All’alba del 7 ottobre 1571, di fronte al golfo di Patrasso in Grecia, presso Lepanto, si trovano schierate due grandi armate navali: quella dei Turchi con duecentoventidue galee e altri vascelli minori, e l’armata cristiana con duecentosette galee e pochi vascelli minori.
Con grande fatica e lunghe trattative, il Papa è riuscito finalmente a riunire le forze dei Principi cattolici d’Italia, Spagna, Germania ed a concludere la Lega Cattolica. Il comando supremo è affidato al Principe Don Giovanni D’Austria, figlio dell’Imperatore Carlo V e fratello di Filippo II, di Spagna, che riceve solennemente, nella Chiesa di Santa Chiara in Napoli, lo Stendardo donato dal Papa. Riceve pure un quadro con l’Immagine della Madonna e la scritta S. Maria succurre miseris, dono del Superiore del Monastero dei Celestini, in San Pietro a Maiella.
Scopo della Lega è fermare la strapotenza turca che domina già l’antico Mediterraneo orientale, e in quell’anno occupata Cipro, minaccia l’intera Europa, con l’audacia di giungere fino a Roma.
Quando è dato il segno della battaglia con il rombo dei cannoni e le urla da parte delle Galee turche, tutte le galee dell’armata cristiana ammainano la propria bandiera. Solo sul pennone della nave capitana è innalzato lo Stendardo della Lega con l’immagine di Gesù Crocefisso, ed all’albero maestro della nave capitana è appeso il quadro della Madonna con l’invocazione S. Maria succurre miseris.
I Principi, i cavalieri, i marinai piegano il ginocchio e, con lo squillo di trombe, si leva il grido «Gesù, donaci la vittoria! Santa Maria, pregate per noi!».
Quel giorno la Madonna fu veramente la vincitrice, sostenendo il coraggio dei combattenti in una battaglia sanguinosa durata fino a sera. La notizia della vittoria è comunicata a Roma in modo miracoloso.
Il Papa San Pio V che tanto si è adoperato per riunire in santa lega le forze delle potenze cristiane, la sera di quel giorno memorando, ritirato nella sua camera del Palazzo Vaticano, prega per i suoi figli lontani.
Improvvisamente una grande visione si apre ai suoi occhi: sulla lontana distesa del mare, popolata da centinaia di navi, egli vede l’armata dei Cristiani, in una furibonda lotta, vincere l’armata dei Turchi.
In questo atteggiamento lo raffigura il pittore Mario Barberis nel quadro posto sull’altare a lui dedicato, nella Basilica di Maria Ausiliatrice in Torino.Il Papa si affretta allora ad annunziare che la grande battaglia è vinta per intercessione della Vergine Santissima, e vuole che subito si levi al Signore un inno di ringraziamento e di riconoscenza per il grande favore concesso alla Cristianità. L’annunzio ufficiale della vittoria giungerà a Roma soloventitré giorni dopo, portato dai messaggeri di Marcantonio Colonna, l’ammiraglio del Papa, il quale viene accolto, al suo ritorno, con grandi onori.
A ricordo di questa insigne vittoria riportata dai Cristiani con l’aiuto della Vergine, il Papa S. Pio V, come è detto nel Martirologio romano, fissa nel giorno 7 ottobre la festa del santo Rosario e la commemorazione di Santa Maria della Vittoria. San Pio V provvede pure ad inserire nelle Litanie lauretane il titolo Auxilium Christianorum.
La Congregazione dei Riti, nel Decreto per la istituzione della festa di Maria Ausiliatrice, afferma: «Pio VII emulò il suo predecessore Pio V che, per la strepitosa vittoria ottenuta con l’intercessione di Maria, inserì nelle Litanie lauretane il nuovo elogio di Auxilium Christianorum».
Oggi si può, con tutta certezza, asserire che questo titolo è anteriore al pontificato di San Pio V, ma la sua devozione si propaga in modo particolare dopo la vittoria di Lepanto, a cui va legato il nome del Santo Pontefice.
