale di riferimento, l’ampiezza, sono oggi del tutto diversi da quelli del 1929.

C’è chi dice che ha fallito l’ideologia del liberismo, e chi risponde che il capitalismo ha ancora “i secoli contati”. Lei da che parte sta?

In proposito non mi sembra utile abbandonarsi alla voglia di giungere a conclusioni troppo generalizzanti su temi che richiederebbero un libro per essere affrontati. Mi limiterei a due notazioni. La prima: il criterio, ovvero, il principio di rispettare il vincolo di bilancio in strutture altamente concorrenziali mi sembra che rappresenti l’unica soluzione per costruire realtà sociali che riescano a combinare crescita e giustizia sociale. La seconda: seguo con atteggiamento distaccato questa discussione sulla “fine del capitalismo”, non perché si tratti di temi che non meritino attenzione, ma perché mi pare che si debba prestare più riguardo alla vitalità del principio della libera impresa, ai mille modi in cui può manifestarsi, ai sistemi comparati diversi che esso può essere in grado di conseguire: il tutto secondo il ruolo che la politica decide di assegnarsi.

E’ possibile vedere in questa crisi un “declino” dell’economia retta dagli Usa come paese-guida? E all’emersione di nuove potenze economiche?

Quello degli USA e della sua economia è un declino atteso. Tutti i futurologi dicono che nell’ultimo quarto del secolo avverrà il sorpasso. Per quanto mi riguarda azzarderei a prevedere che nel nostro secolo emergano “nuove potenze”. Mi fermerei qui, aggiungendo che c’è un ciclo storico che caratterizza ogni civiltà. Questo accadrà anche per gli USA. Sulla natura e la lunghezza del ciclo non avverto alcun bisogno di fare previsioni.

La crisi in atto è uno spartiacque che cambierà la vita, i paradigmi economici e sociali nel prossimo futuro?

Credo che, come per tutte le crisi rilevanti e profonde, anche in questo caso si avranno dei mutamenti. Non sarebbe male che potesse prendere corpo anche una diversa scala di valori sociali. Ma non mi faccio troppe illusioni. Temo che fra quattro o cinque anni il valore preminente tornerà ad essere quello del massimo profitto e che quello della giustizia sociale continuerà ad essere un obiettivo asintotico al quale tutti vorrebbero tendere, ma con scarsa fortuna.

Passiamo ai piani per affrontare l’emergenza. Ritiene che i salvataggi statunitensi e il Tarp siano la strada giusta da perseguire l’obiettivo?

Mi sembra che anche i suoi autori non abbiano certezza alcuna sulla efficacia delle misure che stanno varando. Ma questo dipende dalle ragioni che ho schematizzato nella prima risposta. Tutti sono alla ricerca della misura opportuna, ma temo che tutti stiano cercando di capire le ragioni originarie ed il sistema delle interdipendenze che da esso ne sono derivate.

I primi passi di Obama sono sostanzialmente in linea con quelli della precedente amministrazione. Pensa che il presidente Usa caratterizzerà in modo più netto, in futuro, le sue scelte?

Sulla carta il Presidente USA in carica aspira ad essere diverso dal precedente. Vedremo che cosa sarà capace di fare. Sono un po’ preoccupato per la valanga per le attese che ha attivato. Gli faccio gli auguri più sinceri.

L’Europa: il sistema economico dei singoli paesi ha risentito, chi più chi meno, alla crisi. Da una parte c’è l’Inghilterra, dall’altra la Germania. Ritiene che sia stato fatto abbastanza, finora, per superare le difficoltà?

Non trascurerei la Conferenza Elvetica, i paesi scandinavi e, naturalmente, l’Islanda. Tutti i paesi le cui banche hanno patrimoni in gestione, banche di investimento, o passività che sono state in qualche modo “trattate” sono state colpite dalla crisi. Ogni paese ha cercato di porre in atto le misure che poteva e che gli erano consentite dalle condizioni del bilancio, dal ruolo della Banca centrale, e così via. Ho idea che ancora, sia in USA, che in Europa, che in Italia si dovrà tornare con un mix di misure diverso caso da caso.

L’Italia e la crisi: il governo usa toni rassicuranti, ma il rischio che gli istituti bancari finiscano nel vortice esiste. Un suo parere.

Non scorgo nessuno che usi toni rassicuranti a proposito della crisi. In Italia non sembra vi siano soverchie preoccupazioni per il nostro sistema bancario, ma per il resto ci sono solo motivi di ansietà.

Nei prossimi mesi sui mercati finanziari arriveranno offerte enormi di titoli di stato (tutti i paesi che fanno politiche di deficit spending lo fanno finanziandosi così..) Ci sarà una forte concorrenza tra i vari paesi, e il mercato privilegerà quelli più solidi: Germania, ad esempio, ma anche Usa (nonostante il fortissimo debito pubblico). Pensa che ci troveremo in difficoltà?

L’anno in corso prevede un ricco programma di emissioni, netto e semplici rinnovi, per imprese e Stati. Ci sarà senza dubbio molta concorrenza, ma azzardo a dire che l’Italia non dovrebbe avvertire grandi difficoltà a rinnovare il proprio passivo. In fondo abbiamo l’euro e non la lira e gli equilibri garantiti a livello europeo dovrebbero essere una garanzia per tutti. La riduzione crescente nello spread fra bund e BTP mi sembra sia una ragione in più per non sottovalutare i rischi, ma anche per non farsi prendere da timori ad oggi non motivati.


Fonte:
Giornalettismo/Pubblicato da Liberal

 
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