sabato 18 ottobre 2008

Il massacri dei cattolici in India non interessa agli adoratori del vitello d’oro


Ricevo e posto da centrostudifederici.org:




Perché i cristiani contano meno degli orsi?

BOLOGNA - Il 9 settembre scorso, in occasione della giornata di preghiera e di digiuno per i cristiani perseguitati nello Stato indiano dell’Orissa, il Cardinale Carlo Caffarra ha denunciato il “silenzio assordante dei media”, più preoccupati degli orsi che dei cristiani, ed ha spiegato “la grandezza del martire che smaschera la povera nudità del relativismo”. (…)

“Questo ‘assordante silenzio’ ci dona materia di profonde riflessioni”, ha commentato il Cardinale Caffarra, che si è poi chiesto: “perché ci si mostra più preoccupati della sorte degli orsi polari che di uomini e donne colpevoli solo di aver scelto la fede cristiana?”.

L’Arcivescovo di Bologna ha cercato di spiegare questo comportamento precisando che “il martirio disturba gravemente chi ritiene che alla fine tutto è negoziabile; chi nega che esista qualcosa di indisponibile e che non può essere mercanteggiato”.

“Il martire – ha aggiunto – esalta la dignità della persona in modo che non può che essere censurato da chi pensa che alla fine l’uomo è solo un frammento corruttibile di un tutto impersonale. La grandezza del martire smaschera la povera nudità del relativismo”.

(Agenzia Zenit dell’11.09.2008)


La persecuzione ignorata per scarso appeal estetico, di Luigi Genizzani

Le immagini delle chiese date alle fiamme, dei villaggi distrutti e della gente terrorizzata che per trovare scampo alle persecuzioni è costretta a vivere in campi profughi, incominciano ad apparire in tv. È da due mesi che i cristiani dell’Orissa e di altri cinque Stati dell’India sono nel mirino dei fondamentalisti indù le cui violenze hanno provocato finora sessanta morti e decine di migliaia di fuggitivi. Notizie tragiche ma pubblicate senza grande risalto o addirittura ignorate in tutte queste settimane dai grandi mezzi di comunicazione. Adesso finalmente s’inizia a parlarne.

Anche le istituzioni hanno battuto un colpo: nel vertice bilaterale tra Unione Europea e India che si è tenuto qualche giorno fa a Marsiglia il presidente francese Sarkozy, su esplicita sollecitazione del parlamento europeo, ha chiesto al governo di New Delhi di proteggere le minoranze cristiane e di mettere fine all’ondata di violenze nei loro confronti.

«È una vergogna nazionale», ha ammesso il primo ministro indiano Manmohan Singh, atteso alla prova dei fatti dopo le parole di condanna. È una vergogna ma a quanto pare il mondo non si scandalizza affatto. 'La caccia al cristiano' ha lasciato sostanzialmente indifferenti le nostre coscienze. A fianco dei monaci buddisti, scesi in piazza la scorsa primavera a sfidare la dura repressione cinese in Tibet, si era schierata l’intera opinione pubblica occidentale. C’erano state dimostrazioni, marce, sit-in di protesta e una campagna martellante su giornali e tv del mondo intero. Nulla di tutto questo per i cristiani dell’India .

Come se il loro dramma che si consuma nel buio di una foresta e nel grigiore di una vita da profughi non riuscisse a reggere il confronto mediatico con la protesta colorata, le tonache rosse e arancioni e le teste rapate dei bonzi. O forse perché il tetto bruciacchiato di una povera chiesa nel villaggio indiano di Phulbani e la statua della Madonna profanata e fatta a pezzi nella cattedrale di Jabalpur non coinvolgono emotivamente quanto la bellezza dei monasteri distrutti in terra tibetana, sinonimo di fascino e di mistero. I cristiani perseguitati dell’Orissa non hanno un testimonial come Richard Gere e non entrano come sfondo negli spot pubblicitari delle auto di lusso. Detto in termini brutali: non sono degni d’attenzione, ancor meno suscitano solidarietà. Da dove deriva tanta indifferenza per la loro sorte?