La Cupola maggiore della Basilica di Maria Ausiliatrice di Torino-Valdocco, recentemente riportata dai restauri al suo splendore originario, ritrae in cielo la gloria dell’Ausiliatrice, assisa in trono, e l’opera di Don Bosco in terra. Di fronte al trionfo dell’Ausiliatrice, il pittore Giuseppe Rollini ritrae, in una grandiosa rappresentazione, la battaglia di Lepanto, con un incrociarsi di galee e pennoni in lotta.Alla destra della scena della battaglia, sono ritratti, accanto al Papa San Pio V, i principi cristiani che contribuirono con le loro armate, ad ottenere la Vittoria di Lepanto. È un gruppo di dieci slanciate figure di cavalieri sfarzosamente vestiti, secondo il costume del tempo, raccolti intorno al re di Spagna Filippo II, il doge di Venezia Luigi Mocenigo, il duca Emanuele Filiberto di Savoia, ed altri.Alla sinistra un imponente gruppo di cavalli e cavalieri: sul destriero bianco, irrigidito quasi sull’attenti e che morde il freno, siede il re di Polonia Giovanni Sobieski che volge lo sguardo devoto verso la Madonna; accanto un altro cavaliere abbassa, in segno di omaggio alla Vergine, la bandiera strappata ai Turchi.
È la raffigurazione della liberazione di Vienna e della vittoria terrestre sui Turchi. Come Lepanto ferma l’avanzata turca per mare, così la vittoria di Vienna nel 1683 la ferma per terra, e l’Europa è salva!
Anche la battaglia di Vienna è frutto della protezione e dell’aiuto di Maria, pregata ed implorata con il Santo Rosario, da parte del popolo cristiano e dei combattenti, animati dallo zelo del cappuccino il Beato Marco d’Aviano.
Dopo la Battaglia di Vienna, il Papa B. Innocenzo XI, come omaggio di gratitudine alla Vergine, istituisce la Festa del Santo Nome di Maria, fissandola il 12 settembre. (1) Fedele Giraudi, Il Santuario di Maria SS. Ausiliatrice, Chiesa Madre dei Salesiani di Don Bosco in Torino (Torino, SEI 1948).
1 Affresco della cupola maggiore del Santuario di Maria Ausiliatrice. Gli Angeli srotolano l’arazzo mostrante la battaglia di Lepanto. Alla destra il Papa San Pio V e alla sinistra il re polacco Giovanni Sobieski che volge lo sguardo verso il trono della Vergine.
2 Il riscatto dei prigionieri cristiani ad opera dei Padri Mercedari.
3 I Prìncipi cristiani riuniti attorno al re di Spagna.
4 Maria in trono circondata dagli Angeli. In basso l’opera di Don Bosco e dei suoi figli nel mondo.
(Fonte: http://www.donbosco-torino.it/ )
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La battaglia
La flotta cristiana riuscì a concentrarsi a Messina alla fine di agosto del 1571. Presto, se si considera la difficoltà che dovettero superarsi; troppo tardi, secondo i più prudenti tra i condottieri cristiani: Requesens, inviato personale di Filippo II, e Gian Andrea Doria consigliavano di limitarsi a un atteggiamento difensivo; nello stesso senso scriveva da Pisa don Garcia de Toledo. "Ma don Giovanni prestò ascolto soltanto ai capi veneziani e a quei capitani spagnuoli della sua cerchia che insistevano per l'azione; e, presa la decisione, si dedicò al compito con l'ardore esclusivo del suo temperamento" (17).
In effetti, fu la sua energia, sostenuta dal fascino della sua personalità e dalla naturale attitudine al comando, a soffocare sul nascere riaffioranti contrasti tra capitani e tra equipaggi. Fu la sua volontà a perseguire lo scontro, andando a cercare l'armata nemica. Furono, poi, il suo coraggio e il suo valore militare a giocare un ruolo molto importante nella battaglia stessa.
Così, la flotta cristiana andò a cercare quella turca, la quale, dopo essersi spinta fino a metà Adriatico, era rientrata a Lepanto, per imbarcare nuovi equipaggi e nuovi viveri. La flotta cristiana era composta da duecentootto galee, quella turca da duecentotrenta. Centodieci galee avevano comandanti veneziani, anche se, per la scarsezza di uomini, gli equipaggi erano stati rinforzati con truppe provenienti dagli Stati spagnoli, in specie per il settore degli archibugieri.
Trentasei provenivano da Napoli e dalla Sicilia; ventidue da Genova, al comando del Doria; ventitré dagli Stati pontifici e da altri Stati italiani (18); quattordici dalla Spagna in senso stretto e tre da Malta (19).
La superiorità numerica, gli ordino avuti dal sultano e il suo temperamento personale indussero il comandante in capo della flotta turca, Alì, a non sottrarsi al combattimento, pur se nell'ambito dei comandanti turchi non poche voci si erano espresse in senso contrario.
