Di Prof.Giuseppe Panissidi
Ricercatore nell’Università della Calabria
“Di ciò di cui non si può parlare, si deve tacere” (L.Wittgenstein)
Il prossimo 10 gennaio, il Consiglio Superiore della Magistratura, in sessione straordinaria, esaminerà una richiesta urgente, quanto eccezionale, avanzata da uno dei due titolari dell’azione disciplinare, il Procuratore Generale della Corte di Cassazione, a mente, si suppone, dell’art. 14, c. 2, del codice di disciplina per i magistrati. Concerne il trasferimento, “in via cautelare e provvisoria”, del Procuratore della Repubblica di Salerno, Luigi Apicella, in sospetto di devianze nei confronti di magistrati di Catanzaro, in ordine ai quali, presso il suo ufficio, si è da tempo radicata una specifica competenza a conoscere ed agire.
Tanta tempestività, pur sorprendendoci ammirati, non può esimerci da qualche domanda.
E, per cominciare, un punto dev’essere subito chiaro: l’attività della Procura salernitana, originariamente, si è concentrata sull’ex pm De Magistris, chiamato in causa dagli esposti inoltrati dai vertici giudiziari di Catanzaro.
Ma fino ad allora, nulla quaestio, tutto sembrava regolare e nessuno evocava metafore belliche, in tema di relazioni fra magistrati e uffici giudiziari.
Questo irenico scenario istituzionale muta di colpo dopo l’archiviazione della posizione di De Magistris e si carica di una concitazione quasi palpabile, quando l’attenzione di Salerno, in costanza di specifiche emergenze investigative, s’indirizza verso i suoi accusatori.
Si profila, ex abrupto, come un’eterogenesi dei fini, peraltro polmone classico della storia.
Una tempesta perfetta, che genera un drammatico e complesso corto circuito politico-istituzionale, con rilevanti implicanze giuridiche.
In questo imprevedibile contesto, si registra un primo, significativo passaggio con il trasferimento a Napoli del magistrato, già in precedenza sollevato dall’inchiesta-Mastella, per asserita incompatibilità con il ministro, che ne aveva sollecitato e ottenuto l’allontanamento.
Ed ecco irrompere una prima, inquietante stranezza.
Nell’esercizio della giurisdizione, ogni eventuale situazione di ostilità fra soggetti processuali, idonea a determinare l’incompatibilità di un magistrato rispetto a una specifica res iudicanda, deve tassativamente riguardare epoche e fatti precedenti ed estranei al procedimento de quo. Non mai quel medesimo procedimento. A salvaguardia del principio costituzionale del giudice naturale, per diritto, dottrina e giurisprudenza, uniformi e costanti.
Sicché il CSM, anziché (o, quanto meno, prima di) affrettarsi a trasferire De Magistris, avrebbe dovuto rimuovere gli autori dello scippo.
Dei quali ultimi, invece, ha (molto) misteriosamente omesso di occuparsi anche dopo, ancorché da tempo perfettamente informato. E, comunque, nessuno, in questa fase, evocava ancora il modello simbolico della guerra.
Trascorso, nel silenzio, quasi un anno dalla prima informativa al CSM, la procura campana ha scontato l’impervia necessità d’intervenire direttamente in Calabria, al fine di acquisire le copie di quella documentazione che pervicacemente – tipica forma di obstruction of justice, fattispecie delittuosa fra le più gravi di ogni ordinamento giuridico democratico, come quello USA! – le venivano negate.
Prova ne sia che (soltanto) ora ha potuto conseguirne la disponibilità, previa consegna spontanea da parte dell’AG di Catanzaro. Ad ulteriore, inequivoca conferma – ove mai necessaria – del suo buon diritto.
Una documentazione ritenuta indispensabile, a fini probatori, per l’autotutela costituzionale del processo, di recente richiamata dallo stesso Capo dello Stato, nonché presidente del CSM, e per le “determinazioni inerenti l’esercizio dell’azione penale”.