Qualcuno dirà che l’Occidente ha dimenticato, anzi vuole cancellare le proprie radici religiose e non trova dunque alcuna motivazione per difendere i cristiani d’Oriente. Ma forse c’è qualche altro motivo, più nascosto e meno confessabile. L’ha scritto Angelo Panebianco, editorialista del Corriere della Sera, uno dei pochi commentatori laici a interrogarsi sul silenzio della nostra società di fronte alle persecuzioni dei cristiani. Perché?

A suo dire, «sotto sotto c’è l’idea che se uno è cristiano in India , in Pakistan o in Iraq e se gli succede qualcosa, in fondo se l’è cercata. La tesi dei fondamentalisti islamici o indù secondo cui il cristianesimo altro non è se non uno strumento ideologico al servizio del dominio occidentale sembra condivisa qui da noi da un bel po’ di persone».

Sono gli stessi che non perdono occasione di denunciare le presunte invasioni di campo della Chiesa cattolica in Italia e in Europa, ma non hanno nulla da obiettare alla violenze dei fondamentalisti che s’accaniscono contro i cristiani in altre parti del modo. È questa cecità ideologica che, non riconoscendo la verità dei fatti, impedisce la solidarietà con le vittime delle persecuzioni.(Da Avvenire del 4.10.2008)


L'incubo di un sacerdote e di una suora in India

NUOVA DELHI - Nel contesto delle violenze contro i cristiani che si stanno verificando in India, un sacerdote e una suora hanno vissuto un vero e proprio incubo, subendo percosse e violenze. Padre Thomas Chellen ha raccontato che i fanatici induisti lo hanno torturato, hanno violentato una suora, li hanno fatti andare in giro per le strade mezzi nudi e volevano che il sacerdote avesse rapporti sessuali con la suora in pubblico.

Il presbitero 55enne, gravemente ferito, ha riferito al Catholic News Service ciò che gli è accaduto dal suo letto d'ospedale a Bhubaneswar, nell'Orissa. I fanatici induisti, ha riferito, gli hanno versato del cherosene in testa, “mentre uno teneva in mano una scatola di fiammiferi per dare fuoco. Grazie alla divina Provvidenza, tuttavia, alla fine non lo ha fatto”. Altrimenti, ha osservato, “non avrei potuto raccontare questo orrore”.

Il direttore del centro pastorale di Konjamendi ha parlato in un'intervista telefonica dall'ospedale cattolico. Dopo l'assassinio, avvenuto il 23 agosto, del leader induista Swami Laxmanananda Saraswati da parte degli estremisti maoisti, gli induisti hanno iniziato ad attaccare i centri cristiani a Kandhamal, il distretto in cui viveva il leader ucciso. Quando 500 induisti hanno fatto irruzione nel centro pastorale a mezzogiorno del 24 agosto, padre Chellen ha detto di essere fuggito dal cortile con un altro sacerdote e una suora. “Ci ha spezzato il cuore vedere da lontano il complesso andare in fumo”, ha confessato il presbitero, che aveva supervisionato la costruzione del centro, aperto nel 2001 e che poteva ospitare 200 persone.

“Hanno distrutto tutto e hanno appiccato il fuoco – ha aggiunto –. E' stato ridotto in polvere”.“Siamo fuggiti nella giungla e la sera abbiamo trovato rifugio in casa di un amico induista, dove abbiamo passato la notte”, ha affermato, aggiungendo che il secondo sacerdote aveva deciso di unirsi ad altri presbiteri.La mattina dopo, la famiglia induista ha portato padre Chellen e la suora in una casa vuota adiacente e li ha chiusi a chiave per dare l'impressione che dentro non ci fosse nessuno. Nonostante questo, i fanatici induisti hanno sentito per caso il sacerdote parlare al cellulare, hanno fatto irruzione nella casa e hanno trascinato fuori lui e la suora. “Hanno iniziato la nostra parata della crocifissione”, ha ammesso.

