Di Gabriele Morelli
BOLOGNA, 14 NOV. 2008 - Volevano creare una nuova Bologna nell’estremo confine della Terra, quando qui in Italia la guerra era appena finita e l’Argentina significava ricchezza e benessere.
Perciò, sebbene a malincuore, decisero di partire.
E oggi, a sessant’anni di distanza, molti di loro hanno deciso di spolverare i ricordi e di raccontare la propria storia.
L’occasione è stato il convegno “Bologna Ushuaia: una emigrazione italiana, 1948-1949”, organizzato nella Cappella Farnese di Palazzo d’Accursio dalla Consulta regionale degli emiliano-romagnoli nel mondo, dal Comune di Bologna e dalla F.I.L.E.F. (Federazione Italiana Lavoratori Emigranti e Famiglie), con il contributo della Provincia, della Regione e della Fondazione del Monte.
Perciò, sebbene a malincuore, decisero di partire.
E oggi, a sessant’anni di distanza, molti di loro hanno deciso di spolverare i ricordi e di raccontare la propria storia.
L’occasione è stato il convegno “Bologna Ushuaia: una emigrazione italiana, 1948-1949”, organizzato nella Cappella Farnese di Palazzo d’Accursio dalla Consulta regionale degli emiliano-romagnoli nel mondo, dal Comune di Bologna e dalla F.I.L.E.F. (Federazione Italiana Lavoratori Emigranti e Famiglie), con il contributo della Provincia, della Regione e della Fondazione del Monte.
Questa è la storia di 618 italiani che il 23 settembre 1948 sono partiti dal porto di Genova alla volta di Ushuaia, un piccolo villaggio nel sud della Terra del Fuoco.
Erano stati reclutati da Carlo Borsari, un uomo d’affari bolognese che l’anno precedente si era aggiudicato un appalto messo in palio dal presidente argentino Juan Peron. Per avviare una politica di sviluppo abitativo ed economico nella zona meridionale del Paese e marcare un territorio sempre più minacciato dal vicino Cile, il governo di Buenos Aires aveva infatti deciso di convocare una serie di imprese edili disposte a costruire abitazioni, industrie e infrastrutture in quella terra di frontiera. E quando, il 28 ottobre, dopo oltre un mese di navigazione, la nave Genova attraccò sul suolo sudamericano, quelli che avevano accettato questa sfida affascinante ma rischiosa si trovarono davanti distese sconfinate e pressoché disabitate, su cui dovevano costruire da zero una nuova città .
Erano stati reclutati da Carlo Borsari, un uomo d’affari bolognese che l’anno precedente si era aggiudicato un appalto messo in palio dal presidente argentino Juan Peron. Per avviare una politica di sviluppo abitativo ed economico nella zona meridionale del Paese e marcare un territorio sempre più minacciato dal vicino Cile, il governo di Buenos Aires aveva infatti deciso di convocare una serie di imprese edili disposte a costruire abitazioni, industrie e infrastrutture in quella terra di frontiera. E quando, il 28 ottobre, dopo oltre un mese di navigazione, la nave Genova attraccò sul suolo sudamericano, quelli che avevano accettato questa sfida affascinante ma rischiosa si trovarono davanti distese sconfinate e pressoché disabitate, su cui dovevano costruire da zero una nuova città .
Anna Forlani si ricorda dei pinguini, “che erano più o meno come i cani qui da noi”, Aldo Freddo delle oltre 450 lettere scritte in quegli anni a una ragazza conosciuta poco prima di partire e che al suo ritorno avrebbe sposato. Daniele Triches invece ha ancora ben presenti nella mente le lunghe giornate di lavoro passate a costruire la centrale idroelettrica, mentre altri suoi compagni erano impegnati a tirar su il Villaggio Vecchio, fatto di prefabbricati, e, in secondo momento, il Barrio Almirante – o Villaggio Nuovo – in muratura.
E poi Augusta Benuzzi, che ha raggiunto nel 1949 il marito operaio e, una volta a Ushuaia, ha abbandonato il mestiere di parrucchiera per dedicarsi all’allevamento del bestiame.
Tante storie si sono succedute nel corso del convegno, per rimettere insieme, tassello dopo tassello, i pezzi di quell’esperienza unica di emigrazione, che per molti ha rappresentato il ritorno alla vita dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale.
E poi Augusta Benuzzi, che ha raggiunto nel 1949 il marito operaio e, una volta a Ushuaia, ha abbandonato il mestiere di parrucchiera per dedicarsi all’allevamento del bestiame.
Tante storie si sono succedute nel corso del convegno, per rimettere insieme, tassello dopo tassello, i pezzi di quell’esperienza unica di emigrazione, che per molti ha rappresentato il ritorno alla vita dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale.
Bologna infatti, come ha spiegato nel suo intervento il professor Angelo Varni, docente di Storia all’Alma Mater, “non fa parte della storia delle migrazioni italiane”. Secondo Varni, la città , cambiata molto durante il fascismo, ha risentito pesantemente del blocco dell’inflazione deciso nell’immediato periodo post-bellico dall’allora ministro Luigi Einaudi. Tutte le fabbriche di medie e grandi dimensioni entrarono in crisi e, nel 1947, la disoccupazione era ormai generalizzata e favoriva l’esportazione della manodopera locale. D’altra parte, in Argentina quello era il periodo della “festa peronista”, un periodo di forte crescita economica in cui c’era forte necessità di forza lavoro. Fernando J. Devoto dell’Università di Buenos Aires ha spiegato come il governo avesse stilato una sorta di identikit del perfetto migrante, che doveva essere europeo, latino e cattolico. Ecco perché di lì a poco, lo stato sudamericano è diventato “il Paese dove tutto sembra italiano, ma niente lo è veramente”.
Questa spedizione rappresenta il primo caso di emigrazione organizzata, perché tutti i 618 partecipanti partirono con un contratto già stipulato e valido anche per il mese di viaggio, ma è una storia che fino a ora non era mai stata raccontata. Ci ha pensato la psicologa Rosa Maria Travaglini, che, in conclusione dell’incontro, ha presentato il suo libro “Da Bologna al fin del Mondo” e il documentario “Orizzonte Sud”, in cui raccoglie le testimonianze di molti passeggeri della nave Genova, intervistati in Italia, ma anche a Buenos Aires e Ushuaia, da dove non sono più tornati. Secondo Travaglini, “questa esperienza è stata dimenticata perché ha suscitato, fin da subito, parecchie polemiche”. Sembra infatti che la missione venisse identificata come fascista e che avesse permesso ad alcuni sostenitori del regime ormai decaduto di lasciare l’Italia senza essere perseguiti. Ad avvalorare la tesi, alcune coincidenze: la data di arrivo della spedizione a Ushuaia, il 28 ottobre, che coincise con il anniversario della Marcia su Roma e il nome del Barrio Almirante, attribuito in maniera del tutto grossolana al segretario del neonato Msi e non all’ammiraglio a cui il villaggio è stato in effetti dedicato. Il figlio di Borsani, Franco, considera queste voci “pure dicerie”, create per screditare quella che, senza ombra di dubbio, è stata una delle pagine più importanti dell’emigrazione italiana. E, dopo che ieri il presidente Napolitano ha definito gli immigrati “una forza per il Paese”, ha avuto ragione il vicesindaco di Bologna Adriana Scaramuzzino quando, aprendo i lavori, ha ricordato come sia necessario “guardare al passato per cogliere il significato del presente”.
© Emilianet 2008
Nessun commento:
Posta un commento