Obbligatoria. Fino ad abrogazione prossima ventura.
Quanto alle lamentate modalità, pretestuosamente definite “sconcertanti”, della rituale perquisizione di un comune (o no?) cittadino/ magistrato, indiziato – salva la presunzione di non-colpevolezza – di gravi delitti (anche in danno di De Magistris) mette conto osservare che zaini e corpi non godono del beneficio di extraterritorialità,mentre possono ben occultare - logica/fisica! - tracce di reato, come documenti, cellulari o quant’altro. Di sicuro, non armadi. Che, del resto, nessuno cercava.
Come si può agevolmente constatare, nessuna guerra, né prima, né dopo. Per la guerra, si sa, bisogna sempre essere almeno in due, mentre nel caso in esame abbiamo visto soltanto un abuso da una parte sola, scopertamente. Da parte di indagati, che non hanno esitato a bloccare un’operazione legale di sequestro, disposto ed eseguito dall’AG procedente.
Lo Stato costituzionale di diritto – non di rovescio - a quanti e quali altri indagati concede privilegi siffatti? Come quello, se possibile ancora più dirompente ed eversivo, di avviare procedimenti strumentali nei confronti del proprio giudice. Il quale – s’impara persino alla scuola d’infanzia – in caso di illeciti, può e deve essere giudicato esclusivamente da altro giudice terzo, il suo. Non certo dai suoi indagati, nemmeno a carnevale!
Malgrado ciò, di questa vicenda si è blaterato a iosa, quasi sempre a sproposito, anche ai livelli più elevati. Una completa carenza di dinamiche, analitiche e pratiche, oggettivanti, che suggerisce una precisa domanda: esattamente, quale è la posta in gioco? Quali le ragioni sottese a questa nebulosa commistione di responsabilità vere e falsità manifeste, nella hegeliana “notte in cui tutte le vacche sono nere”? Forse “è sempre guerra”? (Tolstoj) perché “finché c’è guerra, c’è speranza” (Sordi) quella confusione, che suole rendere le situazioni eccellenti, sotto il cielo?
Fino al punto di rinunciare a comprendere e/o ostacolare il comprendere, la più nobile attività dello spirito, quel sapersi collocare sulla cerniera fra un prima e un dopo, dentro la relazione che li stringe.
Rinveniamo una limpida traccia di senso in un riferimento puntuale, sufficiente ad inquadrare correttamente il merito, purtroppo assente nel dilagare degli sproloqui, di chiacchiere impotenti o, peggio, in mala fede.
In solenne concomitanza con il Natale, va in scena un evento straordinariamente straordinario, che vagamente somiglia a un miracolo: la moltiplicazione, a Catanzaro, non di pani e pesci, ma di … investigati, anzi, di pre-avvisati d’incriminazione, i quali, come d’incanto, sono passati dai 30 di De Magistris a 106.
Con le conseguenti,immediate e inaudite dimissioni di un senatore della Repubblica, all’avanzare di inchieste liquidate, fino a ieri, come “insostenibili” da legioni di politici e opinionisti, sull’intera gamma dei media. Inchieste, in merito alle quali un altro pm – non il rimosso De Magistris, né il rimovendo Apicella (lui, o l’intero ufficio … fisico?) – nell’abbandonare, sua sponte, la procura di Catanzaro, alla volta di Crotone, dichiarava (a RAI Calabria): “Operano in una prospettiva di stralcio e archiviazione, vado via!”.
E che sarà mai accaduto … dopo?
Sennonché, giunti a tal punto i conti non tornano più.
A causa di un singolare e inesplicabile (concettualizzato in dottrina!) travisamento del fatto: De Magistris è stato rimosso per condotte in eccesso. Non in difetto, notoriamente.
Al contrario – ora è patente – ha tenuto un profilo piuttosto basso, muovendosi, e contenendosi, entro un orizzonte investigativo sottodimensionato! Un equilibrio davvero invidiabile.