Il gruppo, composto da circa 50 induisti armati, “ci ha picchiati e ci ha portati come colpevoli lungo la strada” verso il centro pastorale bruciato.“Mi hanno strappato la camicia e hanno iniziato a spogliare la suora. Quando ho protestato, mi hanno picchiato con mazze d'acciaio. Poi hanno portato dentro la suora e l'hanno violentata mentre altri continuavano a darmi calci e a deridermi, costringendomi a dire parole volgari”, ha detto il sacerdote, che ha bruciature, ecchimosi e tumefazioni su tutto il corpo e vari punti sul viso.

“Poi siamo stati portati tutti e due mezzi nudi per la strada, e mi hanno ordinato di avere un rapporto sessuale con la suora in pubblico. Ho rifiutato, e allora hanno continuato a picchiarmi e ci hanno trascinati all'ufficio governativo lì vicino. Purtroppo, una dozzina di poliziotti era rimasto a guardare la scena”. Infuriati perché stava chiedendo aiuto ai poliziotti, i malviventi hanno picchiato di nuovo il sacerdote sanguinante. In seguito, un ufficiale governativo e i membri del gruppo hanno portato il sacerdote e la suora alla stazione di polizia, dove padre Chellen dice di essere stato colpito a calci in faccia. “L'incubo, durato quattro ore, è terminato quando la sera è arrivato un ufficiale di polizia”, ha spiegato. Padre Chellen ha detto che uno degli aspetti più dolorosi della questione è stato il fatto che alcuni induisti locali che conosceva sono rimasti a guardare e hanno ignorato la sua richiesta d'aiuto. (…) (Agenzia Zenit del 5.09.2008)


Padre Bernard: in Orissa, noi cristiani trattati peggio delle bestie
Mumbai (AsiaNews) –


“L’attacco contro i cristiani dell’Orissa è stato un attacco contro la sacralità e la dignità della vita umana. Il mondo deve sapere. In alcuni Paesi perfino gli animali vengono difesi nel loro benessere da leggi e diritti. A Kandhamal siamo stati trattati peggio degli animali: ogni cosa indegna, ogni oscenità, ogni tortura è stata possibile contro i cristiani.

Uomini. Donne, bambini, tutti sono stati oggetto di atrocità brutali”. Così padre Bernard Dighal, economo della diocesi di Bhubaneshwar, testimonia ad AsiaNews il suo dolore per quanto avviene in Orissa. Padre Bernard ha subito violenze e pestaggi per ore ad opera dei radicali indù; per una notte intera è rimasto senza conoscenza e seminudo nella foresta, finché non è stato ritrovato dal suo autista.Ora è in cura a Mumbai, presso l’Holy Spirit Hospital. Mentre accetta di parlare con AsiaNews, sta subendo un’ennesima trasfusione di sangue.

Il suo pensiero va alla sua gente e ai suoi familiari, tutti fuggiti da casa per evitare di essere uccisi, e ora in uno dei campi di rifugio vicino a Bhubaneshwar: “Il mio cuore è pieno di gratitudine perché Dio ha salvato la mia vita. Ma mentre io sono qui curato, la mia gente è nascosta nella foresta e nemmeno lì sono al sicuro. Ci sono madri che allattano i loro neonati, bambinetti, giovani e vecchi: tutti sono immersi nella precarietà e nel terrore. Vi sono pericoli perfino nei campi profughi”. “Ero in visita alle parrocchie del distretto di Kandhamal proprio il 23 agosto, quando Swami Laxamananda Saraswati e 4 suoi adepti sono stati uccisi dai maoisti. Il 25 agosto il Vhp (Vishwa Hindu Parishad) e altri gruppi radicali del Sangh Parivar hanno deciso uno sciopero dall’alba al tramonto, raccogliendo migliaia di persone”.

