Il tanto annunciato attacco di terra nella Striscia di Gaza è iniziato ieri sera al tramonto.
Colonne di militari con la stella di David appoggiate da elicotteri e mezzi corazzati sono entrate nella Striscia da tre direttrici (nord, centro e sud). Gli scontri con i miliziani di Hamas sono iniziati immediatamente e già si contano le prime vittime da ambo le parti.
Ma quali potranno essere gli scenari futuri per la Striscia di Gaza e per la Palestina più in generale?
Lo abbiamo chiesto a Ruben Weizmann, capo analista per il Medio Oriente di Watch International.
D – Sig. Weizmann, se lo aspettava questo attacco di terra?
R – si, dopo nove giorni di attacchi aerei gli obbiettivi da colpire erano esauriti e quelli rimasti comportavano un altissimo rischio per i civili dato che Hamas ha concentrato i propri arsenali in posizioni attorniate da abitazioni civili o addirittura dentro le abitazioni. E' chiaro quindi che se Israele vuole chiudere la partita con Hamas deve per forza adottare la tattica del “corpo a corpo”.
D – nel mondo però l'invasione di Gaza ha suscitato moltissime proteste
R – ci si deve decidere. Se Israele attacca per via aerea e fa vittime civili risparmiando i propri uomini si protesta. Se Israele invece attacca via terra mettendo a rischio la vita dei propri uomini ma con un rischio molto più ridotto di fare vittime tra la popolazione civile, si protesta ugualmente. L'attacco di terra si è reso necessario proprio per colpire solamente i miliziani di Hamas e per distruggere gli arsenali del movimento terrorista senza spargimento di sangue innocente. Ma tutto questo comporterà sicuramente un prezzo molto alto in termini di vite umane per Israele e questo a Gerusalemme lo sapevano benissimo, ma hanno preferito comunque adottare questa tattica piuttosto che fare altre vittime civili. Qui si sta parlando di una guerra vera e propria dove i rischi per i civili sono altissimi, specie perché Hamas usa farsi scudo proprio dei civili. L'invasione via terra è quindi un atto di responsabilità di Israele e non il contrario.
D – sig. Weizmann, la guerra poteva essere evitata?
R – difficile rispondere a questa domanda. Quando Hamas non ha accettato di rinnovare la tregua e ha iniziato a lanciare missili verso Israele sapeva benissimo che la reazione israeliana sarebbe stata molto forte. I motivi per cui il movimento islamico ha optato per la lotta armata sono tanti e non sempre comprensibili. Penso però che i leader di Hamas cerchino principalmente di cavalcare lo scontento dei palestinesi verso Fatah e per il blocco di Gaza e per farlo abbiano usato l'unica arma che conoscono: la guerra. Quindi, quando come in questo caso a decidere è una scelta unilaterale (quella di Hamas) evitare lo scontro è molto difficile. In concreto ha ragione la nuova presidenza dell'Unione Europea che ieri ha parlato di “guerra difensiva” da parte di Israele, una guerra quindi difficilmente evitabile. Di certo Israele non poteva continuare a sopportare il lancio di Quassam che, se è vero che hanno una potenza distruttiva limitata, provocano nella popolazione uno stress enorme (
vedi video di vita quotidiana a Sderot)
D – arrivati a questo punto, quali saranno gli scenari futuri secondo lei?
R – personalmente credo che Israele non voglia occupare di nuovo in maniera permanente la Striscia di Gaza. Di certo però è impensabile che una volta distrutti gli arsenali e le rampe di lancio dei missili palestinesi, Israele si ritiri lasciando di nuovo il campo libero ad Hamas. Penso quindi che quando l'operazione “piombo fuso” avrà raggiunto i suoi obbiettivi l'intenzione israeliana sia quella di accettare una forza multinazionale a Gaza che impedisca il reinsediamento e il riarmo di Hamas e che traghetti la Striscia di Gaza verso la riunificazione alla Cisgiordania. Fondamentalmente quindi Gerusalemme farebbe quello che da molto tempo le viene chiesto dalla comunità internazionale ma, memore dell'esperienza libanese, senza Hamas tra i piedi. Se ciò avvenisse i primi a beneficiarne sarebbero proprio i palestinesi di Gaza che potrebbero tornare ad una vita normale.
D – a suo parere, quanto è alto il rischio di un allargamento del conflitto? Penso, per esempio, agli Hezbollah libanesi che hanno più volte minacciato di attaccare Israele.