Sicché, l’unione nazionale dei penalisti non ha ragione alcuna di preoccuparsi per il suo equilibrio, paventando imprecisati rischi. Forse in connessione con il suo odierno ruolo di giudice del riesame, che deve occuparsi della tangentopoli a Napoli, mentre lo si preferirebbe giudice a … Berlino?!
Certo è che questo magistrato, palesemente non-eccellente, è stato sottratto dallo Stato alle aule di Giustizia della Calabria. Con buona pace di quanti quotidianamente denunciano la sottrazione, da altre aule di legge, di imputati eccellenti.
Una perfida nemesi, sotto mentite spoglie di par condicio. Serviti.
Ora, però, ci sentiamo immersi, in un brutto pasticciaccio. Di Stato.
Un impressionante coacervo di contraddizioni incomponibili, inopinatamente innescate dalla (temeraria e non dominabile) presenza di un giudice a Berlino/Salerno.
Un variopinto caleidoscopio di sussurri e grida. Che esibiscono una palmare evidenza: ne va dello Stato. Del suo incessante, faticoso, eppur costitutivo, bisogno di gabellare come vere e giuste cose che sono e appaiono semplicemente … necessarie.
Perché “lo Stato sa ciò che vuole” – al pari dei suoi gruppi dirigenti – a differenza del migliore dei suoi cittadini, e “persegue i suoi fini con ogni mezzo ritenuto idoneo” (G.W.F.Hegel o M.Weber o …)
Pura negatività etica? No di certo. Semmai, una consapevolezza siffatta, lucida e dolente, disvela qualche arcano, un consolante paradosso.
Non è poco, in un paese dalla verità molto elastica. E dalla coscienza oltremodo indulgente. Oltremodo.
In proposito, e conclusivamente, non sfuggirà che la norma invocata dal procuratore generale della Cassazione, in ragione della sua indole cautelare, statuisce la (improbabile) “provvisorietà” del trasferimento.
Di talché, se in Parlamento, bipartisan, si provvedesse a estendere anche a lui il lodalfano, il dott. Apicella, al suo rientro a Salerno, magari in virtù di una giustizia disciplinare (auspicabilmente) clemente, potrebbe riassumere, scongelata, la sua inchiesta, nelle more sospesa per legge dello Stato. Non sembri un’idea esilarante, non mira al sorriso. C’è forse da ridere in questa storia?
Fonte:Il Messaggero
Tanta tempestività, pur sorprendendoci ammirati, non può esimerci da qualche domanda.
E, per cominciare, un punto dev’essere subito chiaro: l’attività della Procura salernitana, originariamente, si è concentrata sull’ex pm De Magistris, chiamato in causa dagli esposti inoltrati dai vertici giudiziari di Catanzaro.
Ma fino ad allora, nulla quaestio, tutto sembrava regolare e nessuno evocava metafore belliche, in tema di relazioni fra magistrati e uffici giudiziari.
Questo irenico scenario istituzionale muta di colpo dopo l’archiviazione della posizione di De Magistris e si carica di una concitazione quasi palpabile, quando l’attenzione di Salerno, in costanza di specifiche emergenze investigative, s’indirizza verso i suoi accusatori.
Si profila, ex abrupto, come un’eterogenesi dei fini, peraltro polmone classico della storia.
Una tempesta perfetta, che genera un drammatico e complesso corto circuito politico-istituzionale, con rilevanti implicanze giuridiche.
In questo imprevedibile contesto, si registra un primo, significativo passaggio con il trasferimento a Napoli del magistrato, già in precedenza sollevato dall’inchiesta-Mastella, per asserita incompatibilità con il ministro, che ne aveva sollecitato e ottenuto l’allontanamento.
Ed ecco irrompere una prima, inquietante stranezza.