Il 25 padre Bernard era andato a trovare p. Alexander Chandi, nella parrocchia di Sankrakhol, quando una folla di indù ha attaccato la chiesa. “La notte del 25 agosto la parrocchia e la casa del parroco sono state razziate e incendiate. Sentivamo la folla da lontano arrivare gridando slogan violenti, accuse contro il cristianesimo… Temendo per la nostra vita, siamo fuggiti nella foresta. Gli estremisti hanno bruciato anche la mia aiuto. Mentre il padre Alexander è rimasto nella foresta, io mi sono mosso per andare a trovare alcuni miei parenti nelle vicinanze.

Ho camminato almeno 15 km. A un certo punto gli estremisti mi hanno visto e agguantato, picchiandomi con sbarre di ferro, lance, asce e grosse pietre. Non so per quanto tempo mi hanno picchiato perché ho perso coscienza. Il mio autista mi ha trovato il giorno dopo, dopo 10 ore e mi ha portato all’ospedale. Solo lì ho ripreso coscienza”. Senza acredine, ma anche senza dolcezza, p. Bernard ricorda: “Sono stato picchiato e lasciato nella foresta completamente nudo per 10 ore; altri sono stati tagliati a pezzi; altri bruciati vivi…

È umano tutto questo? Non è un attentato alla vita?”“A Kandhamal – conclude il sacerdote – la vita dei cristiani è sotto il diretto attacco dei radicali dell’Hindutva. La polizia e il governo sono inefficaci o talvolta non vogliono prendere alcuna misura preventiva per contenere queste forze che stanno distruggendo la nostra vita e dignità”.Intanto padre Babu Joseph, portavoce della Conferenza episcopale dell’India, ha detto che la situazione in Orissa sta ritornano alla normalità, ma vi sono ancora tensioni e paure. C’è bisogno di un maggior controllo nei campi profughi, per evitare infiltrazioni di radicali indù, e maggiori cure mediche per i feriti.

Ma tutti si chiedono quando potranno ritornare a ricostruire le loro case distrutte.

(AsiaNews del 9.10.2008)
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Ricevo e posto da centrostudifederici.org:




Perché i cristiani contano meno degli orsi?

BOLOGNA - Il 9 settembre scorso, in occasione della giornata di preghiera e di digiuno per i cristiani perseguitati nello Stato indiano dell’Orissa, il Cardinale Carlo Caffarra ha denunciato il “silenzio assordante dei media”, più preoccupati degli orsi che dei cristiani, ed ha spiegato “la grandezza del martire che smaschera la povera nudità del relativismo”. (…)

“Questo ‘assordante silenzio’ ci dona materia di profonde riflessioni”, ha commentato il Cardinale Caffarra, che si è poi chiesto: “perché ci si mostra più preoccupati della sorte degli orsi polari che di uomini e donne colpevoli solo di aver scelto la fede cristiana?”.

L’Arcivescovo di Bologna ha cercato di spiegare questo comportamento precisando che “il martirio disturba gravemente chi ritiene che alla fine tutto è negoziabile; chi nega che esista qualcosa di indisponibile e che non può essere mercanteggiato”.

“Il martire – ha aggiunto – esalta la dignità della persona in modo che non può che essere censurato da chi pensa che alla fine l’uomo è solo un frammento corruttibile di un tutto impersonale. La grandezza del martire smaschera la povera nudità del relativismo”.

(Agenzia Zenit dell’11.09.2008)


La persecuzione ignorata per scarso appeal estetico, di Luigi Genizzani

Le immagini delle chiese date alle fiamme, dei villaggi distrutti e della gente terrorizzata che per trovare scampo alle persecuzioni è costretta a vivere in campi profughi, incominciano ad apparire in tv. È da due mesi che i cristiani dell’Orissa e di altri cinque Stati dell’India sono nel mirino dei fondamentalisti indù le cui violenze hanno provocato finora sessanta morti e decine di migliaia di fuggitivi. Notizie tragiche ma pubblicate senza grande risalto o addirittura ignorate in tutte queste settimane dai grandi mezzi di comunicazione. Adesso finalmente s’inizia a parlarne.

