In questi ultimi tempi ho letto tre libri che mi hanno sconvolto, bruciando le mie certezze sulla storia. Autori che non calcano i primi posti delle classifiche, diversi nello stile, diversi in tutto. Due piemontesi e un napoletano;
Angelo Del Boca, di Novara, con Italiani brava gente?;
Gianni Oliva, torinese, con Si ammazza troppo poco;
Antonio Ciano, napoletano, con Le stragi e gli eccidi dei Savoia.
I piemontesi, comunque, fermano la loro visione alle guerre coloniali il primo e a quelle balcaniche il secondo; il napoletano invece affonda il bisturi nella ferita infetta del Risorgimento, che lui chiama piemontese e non italiano.
Arrivo alla mia domanda, con quale coraggio Bruno Vespa ha portato alla sua trasmissione serale Vittorio Emanuele di Savoia?
E con quale coraggio questi signori hanno chiesto i beni requisiti dalla nostra Repubblica?
Per caso loro hanno ridato ai Borbone i soldi depositati nel Banco di Napoli e rubati dai gariba1dini?
Per caso i Savoia hanno restituito agli eredi di Francesco II i beni personali requisiti?
Francesco di Borbone è stato fatto morire in esilio e mai fatto rientrare in Italia. Secondo Ciano, i Savoia non hanno mai dichiarato guerra al Regno delle Due Sicilie, quindi criminali di guerra, e per questo motivo gli eredi di Vittorio Emanuele II dovrebbero pagare i danni a Gaeta, rasa al suolo dal generale Cialdini con 160 mila bombe.
Antonio Scorzelli, Roccadaspide (Sa)
Antonio Scorzelli, Roccadaspide (Sa)
I libri che lei cita, signor Scorzelli, raccontano delle verità che nel libri di storia stentano ad arrivare. Purtroppo, quel che ha letto è tutto vero, dettaglio più, dettaglio meno.
Del Boca, nei suoi documentatissimi libri sulle avventure coloniali italiane in Africa, ha narrato di quali infamie ci siamo resi protagonisti; invasione a scopo di rapina, saccheggi, stupri, campi di concentramento per “terroristi” (patrioti, visto che lottavano per difendere il proprio Paese), che divennero di sterminio, per fame e malattie (specie sul golfo della Sirte).
Certo, quello era il modo, in quegli anni: inglesi, francesi, per dire, non si comportarono meglio. Ma ognuno risponde per sé.
Con Si ammazza troppo poco, si fa luce su analoghi comportamenti del nostri connazionali in armi, nei Balcani. Ancora una volta: era la Seconda guerra mondiale, con tutte le esplosioni di ferocia che ancora stentiamo a capire.
Non va dimenticato che la nomea di “Italiani brava gente”, nonostante tutto quello che stiamo dicendo, qualche fondamento ce l’ha: nel comportamento dei migliori fra noi nelle colonie; nel ripudio, per esempio, dell’olocausto (in tutto il resto d’Europa, l’80 per cento degli ebrei venne sterminato; in Italia, 1′80 per cento degli ebrei si salvò).
Quanto al libro di Antonio Ciano, tocca un tema che più a lungo, e paradossalmente, è rimasto negletto: il modo in cui è stata fatta l’Unità d’Italia: con l’invasione, il saccheggio, il massacro.
Al punto che Massimo D’Azeglio (che pure era stato uno dei principali sostenitori dell’impresa) osservava: è chiaro che non ci vogliono, se dobbiamo tenere lì un esercito di occupazione.
In realtà, non tanto la cosa in sé (l’Unità, storicamente ed economicamente irrinunciabile), ma il modo destava la rivolta.
Finora, se ricordo bene, il conteggio dei paesi del Sud trattati come Marzabotto dai nazisti (o gli indiani da Custer, sul
Sand Creek - in realtà da Chivington, ndr) e arrivato a un’ottantina. E alcuni lo furono due volte: prima dai piemontesi, poi dai “briganti”, o viceversa. Ma nella sua osservazione: “due scrittori piemontesi e uno napoletano”, mi sembra di scorgere una sottolineatura polemica. È inopportuna, perché due del più documentati e interessanti libri sulle vergogne dell’Unità sono stati scritti da Lorenzo Del Boca, figlio di Angelo, torinese anche lui, giornalista di valore (tanto da essere eletto presidente dell’Ordine professionale).
Quella ferocia, signor Scorzelli, le truppe piemontesi non la usarono solo nel Mezzogiorno. Per una banale manifestazione di protesta, Genova venne sanguinosamente punita, bombardata dal mare; invasa e sottoposta a violenze inaudite, con impunita libertà di stupro. E quando un generale (Alfonso La Marmora, ndr), per giustificarle, disse che l’irruenza di baldi soldatini non poteva essere dispiaciuta alle genovesi, il disgustato suo interlocutore (Vincenzo Ricci, genovese, ministro dell’interno, ndr) augurò uguale soddisfazione alle donne di casa del generale.
Elencate cosi le cose, c’è il rischio che gl’Italiani sembrino il peggio che c’è.
No, non peggiori di altri; e, in più occasioni, sicuramente migliori.
Ma meno disposti, si direbbe, a fare i conti con la propria storia; più usi a dimenticare, sopire, nascondere; ad assolversi senza aver saputo, ragionato, capito.
Pino Aprile, direttore di ” Gente” (all’epoca)
Nessun commento:
Posta un commento