Mentre le flotte si avvicinavano fu inalberato sulla galea del comandante in capo dell'armata cristiana (20) lo stendardo della Lega, offerto da san Pio V, che recava in campo cremisi il Crocifisso con, ai piedi, le armi del Pontefice, di Venezia e della Spagna. Don Giovanni e il comandante pontificio, Marcantonio Colonna, imbarcatisi su due piccoli e veloci legni, percorsero tutto lo schieramento, ricordando la natura divina della causa per cui combattevano e che il Crocifisso era il loro vero comandante. A bordo, i cappellani confessavano e i capitani incitavano; gli equipaggi lanciavano grida di guerra (21).
Un contemporaneo ricorda che nelle galee cristiane "tuttavia si toccavano assiduamente gli tamburi e ogni altra sorte di istrumenti", aggiungendo che esse "vogavano in bellissima ordinanza", cioè stando molto vicine, in modo da impedire la penetrazione di gruppi di navi nemiche (22). Il mare si calmò improvvisamente, e ciò parve miracoloso agli esperti di mare. La battaglia si accese, dopo che dalle imbarcazioni ammiraglie erano partiti i primi colpi di artiglieria.
La superiorità numerica, gli ordino avuti dal sultano e il suo temperamento personale indussero il comandante in capo della flotta turca, Alì, a non sottrarsi al combattimento, pur se nell'ambito dei comandanti turchi non poche voci si erano espresse in senso contrario.
Mentre le flotte si avvicinavano fu inalberato sulla galea del comandante in capo dell'armata cristiana (20) lo stendardo della Lega, offerto da san Pio V, che recava in campo cremisi il Crocifisso con, ai piedi, le armi del Pontefice, di Venezia e della Spagna. Don Giovanni e il comandante pontificio, Marcantonio Colonna, imbarcatisi su due piccoli e veloci legni, percorsero tutto lo schieramento, ricordando la natura divina della causa per cui combattevano e che il Crocifisso era il loro vero comandante. A bordo, i cappellani confessavano e i capitani incitavano; gli equipaggi lanciavano grida di guerra (21).
Un contemporaneo ricorda che nelle galee cristiane "tuttavia si toccavano assiduamente gli tamburi e ogni altra sorte di istrumenti", aggiungendo che esse "vogavano in bellissima ordinanza", cioè stando molto vicine, in modo da impedire la penetrazione di gruppi di navi nemiche (22). Il mare si calmò improvvisamente, e ciò parve miracoloso agli esperti di mare. La battaglia si accese, dopo che dalle imbarcazioni ammiraglie erano partiti i primi colpi di artiglieria.
Mentre Gian Andrea Doria, a capo dell'ala destra dello schieramento cristiano, era costretto ad allargarsi per evitare la manovra di aggiramento tentata dal corno sinistro dello schieramento turco, comandato da Euldj-Ali (27) la battaglia si decise nel centro. Le artiglierie giocarono un ruolo tutto sommato secondario, anche se la superiorità di fuoco delle sei galeazze veneziane, pesantemente armate, rimorchiate in prima fila, ebbe un peso rilevante nel gettare un sanguinoso disordine nel cuore dello schieramento nemico.
Decisiva fu la superiorità delle fanterie cristiane nella serie dei combattimenti ravvicinati tra singoli gruppi di galee, guidate da capi che "non mancavano di mostrare animo gagliardo e grande" (24). Intanto, "gran parte degli schiavi cristiani che si trovavano sopra l'armata nemica [...]
facevano ogni sforzo per procacciare il loro scampo e la vittoria dei nostri" (25).
facevano ogni sforzo per procacciare il loro scampo e la vittoria dei nostri" (25).
Molti furono gli episodi di eroismo: l'equipaggio della galera Fiorenza dell'Ordine di Santo Stefano, tutto ucciso salvo il suo comandante Tommaso de' Medici e quindici, uomini. Il generale Giustiniani, dell'Ordine di Malta, e il comandante della galera capitana dell'Ordine, fra' Rinaldo Naro, furono feriti tre volte; quaranta cavalieri di Malta caddero nel combattimento (21).
Morì, tre giorni dopo la battaglia, anche il comandante in seconda veneziano, Agostino Barbarigo, il quale, accorgendosi che ì suoi ordini non erano uditi bene, si scoprì il viso mentre "i nemici più fieramente saettavano; essendogli detto si coprisse [...] rispose che minor offesa egli sentirebbe di essere ferito che di non essere udito", e fu così ferito mortalmente (27).
Del valore di don Giovanni si è detto; va anche ricordato il grande apporto di Marcantonio Colonna e del settantacinquenne comandante veneziano Sebastiano Venier.