R – questa è certamente l'incognita maggiore. Hezbollah si è fortemente riarmata, nonostante la presenza di Unifil, e Teheran soffia sul fuoco soprattutto perché vede nella distruzione di Hamas un primo passo verso un piano di attacco israeliano all'Iran e alle sue strutture nucleari. Il rischio quindi è molto alto. La tensione al confine con il Libano è altissima da mesi e da quando è stato eletto il nuovo Presidente libanese nella persona di Michel Suleiman si è ulteriormente innalzata visto che proprio Suleiman si è dato da fare parecchio per rafforzare l'alleanza con la Siria e l'Iran, oltretutto rilasciando molte dichiarazioni anti-israeliane. Molto dipenderà da Unifil che fino ad oggi non ha fatto praticamente niente per evitare il riarmo di Hezbollah ma potrebbe fare moltissimo per impedire che gli sciiti usino quelle armi. Il problema è che negli arsenali di Hezbollah ci sono missili (forniti dall'Iran n.d.r.) che potrebbero essere sparati da ben oltre il fiume Litani, dove cioè Unifil non ha giurisdizione. Israele di certo non potrebbe sopportare una grave provocazione come sarebbe il lancio di missili sulle sue città e si troverebbe quindi a dover reagire. A Gerusalemme hanno sicuramente calcolato anche questa eventualità e non per niente hanno spostato molte divisioni e migliaia di riservisti nel nord del Paese. Il rischio è comunque molto alto. Tutto è nelle mani di Teheran. Dipenderà esclusivamente dai Mullah un eventuale allargamento del conflitto.
D – la diplomazia internazionale può fare qualcosa per evitare che ciò accada?
R – certamente la diplomazia può fare pressioni su Teheran affinché non spinga in guerra gli Hezbollah, ma credo che la tentazione per i Mullah sia troppo alta, anche perché, come ho detto prima, potrebbero vedere nell'invasione di Gaza un primo passo verso un attacco all'Iran, un modo da parte israeliana di sbarazzarsi di una eventuale spina nel fianco. Quindi mi aspetto qualcosa sul fronte nord. Potrebbe essere solo qualche provocazione ma il rischio che dalle provocazioni si passi alla guerra è altissimo. D'altra parte le dichiarazioni di Hezbollah sono state chiare e difficilmente il movimento sciita lancia minacce senza farle seguire dai fatti.
Intervista di Elisa Arduini
Il tanto annunciato attacco di terra nella Striscia di Gaza è iniziato ieri sera al tramonto.
Colonne di militari con la stella di David appoggiate da elicotteri e mezzi corazzati sono entrate nella Striscia da tre direttrici (nord, centro e sud). Gli scontri con i miliziani di Hamas sono iniziati immediatamente e già si contano le prime vittime da ambo le parti.
Ma quali potranno essere gli scenari futuri per la Striscia di Gaza e per la Palestina più in generale?
Lo abbiamo chiesto a Ruben Weizmann, capo analista per il Medio Oriente di Watch International.
D – Sig. Weizmann, se lo aspettava questo attacco di terra?
R – si, dopo nove giorni di attacchi aerei gli obbiettivi da colpire erano esauriti e quelli rimasti comportavano un altissimo rischio per i civili dato che Hamas ha concentrato i propri arsenali in posizioni attorniate da abitazioni civili o addirittura dentro le abitazioni. E' chiaro quindi che se Israele vuole chiudere la partita con Hamas deve per forza adottare la tattica del “corpo a corpo”.
D – nel mondo però l'invasione di Gaza ha suscitato moltissime proteste
R – ci si deve decidere. Se Israele attacca per via aerea e fa vittime civili risparmiando i propri uomini si protesta. Se Israele invece attacca via terra mettendo a rischio la vita dei propri uomini ma con un rischio molto più ridotto di fare vittime tra la popolazione civile, si protesta ugualmente. L'attacco di terra si è reso necessario proprio per colpire solamente i miliziani di Hamas e per distruggere gli arsenali del movimento terrorista senza spargimento di sangue innocente. Ma tutto questo comporterà sicuramente un prezzo molto alto in termini di vite umane per Israele e questo a Gerusalemme lo sapevano benissimo, ma hanno preferito comunque adottare questa tattica piuttosto che fare altre vittime civili. Qui si sta parlando di una guerra vera e propria dove i rischi per i civili sono altissimi, specie perché Hamas usa farsi scudo proprio dei civili. L'invasione via terra è quindi un atto di responsabilità di Israele e non il contrario.
D – sig. Weizmann, la guerra poteva essere evitata?
