Di Gianni Barbacetto
Silvio Berlusconi ha annunciato che sta per scoppiare lo scandalo più grave della Repubblica: migliaia di persone intercettate, ignari cittadini sotto controllo.
Il riferimento è al cosiddetto archivio Genchi, cioè ai file raccolti da Gioacchino Genchi, poliziotto in aspettativa e consulente informatico di molte procure italiane (anche di Luigi De Magistris, per le indagini che poi gli sono state sottratte).
Da tempo si stanno addensando nuvole nere attorno all'ex poliziotto, già definito, nell'autunno 2007, «Licio Genchi» dall'allora ministro Clemente Mastella, i cui tabulati erano finiti nei computer del superconsulente.
In verità Genchi non organizzava logge segrete, semmai contribuiva a smantellarle, visto che De Magistris stava indagando proprio su un gruppo informale, un comitato d'affari che, nell'ipotesi investigativa del magistrato, appariva come una vera e propria associazione segreta.
Poi l'indagine fu sottratta a De Magistris e la consulenza a Genchi.
Oggi gli investigatori sono diventati indagati e Berlusconi annuncia che sta per scoppiare il superscandalo.
Strano: erano i suoi amici della P2 (quella originale, quella di Licio Gelli) ad avere ereditato i segreti (e il relativo potere di ricatto) di quello che era finora considerato il più grave scandalo della Repubblica a base di controlli e dossier:
lo scandalo del Sifar, con migliaia di schedature illegali fatte dagli uomini del servizio segreto militare.
Strano: credevamo che, dopo quello del Sifar, fosse degno di nota lo scandalo degli spioni della Telecom di Marco Tronchetti Provera, amico di Berlusconi, che avevano anch'essi messo insieme migliaia di dossier illegali.
Oppure quello della centrale Sismi di via Nazionale, a Roma, dove Pio Pompa e Niccolò Pollari, amici di Berlusconi, dopo il 2001 si erano messi al lavoro per «disarticolare», «neutralizzare» e «dissuadere», anche con «provvedimenti» e «misure traumatiche», i nemici del leader di Forza Italia in quel momento appena tornato al governo. E invece no.
Il vero scandalo, scopriamo oggi, è il cosiddetto "archivio Genchi".
Ma che cos'è l'"archivio Genchi"?
Punto primo: qualunque cosa sia, non c'entra con le intercettazioni.
Genchi di intercettazioni non ne ha fatta neppure una.
Il lavoro in cui Genchi eccelle è quello dell'analisi e dell'incrocio dei tabulati telefonici, che permettono di sapere chi parla con chi, quanto spesso, da quali luoghi (ma non che cosa dice).
Punto secondo: Genchi queste informazioni non le ha raccolte ed elaborate in proprio, ma su richiesta e per conto delle procure della Repubblica che gli hanno regolarmente commissionato le consulenze.
Punto terzo: può essere che Genchi si sia "allargato", che i suoi rapporti alle procure andassero al di là dell'incarico tecnico, ipotizzando scenari, fornendo interpretazioni. Ma questo non è un reato; sta al magistrato, e solo a lui, decidere come utilizzare le consulenze tecniche.
Punto quarto: Genchi è andato oltre il mandato affidatogli dai magistrati, indagando sui colloqui telefonici di persone estranee alle indagini e sviluppando incroci di traffico telefonico al di fuori del controllo dei magistrato?
Oppure, punto quinto, ha accumulato nei suoi computer dati provenienti da consulenze che si sono succedute nel tempo, realizzando un archivio personale? Questo non risulta.
Tutto il lavoro di Genchi era sempre a disposizione dei magistrati che gli avevano affidato le consulenze.
Ed è certo - punto sesto - che nessun elemento raccolto è stato utilizzato se non per le indagini. Genchi non ha utilizzato i dati in suo possesso per realizzare una centrale privata di spionaggio o di ricatto, ma sempre e soltanto per arricchire le indagini dei magistrati che gli affidavano le consulenze e per contrastare le centrali di potere e ricatto.
Il punto settimo è anche la conclusione della storia. Lo "scandalo Genchi" è cavalcato ad arte da Berlusconi e dai suoi per ottenere un risultato politico: ridurre l'impiego delle intercettazioni e delle indagini sui traffici telefonici, con la scusa che saremmo tutti intercettati, tutti sotto controllo, tutti a rischio di violazione della privacy; e togliere al pubblico ministero la guida delle indagini e il controllo della polizia giudiziaria, in nome degli "abusi" fin qui commessi.
Così Berlusconi farebbe un passo da gigante verso la sua meta: annullare i controlli di legalità sui politici, rendendo il pubblico ministero un "avvocato dell'accusa", senza strumenti efficaci d'indagine, senza autonomi poteri d'inchiesta, che sarebbero concentrati nelle mani della polizia (che è organo del governo).
Ai magistrati non resterebbe che stare in ufficio ad aspettare che qualche poliziotto di buona volontà porti loro le notizie di reato da sviluppare.
Sarebbe realizzata la discrezionalità dell'azione penale, perché sarebbe in ultima analisi il governo, cioè la politica, a decidere quali reati perseguire e quali no. Piuttosto difficile pensare che sarebbero perseguiti i reati dei politici...
Difficile anche capire come i cittadini potrebbero avere più garanzie: indagini e intercettazioni sarebbero nelle mani delle polizie e dei servizi di sicurezza, senza l'immediato controllo di legalità oggi esercitato dall'autonomo potere giudiziario. Attorno allo "scandalo Genchi" si gioca dunque una battaglia decisiva per la difesa della divisione dei poteri e dello Stato di diritto.
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