Di Gaetano Mirabello
“Angela Pellicciari, studiosa di area cattolica del Risorgimento, ha recentemente pubblicato per le Edizioni Liberal (via del Pozzetto 122, Roma) un interessante libretto intitolato I panni sporchi dei Mille, che racconta l'invasione del Regno delle Due Sicilie ad opera di Garibaldi attraverso la voce di tre suoi contemporanei, non sospettabili certamente di simpatie borboniche vista la loro matrice liberale.
Trattasi di quegli scritti di Giuseppe La Farina, Carlo Pellion di Persano e Pier Carlo Boggio, cui la Pellicciari stessa aveva fatto cenno in una sua precedente opera edita nel 2000 da Piemme col titolo L'altro Risorgimento.
Per non incappare nell'accusa di revisionismo che oggi si usa lanciare a chi rivendica la ragione dei vinti, la scrittrice si ripromette di non fare "questione di Savoia o di Borbone di massoni o di cattolici" e lascia che siano piuttosto i fatti a parlare, limitandosi ad illustrare alcuni aspetti della conquista del Sud in poche pagine di chiarimento, l’unica pecca è talora l'assenza di riferimenti puntuali alle fonti.
La studiosa riprende la tematica dibattuta nel 1998 dal suo "Risorgimento da riscrivere", per dimostrare come la vera e propria guerra di religione condotta contro la Chiesa di Roma dal Parlamento di Torino tra il 1848 e il 1861 abbia fatto da prologo alla spedizione dei Mille, per ingraziarsi i favori degli Stati protestanti e della massoneria mondiale.
Le tre testimonianze di cui si è detto rivestono notevole rilievo documentale perché svelano i retroscena non edificanti di un'azione, che fu studiata a tavolino per annettere al Piemonte con la violenza e l'inganno gli Stati della penisola.
Massimo D'Azeglio, scrivendo al nipote Emanuele il 29 settembre 1860, mentre era ancora in corso quella che la stampa liberale già spacciava come un'epica impresa di un pugno di audaci, diceva che
"quando si vede un regno di sei milioni ed un'armata di 100 mila uomini, vinti con la perdita di 8 morti e 18 storpiati, chi vuol capire capisca".
L'accusa è grave anche se proviene da chi aveva scarsa simpatia per i metodi politici sin troppo disinvolti di Cavour.
Ma come dubitare dei tre "galantuomini", le cui testimonianze costituiscono il fulcro del recente testo della Pellicciari? Poiché essi furono tutti fedelissimi del conte, quanto dicono appare per ciò stesso come oro colato.
La Farina ne fu il braccio destro al punto di vantarsi nel suo epistolario di averlo visto "quasi tutti i giorni prima dell' alba", nel corso di una serie di "relazioni intime pur tenute segretissime dal' 56 al' 59".
Egli, essendo stato messo alle costole di Garibaldi da Cavour, lo informa giornalmente degli scempi compiuti dai Mille, sottoponendogli un crescendo di episodi sufficienti da soli a polverizzare il mito da cui furono poi circondate le loro gesta. ùNon si comprende comunque come La Farina osi gridare allo scandalo, dal momento che quale organizzatore della spedizione non poté ignorare che i suoi componenti erano (son parole di Garibaldi!) "tutti generalmente d'origine pessima e per lo più ladra; e tranne poche eccezioni con radici genealogiche nel letamaio della violenza e del delitto".
L'ingratitudine del condottiero non fu meno riprovevole perché. si concretizzò in un gesto squallido verso lo scomodo emigrato siciliano, che fu rispedito al mittente sotto scorta armata.
A ricevere in consegna l'ingombrante personaggio è l'ammiraglio Persano, comandante della flotta piemontese inviata nelle acque siciliane per fornire ai garibaldini un appoggio mascherato dietro una neutralità di pura facciata. Anch'egli ha l'incarico di "proteggere - tallonare - controllare Garibaldi", cui deve assicurare l'invio di ulteriori uomini e armi e la complicità dell' Armata di mare borbonica.
La sua opera di corruzione è infaticabile, come dimostrano i Diari da lui pubblicati meschinamente dopo essere stato processato per la vergognosa disfatta ,subita a Lissa ad opera della modesta flotta austriaca.
Il libro della Pellicciari si conclude con un pamphlet di Pier Carlo Boggio, noto politico dell' epoca, che seppe morire da valoroso nella battaglia appena ricordata. Nell'opuscolo "Cavour o Garibaldi?", uscito a fine settembre 1860 e, come nota la Pellicciari, "stranamente quanto ingiustamente dimenticato dalla, storiografia", egli paventa che la guerra in corso contro i Borbone possa fomentarne un'altra più vasta a causa dell'atteggiamento sconsiderato di "quell’ anima candida e onesta" di Garibaldi, "facile ad essere raggirato" dai rivoluzionari di professione che lo circondano.
Boggio, per indurre il Dittatore a disfarsi dei cattivi consiglieri, non esita a ricattarlo con la divulgazione di qualche episodio squallido messo in atto da quella frotta di "immondi parassiti" che sono calati sulle nostre terre.
Il "saggio di quel poco che del moltissimo giunge" sino a Torino è così infarcito di gesta criminali da indurci a non indulgervi sopra, auspicando che il lettore curioso abbia voglia di andarsele a scoprire da sé.”
Fonte:Meridiano del Sud
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