L’ECCIDIO
di Pontelandolfo e Casalduni
di Antonio Ciano
da: “I Savoia e il massacro del sud” - Grandmelò, ROMA, 1996
di Pontelandolfo e Casalduni
di Antonio Ciano
da: “I Savoia e il massacro del sud” - Grandmelò, ROMA, 1996
[...] A Pontelandolfo l’amministrazione comunale insediatasi due giorni prima, prioritariamente stava organizzando i soccorsi ai più bisognosi e indigenti. La fame stava distruggendo intere famiglie; i liberali erano fuggiti con tutte le loro sostanze.
Tommaselli diede ordine ai partigiani di assaltare la diligenza del Sig. Pedata.
Il Comune aveva bisogno di soldi, servivano pane e farina, a pagare dovevano essere quelli che avevano causato il disastro economico e civile, cioè i liberali ed i piemontesi. In verità avrebbero dovuto organizzare un esercito di 100.000 uomini, sbarcare a Genova, saccheggiare tutti i paesi della Liguria e del Piemonte e massacrare i loro abitanti, ma i popoli meridionali sono sempre stati civili, non hanno mai invaso territori altrui e sono diventati belve quando hanno visto insidiate le loro donne e la loro libertà.
Pontelandolfo in quei giorni era diventata il centro della reazione borbonica nel Sannio; nel suo territorio erano confluiti i guerriglieri dei paesi limitrofi, specialmente quelli di Casalduni e Campolattaro.
Erano venuti ad ingrossare la banda di Giordano per tenere alto l’onore del Regno delle Due Sicilie e di Francesco II.
Dopo mesi di stenti, i primi a patire la fame furono i vecchi, i malati ed i bambini. Per strada si vedevano relitti umani, rinsecchiti e ridotti a pelle e ossa, i più deboli perirono, e furono molti, molto più dei fucilati e degli imprigionati dai vigliacchi piemontesi. Vittorio Emanuele II, Cavour e Ricasoli, la destra storica, i liberali, la massoneria tutta saranno maledetti per l’eternità dalle popolazioni meridionali e tutte le strade e scuole a loro intitolate dopo l’unità d’Italia un giorno saranno cancellate dalla toponomastica e le loro statue abbattute.
Trenta partigiani furono scelti per attaccare la carrozza postale che ogni giorno passava per la provinciale, portando qualche passeggero e i soldi che servivano alle spese della truppa e degli impiegati piemontesi.
Soldi e balzelli che il governo di Torino esigeva dalle popolazioni, che dovevano persino pagare la famosa tassa di guerra.
La carrozza era scortata da truppe scelte e, quando arrivò nei pressi di San Donato, fu attaccata dai partigiani ……… Francesco Parciasepe, Antonio Longo Cristoforo, Domenico Petronzio fu Giovanleonardo e da Antonio Ciarlo fu Libero Monaco, mentre gli altri coprivano le loro spalle appostati sui ciglioni della strada ………
In un baleno i venticinque guerriglieri acquattati sui ciglioni della strada balzarono nei pressi della carrozza con i fucili spianati, disarmarono la scorta e fecero uscire i passeggeri; tra loro vi era anche un capitano piemontese, tale Campofreda.
L’azione fu incruenta: a nessuno fu torto un capello, a tutti furono rubati i soldi ed i loro preziosi. Il capitano piemontese tremava, pensava tra sé e sé che era giunta la sua ultima ora, ma ai partigiani non importava nulla della sua vita, a loro importava solo il denaro ……..
Domenico Petronzio con una pietra sfondò la parte della carrozza ove era situato lo stemma sabaudo, altri due suoi compagni sfilarono i cavalli e tutti insieme, con le bandiere bianche al vento; cavalcarono verso la chiesa di San Donato.
Si affiancarono altri cento guerriglieri che stazionavano in località Prainella indossavano tutti camicie bianche racchiuse da una benda rossa, simbolo dei Borbone. Da San Donato a Piazza del Tiglio furono accompagnati dalla banda musicale, che suonò l’inno nazionale di Paisello.
Fino a notte inoltrata tutta Pontelandolfo festeggio i partigiani.
Finalmente molti bambini potettero mangiare un pezzo di pane.
Su a le Campetelle si ballava la tarantella e a Piazza del Tiglio si cantava l’inno dei partigiani Libertà. Mentre la gente si divertiva, Giordano stava interrogando la presunta spia garibaldina Libero d’Occhio, che faceva la spola tra i manutengoli ed i liberal massoni Iadonisio e De Marco, che riferivano ai piemontesi. Avendo saputo le cose che voleva sapere, Giordano fece fucilare Libero d’Occhio dopo un processo sommario che lo riconobbe spia dei piemontesi e traditore della patria [...].
CAMPOBASSO 9 agosto 1861
[...] Il Sannio ed il Molise erano praticamente liberi. In tutti i paesi le bandiere borboniche sventolavano sui pennoni più alti; anche Cerreto Sannita era praticamente isolata e così Campobasso, il cui governatore Giuseppe Belli fece arrivare questa informativa a Cialdini:
“Ho interessato questo colonnello del 36° Fanteria a spedire delle forze verso Sepino lo stesso ho fatto col generale Villerey comandante la brigata di Isernia. Ho telegrafato al governatore di Benevento per conoscere lo stato di quei luoghi mentre il commercio si trova paralizzato da due giorni dopo le notizie dei noti avvenimenti, infine non ho mancato disporre che le guardie nazionali dei Comuni lungo la strada sino a Sepino, pratichino esatte e perenni perlustrazioni interessando in pari tempo i miei colleghi di Benevento e Caserta a fare lo stesso, per il tratto della consolare che rientra nelle rispettive giurisdizioni” [...].
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