Anche le istituzioni hanno battuto un colpo: nel vertice bilaterale tra Unione Europea e India che si è tenuto qualche giorno fa a Marsiglia il presidente francese Sarkozy, su esplicita sollecitazione del parlamento europeo, ha chiesto al governo di New Delhi di proteggere le minoranze cristiane e di mettere fine all’ondata di violenze nei loro confronti.

«È una vergogna nazionale», ha ammesso il primo ministro indiano Manmohan Singh, atteso alla prova dei fatti dopo le parole di condanna. È una vergogna ma a quanto pare il mondo non si scandalizza affatto. 'La caccia al cristiano' ha lasciato sostanzialmente indifferenti le nostre coscienze. A fianco dei monaci buddisti, scesi in piazza la scorsa primavera a sfidare la dura repressione cinese in Tibet, si era schierata l’intera opinione pubblica occidentale. C’erano state dimostrazioni, marce, sit-in di protesta e una campagna martellante su giornali e tv del mondo intero. Nulla di tutto questo per i cristiani dell’India .

Come se il loro dramma che si consuma nel buio di una foresta e nel grigiore di una vita da profughi non riuscisse a reggere il confronto mediatico con la protesta colorata, le tonache rosse e arancioni e le teste rapate dei bonzi. O forse perché il tetto bruciacchiato di una povera chiesa nel villaggio indiano di Phulbani e la statua della Madonna profanata e fatta a pezzi nella cattedrale di Jabalpur non coinvolgono emotivamente quanto la bellezza dei monasteri distrutti in terra tibetana, sinonimo di fascino e di mistero. I cristiani perseguitati dell’Orissa non hanno un testimonial come Richard Gere e non entrano come sfondo negli spot pubblicitari delle auto di lusso. Detto in termini brutali: non sono degni d’attenzione, ancor meno suscitano solidarietà. Da dove deriva tanta indifferenza per la loro sorte?

Qualcuno dirà che l’Occidente ha dimenticato, anzi vuole cancellare le proprie radici religiose e non trova dunque alcuna motivazione per difendere i cristiani d’Oriente. Ma forse c’è qualche altro motivo, più nascosto e meno confessabile. L’ha scritto Angelo Panebianco, editorialista del Corriere della Sera, uno dei pochi commentatori laici a interrogarsi sul silenzio della nostra società di fronte alle persecuzioni dei cristiani. Perché?

A suo dire, «sotto sotto c’è l’idea che se uno è cristiano in India , in Pakistan o in Iraq e se gli succede qualcosa, in fondo se l’è cercata. La tesi dei fondamentalisti islamici o indù secondo cui il cristianesimo altro non è se non uno strumento ideologico al servizio del dominio occidentale sembra condivisa qui da noi da un bel po’ di persone».

Sono gli stessi che non perdono occasione di denunciare le presunte invasioni di campo della Chiesa cattolica in Italia e in Europa, ma non hanno nulla da obiettare alla violenze dei fondamentalisti che s’accaniscono contro i cristiani in altre parti del modo. È questa cecità ideologica che, non riconoscendo la verità dei fatti, impedisce la solidarietà con le vittime delle persecuzioni.(Da Avvenire del 4.10.2008)


L'incubo di un sacerdote e di una suora in India

NUOVA DELHI - Nel contesto delle violenze contro i cristiani che si stanno verificando in India, un sacerdote e una suora hanno vissuto un vero e proprio incubo, subendo percosse e violenze. Padre Thomas Chellen ha raccontato che i fanatici induisti lo hanno torturato, hanno violentato una suora, li hanno fatti andare in giro per le strade mezzi nudi e volevano che il sacerdote avesse rapporti sessuali con la suora in pubblico.