R – difficile rispondere a questa domanda. Quando Hamas non ha accettato di rinnovare la tregua e ha iniziato a lanciare missili verso Israele sapeva benissimo che la reazione israeliana sarebbe stata molto forte. I motivi per cui il movimento islamico ha optato per la lotta armata sono tanti e non sempre comprensibili. Penso però che i leader di Hamas cerchino principalmente di cavalcare lo scontento dei palestinesi verso Fatah e per il blocco di Gaza e per farlo abbiano usato l'unica arma che conoscono: la guerra. Quindi, quando come in questo caso a decidere è una scelta unilaterale (quella di Hamas) evitare lo scontro è molto difficile. In concreto ha ragione la nuova presidenza dell'Unione Europea che ieri ha parlato di “guerra difensiva” da parte di Israele, una guerra quindi difficilmente evitabile. Di certo Israele non poteva continuare a sopportare il lancio di Quassam che, se è vero che hanno una potenza distruttiva limitata, provocano nella popolazione uno stress enorme (
vedi video di vita quotidiana a Sderot)
D – arrivati a questo punto, quali saranno gli scenari futuri secondo lei?
R – personalmente credo che Israele non voglia occupare di nuovo in maniera permanente la Striscia di Gaza. Di certo però è impensabile che una volta distrutti gli arsenali e le rampe di lancio dei missili palestinesi, Israele si ritiri lasciando di nuovo il campo libero ad Hamas. Penso quindi che quando l'operazione “piombo fuso” avrà raggiunto i suoi obbiettivi l'intenzione israeliana sia quella di accettare una forza multinazionale a Gaza che impedisca il reinsediamento e il riarmo di Hamas e che traghetti la Striscia di Gaza verso la riunificazione alla Cisgiordania. Fondamentalmente quindi Gerusalemme farebbe quello che da molto tempo le viene chiesto dalla comunità internazionale ma, memore dell'esperienza libanese, senza Hamas tra i piedi. Se ciò avvenisse i primi a beneficiarne sarebbero proprio i palestinesi di Gaza che potrebbero tornare ad una vita normale.
D – a suo parere, quanto è alto il rischio di un allargamento del conflitto? Penso, per esempio, agli Hezbollah libanesi che hanno più volte minacciato di attaccare Israele.
R – questa è certamente l'incognita maggiore. Hezbollah si è fortemente riarmata, nonostante la presenza di Unifil, e Teheran soffia sul fuoco soprattutto perché vede nella distruzione di Hamas un primo passo verso un piano di attacco israeliano all'Iran e alle sue strutture nucleari. Il rischio quindi è molto alto. La tensione al confine con il Libano è altissima da mesi e da quando è stato eletto il nuovo Presidente libanese nella persona di Michel Suleiman si è ulteriormente innalzata visto che proprio Suleiman si è dato da fare parecchio per rafforzare l'alleanza con la Siria e l'Iran, oltretutto rilasciando molte dichiarazioni anti-israeliane. Molto dipenderà da Unifil che fino ad oggi non ha fatto praticamente niente per evitare il riarmo di Hezbollah ma potrebbe fare moltissimo per impedire che gli sciiti usino quelle armi. Il problema è che negli arsenali di Hezbollah ci sono missili (forniti dall'Iran n.d.r.) che potrebbero essere sparati da ben oltre il fiume Litani, dove cioè Unifil non ha giurisdizione. Israele di certo non potrebbe sopportare una grave provocazione come sarebbe il lancio di missili sulle sue città e si troverebbe quindi a dover reagire. A Gerusalemme hanno sicuramente calcolato anche questa eventualità e non per niente hanno spostato molte divisioni e migliaia di riservisti nel nord del Paese. Il rischio è comunque molto alto. Tutto è nelle mani di Teheran. Dipenderà esclusivamente dai Mullah un eventuale allargamento del conflitto.
D – la diplomazia internazionale può fare qualcosa per evitare che ciò accada?
R – certamente la diplomazia può fare pressioni su Teheran affinché non spinga in guerra gli Hezbollah, ma credo che la tentazione per i Mullah sia troppo alta, anche perché, come ho detto prima, potrebbero vedere nell'invasione di Gaza un primo passo verso un attacco all'Iran, un modo da parte israeliana di sbarazzarsi di una eventuale spina nel fianco. Quindi mi aspetto qualcosa sul fronte nord. Potrebbe essere solo qualche provocazione ma il rischio che dalle provocazioni si passi alla guerra è altissimo. D'altra parte le dichiarazioni di Hezbollah sono state chiare e difficilmente il movimento sciita lancia minacce senza farle seguire dai fatti.
Intervista di Elisa Arduini
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