Nell’esercizio della giurisdizione, ogni eventuale situazione di ostilità fra soggetti processuali, idonea a determinare l’incompatibilità di un magistrato rispetto a una specifica res iudicanda, deve tassativamente riguardare epoche e fatti precedenti ed estranei al procedimento de quo. Non mai quel medesimo procedimento. A salvaguardia del principio costituzionale del giudice naturale, per diritto, dottrina e giurisprudenza, uniformi e costanti.
Sicché il CSM, anziché (o, quanto meno, prima di) affrettarsi a trasferire De Magistris, avrebbe dovuto rimuovere gli autori dello scippo.
Dei quali ultimi, invece, ha (molto) misteriosamente omesso di occuparsi anche dopo, ancorché da tempo perfettamente informato. E, comunque, nessuno, in questa fase, evocava ancora il modello simbolico della guerra.
Trascorso, nel silenzio, quasi un anno dalla prima informativa al CSM, la procura campana ha scontato l’impervia necessità d’intervenire direttamente in Calabria, al fine di acquisire le copie di quella documentazione che pervicacemente – tipica forma di obstruction of justice, fattispecie delittuosa fra le più gravi di ogni ordinamento giuridico democratico, come quello USA! – le venivano negate.
Prova ne sia che (soltanto) ora ha potuto conseguirne la disponibilità, previa consegna spontanea da parte dell’AG di Catanzaro. Ad ulteriore, inequivoca conferma – ove mai necessaria – del suo buon diritto.
Una documentazione ritenuta indispensabile, a fini probatori, per l’autotutela costituzionale del processo, di recente richiamata dallo stesso Capo dello Stato, nonché presidente del CSM, e per le “determinazioni inerenti l’esercizio dell’azione penale”.
Obbligatoria. Fino ad abrogazione prossima ventura.
Quanto alle lamentate modalità, pretestuosamente definite “sconcertanti”, della rituale perquisizione di un comune (o no?) cittadino/ magistrato, indiziato – salva la presunzione di non-colpevolezza – di gravi delitti (anche in danno di De Magistris) mette conto osservare che zaini e corpi non godono del beneficio di extraterritorialità,mentre possono ben occultare - logica/fisica! - tracce di reato, come documenti, cellulari o quant’altro. Di sicuro, non armadi. Che, del resto, nessuno cercava.
Come si può agevolmente constatare, nessuna guerra, né prima, né dopo. Per la guerra, si sa, bisogna sempre essere almeno in due, mentre nel caso in esame abbiamo visto soltanto un abuso da una parte sola, scopertamente. Da parte di indagati, che non hanno esitato a bloccare un’operazione legale di sequestro, disposto ed eseguito dall’AG procedente.
Lo Stato costituzionale di diritto – non di rovescio - a quanti e quali altri indagati concede privilegi siffatti? Come quello, se possibile ancora più dirompente ed eversivo, di avviare procedimenti strumentali nei confronti del proprio giudice. Il quale – s’impara persino alla scuola d’infanzia – in caso di illeciti, può e deve essere giudicato esclusivamente da altro giudice terzo, il suo. Non certo dai suoi indagati, nemmeno a carnevale!
Malgrado ciò, di questa vicenda si è blaterato a iosa, quasi sempre a sproposito, anche ai livelli più elevati. Una completa carenza di dinamiche, analitiche e pratiche, oggettivanti, che suggerisce una precisa domanda: esattamente, quale è la posta in gioco? Quali le ragioni sottese a questa nebulosa commistione di responsabilità vere e falsità manifeste, nella hegeliana “notte in cui tutte le vacche sono nere”? Forse “è sempre guerra”? (Tolstoj) perché “finché c’è guerra, c’è speranza” (Sordi) quella confusione, che suole rendere le situazioni eccellenti, sotto il cielo?
Fino al punto di rinunciare a comprendere e/o ostacolare il comprendere, la più nobile attività dello spirito, quel sapersi collocare sulla cerniera fra un prima e un dopo, dentro la relazione che li stringe.