Il presbitero 55enne, gravemente ferito, ha riferito al Catholic News Service ciò che gli è accaduto dal suo letto d'ospedale a Bhubaneswar, nell'Orissa. I fanatici induisti, ha riferito, gli hanno versato del cherosene in testa, “mentre uno teneva in mano una scatola di fiammiferi per dare fuoco. Grazie alla divina Provvidenza, tuttavia, alla fine non lo ha fatto”. Altrimenti, ha osservato, “non avrei potuto raccontare questo orrore”.

Il direttore del centro pastorale di Konjamendi ha parlato in un'intervista telefonica dall'ospedale cattolico. Dopo l'assassinio, avvenuto il 23 agosto, del leader induista Swami Laxmanananda Saraswati da parte degli estremisti maoisti, gli induisti hanno iniziato ad attaccare i centri cristiani a Kandhamal, il distretto in cui viveva il leader ucciso. Quando 500 induisti hanno fatto irruzione nel centro pastorale a mezzogiorno del 24 agosto, padre Chellen ha detto di essere fuggito dal cortile con un altro sacerdote e una suora. “Ci ha spezzato il cuore vedere da lontano il complesso andare in fumo”, ha confessato il presbitero, che aveva supervisionato la costruzione del centro, aperto nel 2001 e che poteva ospitare 200 persone.

“Hanno distrutto tutto e hanno appiccato il fuoco – ha aggiunto –. E' stato ridotto in polvere”.“Siamo fuggiti nella giungla e la sera abbiamo trovato rifugio in casa di un amico induista, dove abbiamo passato la notte”, ha affermato, aggiungendo che il secondo sacerdote aveva deciso di unirsi ad altri presbiteri.La mattina dopo, la famiglia induista ha portato padre Chellen e la suora in una casa vuota adiacente e li ha chiusi a chiave per dare l'impressione che dentro non ci fosse nessuno. Nonostante questo, i fanatici induisti hanno sentito per caso il sacerdote parlare al cellulare, hanno fatto irruzione nella casa e hanno trascinato fuori lui e la suora. “Hanno iniziato la nostra parata della crocifissione”, ha ammesso.

Il gruppo, composto da circa 50 induisti armati, “ci ha picchiati e ci ha portati come colpevoli lungo la strada” verso il centro pastorale bruciato.“Mi hanno strappato la camicia e hanno iniziato a spogliare la suora. Quando ho protestato, mi hanno picchiato con mazze d'acciaio. Poi hanno portato dentro la suora e l'hanno violentata mentre altri continuavano a darmi calci e a deridermi, costringendomi a dire parole volgari”, ha detto il sacerdote, che ha bruciature, ecchimosi e tumefazioni su tutto il corpo e vari punti sul viso.

“Poi siamo stati portati tutti e due mezzi nudi per la strada, e mi hanno ordinato di avere un rapporto sessuale con la suora in pubblico. Ho rifiutato, e allora hanno continuato a picchiarmi e ci hanno trascinati all'ufficio governativo lì vicino. Purtroppo, una dozzina di poliziotti era rimasto a guardare la scena”. Infuriati perché stava chiedendo aiuto ai poliziotti, i malviventi hanno picchiato di nuovo il sacerdote sanguinante. In seguito, un ufficiale governativo e i membri del gruppo hanno portato il sacerdote e la suora alla stazione di polizia, dove padre Chellen dice di essere stato colpito a calci in faccia. “L'incubo, durato quattro ore, è terminato quando la sera è arrivato un ufficiale di polizia”, ha spiegato. Padre Chellen ha detto che uno degli aspetti più dolorosi della questione è stato il fatto che alcuni induisti locali che conosceva sono rimasti a guardare e hanno ignorato la sua richiesta d'aiuto. (…) (Agenzia Zenit del 5.09.2008)


Padre Bernard: in Orissa, noi cristiani trattati peggio delle bestie
Mumbai (AsiaNews) –


“L’attacco contro i cristiani dell’Orissa è stato un attacco contro la sacralità e la dignità della vita umana. Il mondo deve sapere. In alcuni Paesi perfino gli animali vengono difesi nel loro benessere da leggi e diritti. A Kandhamal siamo stati trattati peggio degli animali: ogni cosa indegna, ogni oscenità, ogni tortura è stata possibile contro i cristiani.