Le proporzioni della sanguinosa battaglia possono essere riassunte in poche cifre. Se i caduti cristiani furono circa 9 mila, quelli turchi furono 30 mila, e varie altre migliaia quelli catturati.
Le proporzioni della sanguinosa battaglia possono essere riassunte in poche cifre. Se i caduti cristiani furono circa 9 mila, quelli turchi furono 30 mila, e varie altre migliaia quelli catturati.
Soltanto trenta navi turche riuscirono a fuggire; delle altre, centodiciassette catturate e divise tra gli Stati membri della Lega e le rimanenti andarono distrutte (28).
(17) F. BRAUDEL, op. cit., p. 1176.
(18) A causa della tensione tra Cosimo e Filippo II le dodici galee toscane parteciparono come noleggiate dal Papa, le cui insegne - e non quelle stefaniane o medicee - innalzavano: cfr. CESARE CIANO, I primi Medici e il mare, Pacini, Pisa 1980, pp. 59-66.
(19) Cfr. FREDERIC C. LANE, Storia di Venezia, trad. it., 2a ed., Einaudi, Torino 1978, pp. 428-432.
(20) Una ricostruzione della galea reale di don Giovanni d'Austria si può vedere nel Museo Navale di Barcellona, in scala l/1. Nella cattedrale della stessa città si conserva - ed è oggetto di gran devozione - un bel Crocifisso in legno, che si dice fosse a bordo della nave di don Giovanni.
(21) Cfr. GIOVANNI PIETRO CONTARINI, Historia delle cose successe dal principio della guerra mossa da Selim ottomano ai Venetiani fino al dì della gran giornata vittoriosa contra i Turchi, Francesco Ramparetto, Venezia 1572, foglio 48 r.
(22) U. MORI UBALDINI, op. cit. p. 274.
(23) Si tratta dell'Uccialì o Uccialli delle fonti cristiane. Il comportamento del Doria fu molto criticato, sia da alcuni contemporanei che da alcuni storici moderni. Ma la storiografia contemporanea tende a riconoscere l'opportunità del suo comportamento.
(24) G. P. CONTARINI, op. cit., f. 50 v.
(25) GEROLAMO DIEDO, La battaglia di Lepanto, Daelli, Milano 1863, p. 35. Diedo era un veneziano abitante a Corfù, contemporaneo degli avvenimenti.
(26) Cfr. U. MORI UBALDINI, op, cit., p. 277.
(27) G. DIEDO, op. cit., pp. 29-30.
(28) Cfr. F. LANE, op. cit., p. 431.
(18) A causa della tensione tra Cosimo e Filippo II le dodici galee toscane parteciparono come noleggiate dal Papa, le cui insegne - e non quelle stefaniane o medicee - innalzavano: cfr. CESARE CIANO, I primi Medici e il mare, Pacini, Pisa 1980, pp. 59-66.
(19) Cfr. FREDERIC C. LANE, Storia di Venezia, trad. it., 2a ed., Einaudi, Torino 1978, pp. 428-432.
(20) Una ricostruzione della galea reale di don Giovanni d'Austria si può vedere nel Museo Navale di Barcellona, in scala l/1. Nella cattedrale della stessa città si conserva - ed è oggetto di gran devozione - un bel Crocifisso in legno, che si dice fosse a bordo della nave di don Giovanni.
(21) Cfr. GIOVANNI PIETRO CONTARINI, Historia delle cose successe dal principio della guerra mossa da Selim ottomano ai Venetiani fino al dì della gran giornata vittoriosa contra i Turchi, Francesco Ramparetto, Venezia 1572, foglio 48 r.
(22) U. MORI UBALDINI, op. cit. p. 274.
(23) Si tratta dell'Uccialì o Uccialli delle fonti cristiane. Il comportamento del Doria fu molto criticato, sia da alcuni contemporanei che da alcuni storici moderni. Ma la storiografia contemporanea tende a riconoscere l'opportunità del suo comportamento.
(24) G. P. CONTARINI, op. cit., f. 50 v.
(25) GEROLAMO DIEDO, La battaglia di Lepanto, Daelli, Milano 1863, p. 35. Diedo era un veneziano abitante a Corfù, contemporaneo degli avvenimenti.
(26) Cfr. U. MORI UBALDINI, op, cit., p. 277.
(27) G. DIEDO, op. cit., pp. 29-30.
(28) Cfr. F. LANE, op. cit., p. 431.
Fonte:Totustuus
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