Di Maurizio Assalto
«In passato il dittatore rovesciava la democrazia, il passaggio all’autocrazia era manifesto, rivoluzionario. Oggi questo processo avviene senza alcuna rivoluzione, senza neppure bisogno di riforme.
Il caso più patente è la Russia di Putin: formalmente resta un sistema semipresidenziale, ma di fatto un uomo solo si è impadronito del potere e di tutti i contropoteri previsti per contrastarlo. Potrebbe succedere anche in Italia, no?».
Un po’ con candore un po’ con malizia, con il distacco (apparente?) dello scienziato della politica, Giovanni Sartori ragiona ad alta voce ponendo un interrogativo retorico. Oggi sarà a Torino per concludere il primo semestre di attività della «Scuola per la buona politica» coordinata da Michelangelo Bovero e nata dalla collaborazione dei quattro istituti culturali torinesi intitolati a Gobetti, Gramsci, Rosselli e Salvemini (ore 14,45 presso il Circolo dei Lettori di via Bogino 9, ingresso riservato agli studenti della Scuola).
Titolo della sua lezione: «Come sta la democrazia?».Un altro interrogativo retorico, si direbbe.
«Nel complesso non è che stia avanzando, direi che c’è un riflusso. Vedi la Russia. Vedi l’America Latina, dove spuntano demagoghi populisti come Chávez, in Venezuela, che a differenza di Castro ha i soldi del petrolio e contagia i Paesi vicini. E anche la tanto sbandierata “esportazione della democrazia” da parte degli Stati Uniti è stata, nel Terzo Mondo, un fiasco totale».
Ma si può esportare la democrazia?
«Nel mio recente libriccino La democrazia in trenta lezioni (Mondadori) io dico: a volte sì, a volte no. Per esempio è stata benissimo esportata dagli inglesi in India. O dagli Stati Uniti in Giappone, dopo una imposizione iniziale. In altri casi invece non è possibile. Non è esportabile, soprattutto, nei Paesi islamici, perché sono teocrazie fondate sulla volontà di Allah, non sulla volontà del popolo. Dio e popolo sono due principi di legittimità opposti e inconciliabili. L’unico Paese islamico laico, con una costituzione liberaldemocratica imposta dalla dittatura di Atatürk e protetta - non è un paradosso - dai militari, è la Turchia: ma anche lì il fondamentalismo sta riemergendo, dopo ottant’anni di separazione tra Stato e Chiesa».
Tornando all’Italia...
«Con Berlusconi il nostro resta un assetto costituzionale in ordine, la Carta della Prima Repubblica non è stata abolita. Perché non c’è più bisogno di rifarla: la si può svuotare dall’interno. Se si impacchetta la Corte costituzionale, se si paralizza la magistratura...».
È quello che sta accadendo?
«Forse no. La mia è soltanto una ipotesi di dottrina: si può lasciare tutto intatto, tutto il meccanismo di pesi e contrappesi, e di fatto impossessarsene, occuparne ogni spazio. Alla fine rimane un potere “transitivo” che traversa tutto il sistema politico e comanda da solo».
Ma perché, in Italia come anche altrove, la democrazia funziona male?
«I motivi sono tanti. Se la scuola non funziona, se è al collasso, come da noi, il cittadino maturo e consapevole non nasce. Poi c’è la crisi etica, che produce il capitalismo selvaggio, il supercapitalismo di cui parla Guido Rossi. E c’è una crisi di capacità cognitiva che ci fa perdere il controllo sulla realtà politico-sociale. Il mondo è diventato così complicato che sfugge alla comprensione anche degli esperti. Non siamo più in grado di fare l’ingegneria della storia - di dominare la storia - perché non abbiamo un sapere politico-sociale fondato sul “saper fare”, sul know how. Nelle discipline scientifiche è diverso, per esempio abbiamo una fisica pura e una fisica applicata; ma nelle discipline sociali la scienza applicata che “sa fare” non c’è. Tanto è vero che quasi tutte le riforme, in generale, falliscono. Falliscono perché non riusciamo a prevederne gli effetti. Insomma, soffriamo di sottoconoscenza».
Poi c’è il pesante fardello dell’Homo videns, come lei lo chiamava nel suo libro su «Televisione e post-pensiero».
«Sì, certo. La televisione crea cattivi cittadini. Non tanto per una questione di suoi contenuti. L’Homo videns è incapace di astrazione, sa solo di quello che vede alla tv. Ma lo Stato, la giustizia, la libertà, i diritti sono concetti astratti: come faccio a rappresentarli in immagini? Pertanto, se perdiamo la capacità di astrazione, perdiamo la capacità di capire la città liberaldemocratica nella quale viviamo. Alla fine dell’Ottocento la classe operaia leggeva i giornali, si ritrovava nei circoli di partito e discuteva appassionatamente di politica. Oggi si parla soltanto di calcio. Perché? Perché il calcio è visibile, e le sue regole sono facili da capire. Mentre la politica richiede un “pensare per concetti” al quale non siamo più addestrati, e che ci annoia».
Ha insegnato alla Columbia Giovanni Sartori è nato a Firenze 84 anni fa.
Esperto di politica comparata, tra i maggiori politologi a livello internazionale, ha insegnato a Firenze e alla Columbia University di New York.
Fonte:La Stampa
1 commento:
Sono finalmente soddisfatto che qualcosa al sud si muova e che la verità sulla conquista regia e le sue conseguenze non siano notizie soltanto mie.La prima volta che ne ho parlato mi guardavano come fossi un marziano.Mi dissero che spiegavo la storia per il popolino.Complimenti e avanti.
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