Uomini. Donne, bambini, tutti sono stati oggetto di atrocità brutali”. Così padre Bernard Dighal, economo della diocesi di Bhubaneshwar, testimonia ad AsiaNews il suo dolore per quanto avviene in Orissa. Padre Bernard ha subito violenze e pestaggi per ore ad opera dei radicali indù; per una notte intera è rimasto senza conoscenza e seminudo nella foresta, finché non è stato ritrovato dal suo autista.Ora è in cura a Mumbai, presso l’Holy Spirit Hospital. Mentre accetta di parlare con AsiaNews, sta subendo un’ennesima trasfusione di sangue.

Il suo pensiero va alla sua gente e ai suoi familiari, tutti fuggiti da casa per evitare di essere uccisi, e ora in uno dei campi di rifugio vicino a Bhubaneshwar: “Il mio cuore è pieno di gratitudine perché Dio ha salvato la mia vita. Ma mentre io sono qui curato, la mia gente è nascosta nella foresta e nemmeno lì sono al sicuro. Ci sono madri che allattano i loro neonati, bambinetti, giovani e vecchi: tutti sono immersi nella precarietà e nel terrore. Vi sono pericoli perfino nei campi profughi”. “Ero in visita alle parrocchie del distretto di Kandhamal proprio il 23 agosto, quando Swami Laxamananda Saraswati e 4 suoi adepti sono stati uccisi dai maoisti. Il 25 agosto il Vhp (Vishwa Hindu Parishad) e altri gruppi radicali del Sangh Parivar hanno deciso uno sciopero dall’alba al tramonto, raccogliendo migliaia di persone”.

Il 25 padre Bernard era andato a trovare p. Alexander Chandi, nella parrocchia di Sankrakhol, quando una folla di indù ha attaccato la chiesa. “La notte del 25 agosto la parrocchia e la casa del parroco sono state razziate e incendiate. Sentivamo la folla da lontano arrivare gridando slogan violenti, accuse contro il cristianesimo… Temendo per la nostra vita, siamo fuggiti nella foresta. Gli estremisti hanno bruciato anche la mia aiuto. Mentre il padre Alexander è rimasto nella foresta, io mi sono mosso per andare a trovare alcuni miei parenti nelle vicinanze.

Ho camminato almeno 15 km. A un certo punto gli estremisti mi hanno visto e agguantato, picchiandomi con sbarre di ferro, lance, asce e grosse pietre. Non so per quanto tempo mi hanno picchiato perché ho perso coscienza. Il mio autista mi ha trovato il giorno dopo, dopo 10 ore e mi ha portato all’ospedale. Solo lì ho ripreso coscienza”. Senza acredine, ma anche senza dolcezza, p. Bernard ricorda: “Sono stato picchiato e lasciato nella foresta completamente nudo per 10 ore; altri sono stati tagliati a pezzi; altri bruciati vivi…

È umano tutto questo? Non è un attentato alla vita?”“A Kandhamal – conclude il sacerdote – la vita dei cristiani è sotto il diretto attacco dei radicali dell’Hindutva. La polizia e il governo sono inefficaci o talvolta non vogliono prendere alcuna misura preventiva per contenere queste forze che stanno distruggendo la nostra vita e dignità”.Intanto padre Babu Joseph, portavoce della Conferenza episcopale dell’India, ha detto che la situazione in Orissa sta ritornano alla normalità, ma vi sono ancora tensioni e paure. C’è bisogno di un maggior controllo nei campi profughi, per evitare infiltrazioni di radicali indù, e maggiori cure mediche per i feriti.

Ma tutti si chiedono quando potranno ritornare a ricostruire le loro case distrutte.

(AsiaNews del 9.10.2008)

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