Rinveniamo una limpida traccia di senso in un riferimento puntuale, sufficiente ad inquadrare correttamente il merito, purtroppo assente nel dilagare degli sproloqui, di chiacchiere impotenti o, peggio, in mala fede.
In solenne concomitanza con il Natale, va in scena un evento straordinariamente straordinario, che vagamente somiglia a un miracolo: la moltiplicazione, a Catanzaro, non di pani e pesci, ma di … investigati, anzi, di pre-avvisati d’incriminazione, i quali, come d’incanto, sono passati dai 30 di De Magistris a 106.
Con le conseguenti,immediate e inaudite dimissioni di un senatore della Repubblica, all’avanzare di inchieste liquidate, fino a ieri, come “insostenibili” da legioni di politici e opinionisti, sull’intera gamma dei media. Inchieste, in merito alle quali un altro pm – non il rimosso De Magistris, né il rimovendo Apicella (lui, o l’intero ufficio … fisico?) – nell’abbandonare, sua sponte, la procura di Catanzaro, alla volta di Crotone, dichiarava (a RAI Calabria): “Operano in una prospettiva di stralcio e archiviazione, vado via!”.
E che sarà mai accaduto … dopo?
Sennonché, giunti a tal punto i conti non tornano più.
A causa di un singolare e inesplicabile (concettualizzato in dottrina!) travisamento del fatto: De Magistris è stato rimosso per condotte in eccesso. Non in difetto, notoriamente.
Al contrario – ora è patente – ha tenuto un profilo piuttosto basso, muovendosi, e contenendosi, entro un orizzonte investigativo sottodimensionato! Un equilibrio davvero invidiabile.
Sicché, l’unione nazionale dei penalisti non ha ragione alcuna di preoccuparsi per il suo equilibrio, paventando imprecisati rischi. Forse in connessione con il suo odierno ruolo di giudice del riesame, che deve occuparsi della tangentopoli a Napoli, mentre lo si preferirebbe giudice a … Berlino?!
Certo è che questo magistrato, palesemente non-eccellente, è stato sottratto dallo Stato alle aule di Giustizia della Calabria. Con buona pace di quanti quotidianamente denunciano la sottrazione, da altre aule di legge, di imputati eccellenti.
Una perfida nemesi, sotto mentite spoglie di par condicio. Serviti.
Ora, però, ci sentiamo immersi, in un brutto pasticciaccio. Di Stato.
Un impressionante coacervo di contraddizioni incomponibili, inopinatamente innescate dalla (temeraria e non dominabile) presenza di un giudice a Berlino/Salerno.
Un variopinto caleidoscopio di sussurri e grida. Che esibiscono una palmare evidenza: ne va dello Stato. Del suo incessante, faticoso, eppur costitutivo, bisogno di gabellare come vere e giuste cose che sono e appaiono semplicemente … necessarie.
Perché “lo Stato sa ciò che vuole” – al pari dei suoi gruppi dirigenti – a differenza del migliore dei suoi cittadini, e “persegue i suoi fini con ogni mezzo ritenuto idoneo” (G.W.F.Hegel o M.Weber o …)
Pura negatività etica? No di certo. Semmai, una consapevolezza siffatta, lucida e dolente, disvela qualche arcano, un consolante paradosso.
Non è poco, in un paese dalla verità molto elastica. E dalla coscienza oltremodo indulgente. Oltremodo.
In proposito, e conclusivamente, non sfuggirà che la norma invocata dal procuratore generale della Cassazione, in ragione della sua indole cautelare, statuisce la (improbabile) “provvisorietà” del trasferimento.
Di talché, se in Parlamento, bipartisan, si provvedesse a estendere anche a lui il lodalfano, il dott. Apicella, al suo rientro a Salerno, magari in virtù di una giustizia disciplinare (auspicabilmente) clemente, potrebbe riassumere, scongelata, la sua inchiesta, nelle more sospesa per legge dello Stato. Non sembri un’idea esilarante, non mira al sorriso. C’è forse da ridere in questa storia?
Fonte:Il Messaggero
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